Voto di fiducia: il paradosso spagnolo

, di Timothée Houzel, Traduit par Francesco Cuccù

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Voto di fiducia: il paradosso spagnolo

Alla guida del governo spagnolo da giugno 2018, in seguito a una mozione di sfiducia verso Mariano Rajoy, uscito vincitore dalle elezioni legislative di aprile 2019 senza ottenere una maggioranza assoluta, Pedro Sanchez deve affrontare la sua rielezione a capo del governo in un voto di fiducia il 23 luglio. Un voto che rischia di fallire e di far precipitare la Spagna – se l’impasse continuerà dopo un secondo no del Parlamento – in una paralisi senza precedenti negli ultimi 40 anni. Una simile situazione sarebbe paradossale, tanto più che sulla scena politica europea la Spagna rafforza il suo ruolo strategico e cerca di influenzare l’agenda politica dei prossimi anni.

Una paralisi politica, simbolo della fine del bipartitismo spagnolo

Il Partito socialista spagnolo (PSOE), nonostante la vittoria alle elezioni di giugno 2018, dispone solo di 123 deputati su 350. Se da aprile l’attività parlamentare è inesistente – nessuna seduta plenaria è stata convocata –, non sono mai cessate le trattative per tentare di trovare una maggioranza impossibile per il voto di fiducia che dovrebbe garantire la riconferma di Pedro Sanchez alla testa dell’esecutivo. Tuttavia, a qualche ora dal voto, Sanchez non ha ancora nessun alleato:

L’opzione PSOE - Podemos (il partito di sinistra radicale con 42 seggi) è fallita, dopo che Pedro Sanchez, rifiutando un governo di coalizione, ha annunciato una interruzione unilaterale dei negoziati il 15 luglio. Podemos esigeva di entrare a far parte del governo in cambio del proprio appoggio. Questo rifiuto ha tre cause principali:

• Una simile coalizione avrebbe suscitato una forte opposizione degli altri partiti, impedendo a Sanchez di ottenere una maggioranza sufficiente, dal momento che questa opzione non avrebbe la maggioranza assoluta (165 seggi contro i 176 necessari);

• Podemos avrebbe cercato di piegare le priorità socialiste, in particolare il rispetto dei criteri di bilancio europei;

• Sulla questione della Catalogna, i due partiti sono divisi, con i socialisti a favore di una linea dura contro i separatisti e Podemos più possibilista e aperto alla possibilità di un referendum sull’autodeterminazione.

Rinunciando il 19 luglio a un portafoglio ministeriale, Pablo Iglesias, il segretario generale di Podemos, ha consentito un rilancio in extremis dei negoziati che comunque potrebbero fallire prima del voto di fiducia.

L’opzione PSOE - Ciudadanos (il partito di centrodestra con 57 seggi) avrebbe permesso di ottenere una maggioranza assoluta, ma da un lato Ciudadanos rifiuta ogni alleanza col PSOE, dall’altro il PSOE rimette in discussione le trattative in seguito alle elezioni municipali e regionali di maggio scorso, che hanno dato vita ad alleanze tra Ciudadanos e i conservatori del PP col sostegno di Vox, l’estrema destra spagnola.

Alla vigilia di un voto decisivo, Pedro Sanchez ha presentato il suo programma di governo ai deputati facendo appello alla loro “solidarietà e generosità”. Se non ha presentato la lista dei ministri che intende far approvare oggi, ha comunque fatto presente la sua volontà di guidare una coalizione di governo “progressista, femminista ed ecologista”.

Un primo voto si tiene oggi, il 23 luglio, in cui sarà necessaria una maggioranza assoluta introvabile per Sanchez. In caso di fallimento, un secondo voto sarà tenuto il 25 luglio, in cui solo una maggioranza semplice dei voti sarà richiesta. L’astensione del PP e di Ciudadanos potrebbe così permettere a Sanchez di ottenere una maggioranza semplice grazie ai voti di Podemos e di alcuni partiti regionalisti. Tuttavia, in caso di voto contrario e nell’impossibilità di trovare una maggioranza, il Parlamento dovrà essere sciolto e a novembre saranno indette le elezioni anticipate.

Tale situazione è caratteristica di un panorama politico spagnolo frammentato e squilibrato, in seguito alla comparsa di tre nuovi partiti: l’estrema destra di Vox nel 2013, la sinistra radicale di Podemos e i liberali di Ciudadanos nel 2014. Questi partiti si scontrano contro il bipartitismo tradizionale con un’alternanza di PP e PSOE dalla fine della dittatura, frammentando l’elettorato e rendendo di fatto più difficile o addirittura impossibile la ricerca di una maggioranza di governo. Questa paralisi politica si ritrova del resto a livello locale in seguito alle elezioni regionali di maggio scorso, che hanno visto affrontarsi i tre partiti di destra nelle regioni di Madrid e Murcia, obbligati poi a trovare un’intesa per eleggere i governatori.

Una situazione nazionale in contrasto con un’influenza crescente sulla scena politica europea

Pedro Sanchez, senza avere la prerogativa di un governo con un mandato pieno, resta comunque alla guida del paese e ha saputo approfittare del buon risultato del suo partito alle ultime elezioni europee per rinforzare il ruolo della Spagna nello scenario politico continentale, su due livelli.

Un contesto europeo propizio per influenzare l’agenda europea

Con la Brexit che non cessa di dividere i britannici, il governo euroscettico in Italia che isola il paese sulla scena europea, l’Olanda poco interessata a difendere un rilancio del progetto europeo, la coppia francotedesca alla ricerca di nuovi alleati etc., la Spagna si trova ad essere un partner privilegiato per proseguire nell’integrazione europea. Perché dopo aver avuto un ruolo passivo sulla scena internazionale e aver perduto influenza sulla scena europea con la crisi del debito pubblico, la Spagna è ormai pronta a giocare un ruolo attivo in ambito europeo. In tal senso, a maggio scorso, Pedro Sanchez ha diffuso una nota in vista del vertice del Consiglio europeo in Romania, evidenziando 10 priorità strategiche per i prossimi anni come la creazione di un’assicurazione comune contro la disoccupazione, di un sistema europeo di garanzia dei depositi, di un bilancio per la Zona Euro, di un Tesoro europeo capace di emettere debito comune etc.

Una volontà di rinforzare la presenza spagnola nelle istituzioni europee

Alla guida del PSOE, vincitore delle elezioni europee (33% dei voti contro il 20% del PP e il 12% per Ciudadanos) e con la più grande delegazione di deputati europei del gruppo socialista – la seconda più importante famiglia politica al Consiglio europeo così come al Parlamento europeo –, Sanchez si qualifica come leader socialdemocratico europeo. Essendo riuscito a garantire a Josep Borrell, suo Ministro degli Esteri, uno dei quattro ruoli chiave delle istituzioni europee (Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza), sarà anche capace di influenzare gli equilibri del Parlamento europeo. Perché se i tedeschi hanno la delegazione principale nel Partito popolare (PPE), e i francesi nel partito centrista (Renew Europe), gli spagnoli hanno più deputati conservatori dei francesi e più liberali dei tedeschi, facendo della Spagna un perno nell’ambito di ciascuno dei tre gruppi politici che formeranno le maggioranze nel Parlamento europeo nei prossimi anni.

Infine, la vicinanza di Pedro Sanchez al Presidente francese, col quale promuove l’avanzamento dell’integrazione europea, pone la questione del confronto PSOE - Ciudadanos, rivelandosi questi ultimi alleati preziosi del partito di Emmanuel Macron.

Fonte immagine: Flickr.

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