Potrebbe sembrare che la decisione del Consiglio Europeo di nominare Juncker come Presidente della Commissione europea rientri nella normalità degli avvicendamenti ai vertici delle istituzioni comunitarie. Sicuramente qualcuno cercherà di presentarla così, per fingere che nulla è cambiato. Ma è una decisione storica, che altera gli equilibri inter-istituzionali rafforzando il Parlamento nei confronti dell’onnipotente Consiglio europeo, come previsto dalle norme del Trattato di Lisbona, che alcuni governi nazionali avrebbero voluto scavalcare, mettendo in discussione i principi del rispetto dei patti e del diritto, essenziali per la democrazia.
In virtù di questa decisione l’Unione ha iniziato a cambiare natura, avviandosi verso la strada di una democrazia sovranazionale europea, con un regime di governo parlamentare, ovvero verso un sistema di governo più compiutamente federale.
Questo è il motivo della strenua opposizione del premier inglese Cameron. Ha provato e sperato fino all’ultimo di far valere la vecchia regola del consenso unanime dei governi nazionali, ma la nomina è stata decisa a maggioranza qualificata, come previsto dal Trattato di Lisbona, con la sola opposizione di Cameron e Orban. Significativo il commento del premier britannico sul fatto che i governi nazionali rimpiangeranno il metodo di questa nomina. Il metodo è infatti l’elemento decisivo.
In primo luogo la nomina di Juncker segna una vittoria del Parlamento europeo. L’indicazione dei gruppi politici del Parlamento e i risultati elettorali non possono essere ignorati, non sono consultivi, ma hanno pregnanza politica. Può sembrare ovvio e scontato in democrazia, ma ben pochi prima delle elezioni credevano che i governi avrebbero accettato di perdere sostanzialmente il potere di nomina a favore del Parlamento, dei partiti, e dei cittadini europei.
In secondo luogo ha prevalso il Trattato di Lisbona, il primato della legge e della democrazia, sulla presunta onnipotenza e connivenza dei governi nazionali. Questa è una vittoria della democrazia europea: il voto dei cittadini e delle cittadine europee conta. Da un lato determina la leadership della Commissione, l’embrione di governo europeo, come avviene di solito a livello nazionale nei sistemi parlamentari in cui il leader o il candidato del partito di maggioranza relativa è il primo a provare a formare un governo. Dall’altro si tiene conto più in generale delle indicazioni emerse dal voto predisponendo un’agenda politica europea incentrata su crescita e occupazione in coerenza con esse. Avremo dunque un popolare alla testa di una Commissione con un’agenda in larga misura social-democratica.
Tutto questo rafforza Juncker, che non è un candidato debole e di compromesso che accontenta tutti, ma quello che si è guadagnato l’ostilità del leader più euroscettico, Cameron, e di quello meno democratico, Orban. Avrà quindi una forte legittimazione e la possibilità di prendere iniziative innovative e di dettare l’agenda europea ridando forza alla Commissione come organo di governo sovranazionale e contando su un’alleanza politica forte nel Parlamento europeo. Una buona base, essendo le istituzioni sovranazionali quelle che più hanno chiesto politiche per la crescita e investimenti e criticato l’austerity.
Alcuni, anche nel campo europeista, hanno criticato il processo degli Spitzenkandidaten per le modalità di nomina differenziate, il fatto che alcuni dei candidati alla presidenza della Commissione non fossero anche candidati al Parlamento europeo, e altri aspetti a mio avviso non decisivi. Va riconosciuto che questa prima esperienza ha avuto diversi limiti, inclusa la scarsa attenzione dei media, legata all’aspettativa che in realtà il Presidente della Commissione non sarebbe stato uno dei candidati dei partiti, ma qualcuno scelto dai governi nazionali. Ma proprio il successo di questo processo, porterà al superamento di tali limiti, rafforzando decisamente la democrazia europea.
Questo precedente costringerà gli aspiranti alla Presidenza della Commissione in futuro a candidarsi esplicitamente alle prossime elezioni, e prima ad ottenere la nomination da parte dei loro partiti europei, e comporterà una più esplicita previsione e regolamentazione delle modalità con cui effettuare la nomination ed un conseguente rafforzamento dei partiti europei, ora assai deboli.
In sostanza i leader di primo piano che aspirano alla Presidenza della Commissione non potranno più starsene in disparte a preparare il terreno di negoziati segreti, ma dovranno mettersi a confronto prima dentro al loro partito, e poi davanti agli elettori europei. Ciò sarà rafforzato dal fatto che il posto in palio non sarà più la “vecchia” Presidenza della Commissione, ma la “nuova” Presidenza, che proprio in virtù del nuovo processo di selezione, godrà di una legittimità e di un potere decisamente accresciuti. Il “nuovo” presidente non sarà un primus inter pares nella Commissione, ma avrà una capacità di indirizzo molto maggiore.
Il sistema di governo dell’Unione è rimasto finora largamente intergovernativo, ma l’esito dello scontro attuale tra Parlamento e Consiglio europeo spinge verso un sistema di governo parlamentare, rafforzando la democrazia europea, l’accountability verso i cittadini, e rendendo le elezioni europee un momento fondamentale nel definire l’agenda dell’Unione, e spingendo i leader politici a confrontarsi nelle elezioni europee.
Tutto questo catalizzerà l’attenzione dei cittadini e dei media sui programmi e sui dibattiti tra i candidati alle prossime elezioni, creando uno spazio pubblico europeo, oggi allo stato embrionale. L’alternativa sarebbe stata la marginalizzazione e delegittimazione del Parlamento, la perdita di fiducia dei cittadini europei e lo svuotamento delle elezioni europee, aprendo la strada a una deriva intergovernativa.
Sono queste le ragioni che mi hanno spinto, insieme a Stefan Collignon e Simon Hix, a promuovere l’appello L’ora della democrazia europea, cui hanno subito aderito grandi personalità della cultura tra cui Zygmunt Bauman, Ulrich Beck, Lorenzo Bini Smaghi, Paul De Grauwe, Anthony Giddens, Jürgen Habermas, Christian Lequene, Claus Offe, Gianfranco Pasquino, Costantinos Simitis, Hans-Werner Sinn, Mario Telò, Nadia Urbinati oltre a numerosi docenti universitari e direttori di think tanks di diversi Paesi europei.
L’appello è stato pubblicato a inizio giugno su Eutopia Magazine da diversi quotidiani in Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna, oltre che da settimanali e siti specializzati. I promotori e i firmatari per la maggior parte non sono sostenitori dei popolari europei né delle politiche dell’austerità, eppure hanno chiesto la nomina di Juncker. Perché in gioco in questa decisione non c’era solo la prossima leadership della Commissione, ma il futuro del sistema di governo e della democrazia nell’Unione. E di fronte ai tornanti della storia chi ha a cuore la democrazia non può stare semplicemente a guardare, ma ha il dovere di prendere posizione.
La designazione di Juncker è una decisione storica che rafforza la democratizzazione e federalizzazione dell’Unione. Ma si tratta di un processo fragile e in divenire, che richiede ancora impegno e passione per essere portato a compimento. Intanto ricordiamoci il 27 giugno 2014: un bel giorno per la democrazia in Europa
1. su 11 agosto 2014 a 13:58, di Jean-Luc Lefèvre In risposta a: Una vittoria della democrazia europea
Une excellente analyse, un regard lucide sur ce pas en avant dans la constitution d’un espace public européen! Comment ne pas être d’accord en effet avec le Prof CASTALDI quand il parle d’un «processus fragile et en devenir»? Quel sera le prix à payer pour éviter le Brexit? Prix il y aura, nécessairement, pour éviter une sortie du Royaume Uni! Espérons que la nomination de JUNCKER à la tête d’une Commission appelée à devenir le gouvernement de l’Union ne soit pas une victoire à la Pyrrhus! Alors, oui...L’engagement et la passion sont toujours à l’ordre du jour. Faites donc aussi aussi connaître «Eutopia Magazine» au-delà des frontières des mâles dominants en Europe!!!
2. su 21 dicembre 2014 a 18:03, di giuseppe marrosu In risposta a: Una vittoria della democrazia europea
Franchement, on en a assez du Royaume-UniAssez de concessions aux Anglaises. Assez de manque de democratie aussie. S’ils veulent sortir, qu’ils sortent.
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