L’Unione europea ha il suo “Governo”: Ursula von der Leyen è di nuovo Presidente della Commissione europea.
Una riconferma tutt’altro che scontata, se si guarda alla composizione delle altre Istituzioni comunitarie. Il Parlamento europeo ha sì una maggioranza europeista, ma con una presenza sempre più grande delle forze nazionaliste, in gran parte di destra, il Consiglio europeo include figure come Orbán e Meloni, certamente contrarie a un ulteriore rafforzamento della Commissione e del Parlamento e a una qualsiasi idea federalista. Una riconferma valevole di alcune osservazioni.
La vittoria pirrica delle destre nazionaliste
In buona parte dell’Unione europea c’è stato un avanzamento delle forze nazionaliste ed euroscettiche. In Italia, Fratelli d’Italia, del Gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR), è risultato il primo partito alle elezioni europee. Lo stesso è accaduto in Francia per il Rassemblement National di Le Pen e Bardella, originariamente parte di Identità e Democrazia (ID), ma ora passato al nuovo gruppo dei Patrioti per l’Europa (PFE). In Germania, Alternative für Deutschland, che ora si colloca nel gruppo Europa delle Nazioni e della Libertà, (ESN) ed è diventato il secondo partito dopo la CDU, a scapito del SPD. In Ungheria, Fidesz (PFE) ha mantenuto il primato, anche se in calo. In Spagna, Vox, che precedentemente faceva parte dell’ECR, ora anch’esso nel PFE, ha registrato un aumento di consensi, senza però un exploit significativo. Infine, in Polonia e nei Paesi Bassi, le forze europeiste hanno contenuto con molta fatica rispettivamente Diritto e Giustizia (ECR) e il Partito della Libertà (PFE) di Wilders.
Nonostante il notevole risultato, tutte queste forze politiche non sono riuscite a sfruttare i rispettivi successi. Dopo le elezioni, questi gruppi europei hanno subito un ridimensionamento simbolico (non a livello di numeri!), in particolare Fratelli d’Italia e Rassemblement National.
All’indomani delle elezioni europee, Giorgia Meloni, premier italiana e Presidente di ECR, puntava a creare un’alleanza di destra con i Popolari, collocando quindi “all’opposizione le Sinistre anche in Europa”. Ma tra i veti dei Socialisti e dei Verdi, le dichiarazioni di von der Leyen di non includere i Conservatori e gli stessi tentennamenti di Meloni, la probabilità di una maggioranza PPE-ECR è andata sempre di più diminuendo.
Inoltre, ECR ha subito ulteriori colpi da parte di numerosi esponenti dell’estrema destra europea, a partire da Orbán, che si è recato in visita di Stato in Russia, in aperto contrasto con la linea promossa da von der Leyen. Il partito del leader ungherese, dopo l’espulsione dal PPE, era alla ricerca di una nuova collocazione europea, e un tempo l’adesione ai Conservatori e Riformisti sembrava probabile. Tuttavia, la situazione è cambiata: Orbán ha dato vita al gruppo dei «Patrioti per l’Europa», a cui hanno aderito la Lega (alleata e rivale di FdI), Vox (che ha lasciato l’ECR), il Rassemblement National, il Partito della Libertà austriaco e quello olandese. Questo nuovo gruppo è diventato il terzo più numeroso, superando lo stesso Gruppo Conservatore-Riformista.
Come se non bastasse, Alternative für Deutschland ha creato un ulteriore gruppo, Europa delle Nazioni Sovrane (ESN), che comprende anche Reconquête di Zemmour.
La consistenza dei Patrioti è senza alcun dubbio un grosso colpo per ECR e Meloni, la cui leadership è stata messa fortemente in discussione. Ma se Atene-ECR piange, Sparta-Patrioti non ride (e Corinto-ESN sta a guardare). Infatti, il gruppo di Orban - al di là della questione della vicepresidenza alla Lega - è rimasto azzoppato, anche se a livello politico-simbolico, dopo il risultato di altre elezioni: le legislative anticipate in Francia, che hanno visto una sconfitta del partito di Le Pen, rimasto al terzo posto dopo il Nuovo Fronte Popolare delle sinistre unite e i partiti centristi che fanno a capo a Macron. Quest’ultimo mantiene comunque l’incarico di Presidente della Repubblica, restando nel Consiglio europeo che, tra i vari compiti, ha anche quello di nominare il Presidente della Commissione Europea.
Tutti e tre i gruppi nazionalisti, escludendo i Non Iscritti, insieme raccolgono 164 Eurodeputati, secondi solo al PPE, ma essendo divisi su molte questioni, come le migrazioni, la politica estera, e - forse - l’obiettivo di conquistare il potere nazionale nei singoli Paesi, pare che un grande blocco nazionalista ed euroscettico sembra molto improbabile, almeno per il momento. La sconfitta delle destre non è comunque definitiva.
Il meccanismo degli Spitzenkandidaten
A differenza della legislatura europea del 2019, questa volta Ursula von der Leyen è stata la “candidata di punta” per i Popolari del PPE.
Questo sistema cerca di dare forma alla disposizione del Trattato di Lisbona, secondo cui il “Consiglio europeo nomina la Commissione europea tenendo conto dei risultati delle elezioni per il Parlamento europeo.” Si tratta di un tentativo di collegare queste elezioni alla formazione della Commissione europea, come se fosse una forma di Governo parlamentare.
A questo punto però “si mette in mezzo” il Consiglio europeo, che (come accennato sopra) sceglie il Presidente della Commissione, per la cui nomina serve una maggioranza di due terzi, soglia non sempre raggiungibile a seconda delle situazioni. Per esempio, nel 2019, per evitare che diventasse “premier europeo” il popolare tedesco Manfred Weber, la seconda opzione era il socialista olandese Frans Timmermans, il quale era ostacolato dal Gruppo di Visegrad. Il risultato è stata la scelta di Ursula Vvn der Leyen, allora esterna alla competizione.
Nel 2024 Von der Leyen, stavolta candidata, sembrava l’unica personalità a poter diventare Presidente della Commissione, ma i possibili veti tra i vari gruppi politici e nel Consiglio europeo rischiavano di bloccarla e di proporre altre figure non candidate - c’erano addirittura voci sulla possibilità di conferire l’incarico a Mario Draghi.
Quindi gli Spitzenkandidaten hanno funzionato? Difficile rispondere. Anche se i Gruppi europei hanno proposto i propri “candidati di punta”, la competizione elettorale europea resta divisa a livello di Stati membri, rendendo ancora una volta queste votazioni come “elezioni nazionali bis”, con l’apparente impossibilità di far conoscere i “candidati premier” europei. Consegue quindi che l’esito delle elezioni europee è la somma dei risultati nei singoli paesi membri.
Se ci fossero elementi sovranazionali, forse questi risultati elettorali sarebbero diversi. Il fatto che Von der Leyen sia arrivata prima, è dovuta alla somma dei risultati elettorali dei partiti membri del PPE, e la fiducia a lei concessa dal Parlamento europeo è frutto di accordi con gli altri gruppi politici nel Parlamento europeo. Altro elemento - forse non molto influente - è che Frau Ursula era la candidata più conosciuta dal punto di vista mediatico.
Inoltre, risulta molto improbabile che al suo posto poteva esserci un socialista, un liberale o un verde, specialmente con la prominente presenza del Consiglio europeo.
Per concludere questo punto, mentre gli Spitzenkandidaten nel 2019 sono stati messi da parte, questa volta il meccanismo sembra incerto. Nominare un Presidente della Commissione sulla base dei risultati elettorali europei, non è una cosa diretta, per via degli attori e degli eventi che potrebbero mettere da parte la “nomina elettorale”. In altre parole, i candidati di punta darebbero impressione che sia tutto apparenza.
La nuova “Maggioranza Ursula”
Passando alla rinnovata maggioranza, si conferma quel blocco trasversale pro-europa Popolari-Socialisti-Liberali-Verdi.
Sulla base del precedente del 2019, c’era il timore dei franchi tiratori come era avvenuto alla stessa von der Leyen la prima volta, quando ottenne una maggioranza risicata grazie anche ai deputati del Movimento 5 Stelle, mentre i Verdi si erano astenuti adottando una forma di opposizione “costruttiva”.
Stavolta, la maggioranza per la fiducia è stata più solida, ma al suo interno la composizione è sensibilmente cambiata: i Popolari non solo mantengono il primato, ma sono aumentati. Comunque è giusto ricordare che il PPE era diviso su mantenere la “maggioranza Ursula” oppure schierarsi con i Conservatori.
I Socialisti sono riusciti ad avere circa lo stesso numero dei seggi, con l’affermazione di alcuni partiti nazionali (es. Francia e Italia), compensando perdite in altri Paesi (es. Germania), ma soffrendo i seggi dello SMER slovacco, sospeso dal PSE.
Renew Europe e Verdi/ALE, al contrario del 2019, hanno ottenuto seggi in meno, per questioni - la crisi abitativa, la guerra in Ucraina e il Green Deal - legate alle rispettive politiche nazionali.
Infine, non è più nella maggioranza europea il Movimento 5 Stelle (adesso parte della Sinistra/GUE-NGL) che non approva la "svolta bellicista” della Commissione von der Leyen.
Una parentesi italiana: nonostante la “vittoria elettorale” di Fratelli d’Italia, il Partito Democratico e l’Alleanza Verdi-Sinistra (AVS), hanno ottenuto dei buoni risultati, contribuendo a rinforzare i rispettivi gruppi politici nel PE, rispettivamente S&D e Verdi e Sinistra. A questo potremmo aggiungere il lieve recupero di Forza Italia, che appartiene al PPE e che quindi ha (o avrebbe) sostenuto Von der Leyen come “Spitzenkandidat”.
Non tanto perché i rispettivi numeri - in percentuali e seggi - messi insieme superano (a elezioni fatte) il partito di Meloni, ma perché hanno contribuito, per vie diverse, a tenere una maggioranza pro-europea. Anche se Sinistra Italiana e M5S hanno votato contro la riconferma di von der Leyen.
Il contributo europeista dall’Italia sarebbe stato maggior se Renew Europe avesse avuto i suoi eurodeputati dall’ex-Terzo Polo. Le liste di Azione-Siamo Europei e di Stati Uniti d’Europa hanno corso da sole nonostante i programmi molto simili e le idee praticamente uguali su quale assetto dare all’Europa (molto vicine alle posizioni federaliste). Il tutto per un’inutile rivalità tra i due leader, che alla fine sono stati puniti dalle urne. Sommando i loro risultati, le due liste hanno (o avrebbero) preso il 7,14%: se avessero corso insieme, forse avrebbero superato la soglia di sbarramento, ottenendo un risultato simile (o maggiore) a quello di AVS o più vicino a Forza Italia o Lega.
Per chiudere la parentesi, il carattere europeista in Italia sembra provenire più dai partiti che dagli elettori in generale.
E adesso?
Il prossimo passo sarà la formazione del Collegio di Commissari, simile al Consiglio dei Ministri in Italia. Anche se la Commissione dovrebbe agire in modo indipendente, mantiene il carattere intergovernativo della composizione - un Commissario per ogni Stato membro.
Con la fiducia alla tedesca von der Leyen (popolare) e l’accordo di assegnare la carica di Alto Rappresentante all’estone Kaja Kallas (liberale), mancano 25 Commissari, alcuni dei quali saranno vice-presidenti della Commissione. Spesso, l’orientamento politico dei singoli Commissari rispecchia quello del Governo in carica del Paese membro di provenienza.
Per quanto riguarda l’Italia, è diffusa l’ipotesi di affidare a Raffaele Fitto (FdI, attuale Ministro per gli Affari Europei e per l’attuazione del PNRR) l’incarico di Commissario per il Mediterraneo, una delega inedita, considerata più simbolica (o riduttiva) che cruciale.
Nel suo discorso per la fiducia, von der Leyen ha riassunto tutto quello che è stato fatto e accaduto negli ultimi cinque anni, ha preso le distanza dalle forze estremiste e ha dettato i punti dell’azione della futura Commissione per una "Europa più forte che offre prosperità, che protegge le persone e che difende la democrazia. Un’Europa più forte che offre equità sociale e sostiene le persone. Un’Europa più forte che attua quanto concordato in modo equo. E che si attenga agli obiettivi del Green Deal europeo con pragmatismo, neutralità tecnologica e innovazione”.
Oggetto principale del discorso, molto argomentato, è un ruolo più ambizioso per la Commissione europea in molti settori.
Sulla difesa però tale ambizione pare attenuata sulla difesa, poiché “gli Stati membri manterranno la responsabilità della loro sicurezza nazionale e dei loro eserciti. E la Nato rimarrà il pilastro della nostra difesa collettiva.”
Anche se vengono accennati progetti comuni, come un sistema di difesa aereo e la creazione di un mercato comune della difesa, non sembra che ci siano grandi cambiamenti per quanto riguarda un maggiore ruolo della Commissione europea, che sembra più di supporto agli Stati membri. Inoltre, non vengono accennati gli strumenti di difesa già a disposizione come la PESCO, le Forze di Azione Rapida e i Battlegroups. Nemmeno l’opportunità della Cooperazione Strutturata Permanente.
Sulla democrazia, Von der Leyen propone un apposito “scudo europeo” per contrastare le interferenze esterne, in particolare la manipolazione dell’informazione, nonché un sostegno alla stampa indipendente e all’alfabetizzazione mediatica, nonché una democrazia europea più partecipativa - per la quale eistono già strumenti - non menzionati nel discorso - come le petizioni al Parlamento europeo e l’Iniziativa dei Cittadini europei.
Infine, citando molte personalità tra cui (indirettamente) Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni - “i tre prigionieri che negli anni ’40, sull’isola di Ventotene, hanno delineato la visione di un continente unito”, la riconfermata Presidente della Commissione europea ha parlato di un “ambizioso programma di riforme” a cominciare da un partenariato più stretto tra la Commissione e il Parlamento e conferire a questi il diritto di iniziativa legislativa. Tuttavia non vengono menzionati il superamento dell’unanimità e l’abolizione del veto (che toccano il Consiglio europeo e il Consiglio), né l’impegno per una Riforma dei Trattati, che sia una Costituente o una Convenzione. Nel suo discorso accenna che si può cambiare l’Unione a Trattati esistenti.
Riassumendo, le elezioni per il Parlamento europeo sono state fatte, nonostante il notevole astensionismo. I candidati per la Presidenza della Commissione europea sono stati promossi dai Gruppi europei, ma questo è passato (quasi) in sordina e le elezioni (ancora una volta) sono passate come singole competizioni nazionali fini a se stesse.
Ursula Von der Leyen questa volta si è candidata, ma la sua notorietà, nel bene e nel male, è dovuta al suo primo mandato di Presidente della Commissione europea.
Le forze nazionaliste hanno avuto un notevole risultato, ma non risultano particolarmente vittoriose. La loro avanzata, sia nei loro Paesi sia nelle Istituzioni europee, è ancora lenta, ma costante.
La democrazia ha retto, ma sembra sempre più debole, mentre una democrazia europea in senso transnazionale è ancora in salita.
I prossimi passi saranno la scelta e l’esame dei singoli Commissari del “Governo europeo” e la fiducia dal Parlamento europeo a tutto il collegio della Commissione.
Nonostante l’intento di una “Europa più forte”, i punti più importanti - difesa e riforma dell’assetto istituzionale dell’Unione sembrano piuttosto deboli, anche se per ragioni comprensibili.
Non si sa se sarà la volta buona per un’Europa (vicino all’assetto) federale. Forse ci saranno alcuni progressi, ma non avranno strada facile. E la consapevolezza (fattore extra-istituzionale) dei cittadini e delle società di far parte di una casa - un’Unione europea da migliorare - più ampia dei rispettivi Stati membri, per restare ottimisti, sembra che debba fare molta strada.
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