Lo stato delle relazioni sino-europee

, di Silvia Ciaboco

Lo stato delle relazioni sino-europee

Scrivere circa lo stato delle relazioni tra Unione Europea e Cina, negli stessi giorni in cui il mondo intero assiste all’elezione di Joe Biden in qualità di 46° Presidente degli Stati Uniti d’America, permette di riflettere sulle complesse dinamiche che animano le relazioni internazionali. Oltre a ciò, permette poi di interrogarsi sui principali eventi che hanno condotto all’attuale quadro geopolitico sino-europeo, con il fine ultimo di provare a proiettarsi in possibili evoluzioni future. Nel fare ciò può essere interessante partire dagli eventi più recenti.

L’ultimo vertice Europa-Cina si è tenuto lo scorso 14 settembre e, a fronte della situazione emergenziale che caratterizza questo particolare momento storico, esso si è svolto in videoconferenza. In molti hanno evidenziato come l’incontro si sia rivelato largamente inferiore alle attese, fosse anche solo per la durata inizialmente prevista di quattro giorni, tuttavia, l’insolita formula a cui è stato necessario ricorrere non è sufficiente a spiegare il basso profilo dei colloqui. La realtà odierna è ben nota a tutti, ma prima ancora che si arrivasse allo scoppio della pandemia, all’alba di questo complesso 2020, vi erano già stati diversi indicatori del mutato rapporto con Pechino. Dal punto di vista europeo, talune criticità erano state significativamente espresse il 12 marzo 2019, data di pubblicazione di un rapporto stilato dalla Commissione europea nel quale venivano enunciate dieci azioni concrete da intraprendere per la definizione delle relazioni con la Cina. In merito a ciò, le preoccupazioni europee sono state presto esplicitate, laddove si afferma che, pur riconoscendo l’impegno che l’UE e la Cina hanno dedicato alla creazione di un partenariato strategico globale, “there is a growing appreciation in Europe that the balance of challenges and opportunities China presents has shifted”. In quello stesso rapporto si legge poi che la Cina è, contemporaneamente, un partner di cooperazione con il quale l’UE ha obiettivi strettamente allineati, così come “a systemic rival promoting alternative models of governance”. L’idea è pertanto quella secondo cui Pechino si sta adoperando al fine di espandere il proprio sistema di governo autocratico, inevitabile rival della democrazia europea comunemente intesa.

Gli atteggiamenti nei confronti della Cina si stanno senz’altro indurendo in tutto il Vecchio Continente, con manifestazioni più o meno lampanti, e ciò è tanto più vero se si considerano i diversi terreni di tensione tra le parti che, in egual maniera, tendono ad incrinare il profilo reputazionale della Cina presso l’UE, la quale ha manifestato proteste formali per tramite del proprio Parlamento circa l’articolata situazione ad Hong Kong, aggravata ulteriormente dall’imposizione di una nuova legge sulla sicurezza nazionale, così come riguardo alle violazioni dei diritti umani nello Xinjiang. Particolarmente indicativo è però il posizionamento assunto da Paesi chiave quali la Germania, la Francia e ancora il Regno Unito. Solo per citare un esempio recente, è dello scorso 14 luglio la notizia circa la decisione del governo inglese di mettere al bando Huawei dalla rete 5G, escludendo così il colosso cinese delle telecomunicazioni dalle forniture per la nuova rete nel Regno Unito a decorrere dal 31 dicembre. [1] Tale scelta, oltre ad aver comprensibilmente ottenuto il plauso dell’alleato d’oltreoceano, ha generato una reazione definita, in taluni casi, paradossale: sulla scia della Brexit, Londra sta ricoprendo – o riscoprendo- un ruolo di leadership che aveva cercato di abbandonare fintanto che era ancora legata alla sua adesione all’UE. Difatti, ciò che colpisce in questa vicenda è che segue di pochi giorni la decisione francese di vietare de facto l’attrezzatura 5G, seppur ricorrendo nel caso di Parigi ad una formulazione finalizzata a rifiutare Huawei evitando al contempo l’emissione di un divieto assoluto. E così, la Germania è rimasta l’ultimo importante campo di battaglia per il 5G in Europa: mentre Berlino è effettivamente incline a schierarsi con gli Stati Uniti in una serie di controversie politiche riguardanti la Cina, la pressione esercitata da Washington, caratterizzata non di rado da una retorica sfacciata e corrosiva, ha reso difficile per la cancelleria tedesca non vacillare talvolta nella sua collaborazione. [2]

Il rapporto tra gli Stati membri dell’UE e la Cina sta dunque subendo una trasformazione, la quale è stata poi accelerata dalla spinta impressa dalla crisi del coronavirus. In particolare, mentre gli sforzi per rafforzare il commercio e altri legami economici continuano a svolgere un ruolo importante per l’UE, così come ribadito nel Comunicato del Consiglio europeo straordinario di inizio ottobre, i Paesi europei singolarmente intesi sono però attraversati da un crescente scetticismo circa le reali intenzioni di Pechino. Ed è a questo punto che emerge l’assenza di visione unitaria in seno all’UE, come infatti dimostra anche la vicenda del 5G. Mentre gli atteggiamenti degli Stati membri nei confronti della Cina stanno cambiando a velocità diverse, senza peraltro rientrare in categorie regionali ordinate, è invece rinvenibile un ampio consenso sul fatto che l’UE non sia adeguatamente attrezzata per affrontare le sfide poste dal modello autoritario cinese. Uno studio pubblicato dall’European Council on Foreign Relations mette in luce le contrastanti opinioni che animano i governi europei, i quali tendono a considerare ancora la Cina come un partner importante, salvo poi nella maggior parte dei casi concordare per una limitazione da parte dell’UE degli investimenti cinesi in settori strategici, sottolineando a tal proposito la diffidenza nei confronti di un’eccessiva dipendenza da Pechino. [3] Le relazioni economiche degli Stati membri con la Cina sono in effetti molto diverse tra loro, in particolare sono pochi i casi paragonabili a quello tedesco, laddove la Germania si conferma come l’attore europeo di gran lunga più influente nelle relazioni economiche sino-europee, le quali conseguentemente presentano caratteri altamente sfumati ma, soprattutto, sono dominate da priorità individuali sorte dalle interazioni bilaterali, metodo di conduzione dei rapporti molto caro a Pechino. In particolar modo, l’attuale scenario europeo è attraversato da una diffusa insoddisfazione a fronte della riluttanza cinese a ricambiare l’apertura del mercato dell’UE, problematica rispetto alla quale gli Stati membri ritengono che Bruxelles debba utilizzare il proprio potere di mercato in modo più assertivo, mostrando la volontà di impegnarsi in un confronto geoeconomico. Oltre a ciò, figurano poi consistenti preoccupazioni politiche rispetto alle quali si ritiene che sia necessaria la definizione di un quadro politico coerente in seno all’UE, quale unica strategia suscettibile di invertire le attuali tendenze di Pechino. [4] Ciononostante, ampliare la portata dell’impegno degli Stati membri nei confronti della Cina, al fine di creare un approccio più unificato, risulta sempre molto difficile.

A quanto detto è necessario ora aggiungere un ulteriore elemento. Difatti, per quanto attentamente l’UE possa concepire la propria politica nei confronti della Cina, avendo ben presenti i propri interessi e la relativa necessità di sviluppare un’adeguata autonomia strategica dell’Europa, un fattore determinante è comunque costituito dalla linea politica statunitense. L’atteggiamento assunto nei confronti della Cina da parte dell’amministrazione uscente ha generato due principali conseguenze per l’Europa: mentre, da un lato, ha accelerato il risveglio europeo rispetto alla cruciale importanza della questione, anche nella sua accezione più ampia, dall’altro, il carattere irregolare e imprevedibile di Washington ha alimentato negli ultimi anni una destabilizzazione tale da rendere ancora più complesso il raggiungimento di un’unità europea. Gli Stati Uniti possono infatti esercitare un’influenza significativa sulle decisioni assunte dai Paesi europei, causando in taluni casi interruzioni nel processo decisionale dell’UE. In tal senso, la sopracitata questione riguardante Huawei offre un esempio interessante. Nonostante alcuni tentativi di coordinamento messi in atto dalla Commissione europea, si è detto che la responsabilità principale per la diffusione delle reti 5G è effettivamente rimasta nelle mani dei singoli governi, ciò anche in ragione del fatto che la tematica è affrontata in termini di sicurezza nazionale, settore nel quale gli Stati membri sono sovrani. In particolare, sebbene l’atteggiamento iniziale adottato dalla maggioranza dei Paesi europei fosse caratterizzato da un certo grado di cautela, senza che lo stesso risultasse però incline al divieto assoluto come richiesto invece dagli Stati Uniti, si è successivamente assistito ad un progressivo allineamento con Washington. [5]

Ora, a pochi giorni dalla vittoria di Joe Biden alle presidenziali americane, appare ragionevole pensare che la nuova amministrazione si farà rappresentante di un’America più favorevole al dialogo, un elemento quest’ultimo che genererebbe verosimilmente uno sviluppo positivo, fermo restando che nella definizione di un’intesa comune l’UE dovrà comunque dimostrare di saper sostenere un’azione unitaria. Quel che è certo è che gli Stati membri non saranno in grado di plasmare una politica europea coerente attraverso le sole dichiarazioni congiunte, ma sarà bensì necessario che essa poggi su risultati tangibili. La strategia cosiddetta EU-Asia Connectivity ha rappresentato un importante impulso per la proiezione europea nel continente asiatico, tuttavia, essa richiede un ambito regionale più ampio e finanziamenti meglio coordinati a fronte dell’ingente sfida rappresentata dalla Cina. Posto che si tratta di un argomento ben più complesso, meritevole senza dubbio di una trattazione a parte, l’idea di base dovrebbe essere quella di riunire le diverse branche della cooperazione economica, del commercio e dello sviluppo facendo in modo che la nuova struttura si basi su norme e standard dell’UE. In particolare, Bruxelles dovrebbe garantire che l’impegno della Cina nel processo sia vincolato da condizioni chiare, il che significa dare conto dell’approccio europeo basato sull’implementazione di regole. Pertanto, le ragioni affinché l’Europa si adoperi con urgenza ad una chiara definizione della propria politica nei confronti della Cina sono numerose. Ciò diviene tanto più impellente se si considera il fatto che l’amministrazione Trump ha fornito a Bruxelles l’ennesima prova di come la questione cinese definisca il futuro della politica estera americana e, conseguentemente, le relazioni transatlantiche.

Note

[1Il governo britannico ha così vietato alle compagnie di telecomunicazioni l’acquisto di nuove apparecchiature prodotte da Huawei, fissando al 2027 il limite massimo per la rimozione delle tecnologie dalle loro reti 5G.

[2Le Corre P. e Ferguson J., How Europe’s Big 3 Are Shifting on China, in The Diplomat, 14 agosto 2020. Reperibile al link: https://thediplomat.com/2020/08/how-europes-big-3-are-shifting-on-china/

[3Oertel J., The New China Consensus: How Europe is Growing Wary of Beijing, European Council on Foreign Relations, Policy Brief, settembre 2020.

[4Ibidem.

[5Perissich R., Europe’s China Question, ISPI, 15 settembre 2020. Reperibile al link: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/europes-china-question-27316

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