Assistiamo sempre più spesso a un giornalismo malsano, corrotto da sensazionalismi e disinformazione, un nemico terribile, specie nel delicato periodo che tutto il mondo sta affrontando. Come combatterlo evitando di compromettere la libertà di stampa, già in difficoltà in numerosi Paesi? È troppo ambizioso immaginare una strategia europea?
Corre l’anno 2021, è possibile contattare una persona dall’altra parte del globo in meno di un secondo, i mezzi di trasporto avanzano progressivamente verso un’alimentazione a impatto zero, il settore aerospaziale progetta tragitti interplanetari non a scopo di ricerca, e informarsi è sempre più difficile. C’è qualcosa che stona in questa frase di apertura, vero?
Capiamoci, raccogliere notizie è una passeggiata, le edicole di ogni città, paese o borgo del cosiddetto “primo mondo” sono fornite di quotidiani e riviste per tutti i gusti e internet permette di essere aggiornati minuto per minuto su qualsiasi cosa accada al di fuori della propria dimora. Tuttavia, come per la maggior parte degli ambiti, la valutazione va compiuta sulla qualità, non sulla quantità. Tenendo conto che il giornalismo è un’attività concorrenziale e che gli stratagemmi che tanti organi di stampa adottano per richiamare l’attenzione del lettore sono, anno dopo anno, sempre più maliziosi, la difficoltà nel giudicare a scatola chiusa, o meglio, ad articolo non ancora aperto, è estrema.
Sensazionalismi, giustizialismi, notizie scorrette o false da capo a coda, a questo si assiste ogni giorno, specialmente dal momento in cui la pandemia ha preso il sopravvento sulla vita quotidiana di ciascuno di noi. Nell’ultimo periodo i temi accattivanti non sono mancati, dall’origine del virus alle modalità con cui questo viene trasmesso, dalle politiche di contenimento adottate dai vari Paesi alle competenze spartite tra le istituzioni, dalla gestione del vaccino alle sue controindicazioni.
La stampa è un settore in crisi, lo è da anni, e non esiste autore o editore che neghi questo fatto, ma ciò non è sufficiente come scusante per gestire l’informazione in modo malsano, soprattutto quando si tratta un tema delicato come quello del coronavirus. Senza contare poi che, in parecchi Stati, vigono regole ferree volte a plasmare la figura del giornalista e il suo lavoro, un vero peccato che non trovino il giusto rispetto.
Uno dei documenti giuridici ad hoc sul tema è l’italiano “Testo unico dei doveri del giornalista”, in vigore dal 2016. Nasce da un’evoluzione di diverse Carte sottoscritte dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti nel corso degli anni, tra queste, particolare importanza ha la Carta di Roma, siglata nel 2008 a seguito dello sciacallaggio mediatico compiuto da numerosi reporter riguardo la strage di Erba. Della strage la stampa incolpò preventivamente, e senza giustificato motivo, il tunisino Azouz Marzouk, che, di conseguenza, si ritrovò sommerso da una valanga di insulti, spesso xenofobi, e minacce. Si trattò di un ulteriore caso di giustizialismo in diretta televisiva, pratica che ha una storia tristemente lunga, per ritrovare i primi casi, è necessario fare un passo indietro nel tempo di più di cinquant’anni. Indimenticabile è la condanna di Pietro Valpreda a opera di giornalisti di fama nazionale che, come fonte, si fecero bastare il “sentito dire”. Era il 1969, erano passate poche ore dalla strage di Piazza Fontana a Milano, la sentenza si rivelò completamente errata.
Nel suddetto Testo unico sono indicati in primis i fondamenti deontologici del giornalista, quello posto in cima all’elenco riguarda la difesa del diritto all’informazione. Si esplicita che, affinché questa sia effettiva, ogni giornalista ha il dovere di ricercare, raccogliere, elaborare e diffondere, con la maggior accuratezza possibile, ogni dato o notizia di pubblico interesse. Il punto focale è il rendere nota la verità sostanziale dei fatti, va da sé che ogni approssimazione negli accertamenti e ogni titolo fuorviante contrastino con tale principio. Il documento segue poi, con l’articolo dedicato ai doveri nei confronti dei soggetti più deboli, con un concetto che mal si sposa con quanto pubblicato da numerosi quotidiani nel corso della pandemia, ossia il dovere del giornalista di evitare, nella pubblicazione di notizie su argomenti scientifici, un sensazionalismo che possa far sorgere timori o speranze infondate. Riprendendo il discorso fatto in precedenza sul comune giustizialismo operato da giornali e televisioni, è opportuno citare altresì l’articolo sulla cronaca giudiziaria, secondo cui il giornalista deve sempre e comunque rispettare il diritto alla presunzione di non colpevolezza. Non essendo una lezione di diritto, non credo sia opportuno elencare ulteriori indicazioni presenti nel testo. Bastano le norme riportate a esempio, e il fatto che siano continuamente violate, per compiere una riflessione in malafede: o mai alcun redattore ha preso in considerazione tale regolamento, o la necessità di vendere non ha soffocato solo la legge, ma anche la morale.
Se si prende in considerazione la seconda tesi, si arriva alla conclusione che la stampa si sia dimenticata della sua ragion d’essere, senza ragionare sul fatto che, puntando sulle emozioni (positive o negative) piuttosto che sulla verità, sia diventata l’artefice del suo nemico naturale, la disinformazione. Non si può negare l’evidenza, buona parte della colpa va attribuita alla politica. Pur definendosi imparziali, sono tanti i giornali che propendono verso una determinata ideologia e i partiti, naturalmente, ne approfittano, favorendo dichiarazioni verso quotidiani amici o utilizzando questi in modo subdolo con lo scopo di farsi propaganda. Le conseguenze non sono da prendere sottogamba, editoriali del genere, quando pubblicati da titoli blasonati, possono portare al condizionamento del panorama politico nazionale.
Malgrado la democrazia, le libertà, il tenere alla cultura delle persone, il non avere dietro le macchine da scrivere personaggi immaginari quali Rita Skeeter o J. Jonah Jameson, la situazione è questa ed è bene che cambi in fretta. Il venir meno del buonsenso e dell’etica nel giornalismo è un problema che necessita di una soluzione seria. Trattandosi di un fenomeno che non si limita a un unico Stato, non è utopia pensare a una strategia europea.
Non faccio riferimento al divieto di divulgazione, e conseguente pubblicazione e commento, di determinati atti che la Commissione ha, negli ultimi giorni, imposto all’Italia per evitare di mettere a repentaglio le misure di risposta all’emergenza sanitaria, questo si porrebbe contro il più volte citato dovere di informazione. Più proficuo sarebbe un programma che, anche avvalendosi di sanzioni, obblighi la stampa ad agire proprio al solo e unico scopo di informare i lettori, senza impaurirli, agitarli, rassicurarli o estasiarli, insomma, senza condizionarli in alcun modo. Il rischio? La possibilità che l’operazione incida sulla libertà di stampa, già presentante vizi tutt’altro che banali in una buona fetta d’Europa. Non deve trarre in inganno che quattro delle prime cinque posizioni nella classifica mondiale sul tema, stilata annualmente da Reporter senza frontiere, siano occupate da Stati membri dell’Unione. Sono ben sette quelli che rientrano nel blocco dei “Paesi con problemi notevoli”, con Italia e Repubblica Ceca che ne sono fuori per questione di millimetri.
Manca sempre meno all’inizio della Conferenza sul futuro dell’Europa, evento attorno al quale si stanno generando grandissime aspettative, sia da parte dei cittadini che delle istituzioni. Il presupposto è che tale momento sia sfruttato per compiere una profonda analisi sulle lacune dell’Unione e per sviluppare i modi migliori per colmarle. Si prospetta un lavoro lungo e intenso, con numerosi attori protagonisti e parecchie questioni da affrontare. Pensare che, tra le riflessioni sui Trattati istitutivi, sulla spartizione delle competenze tra Stati e Unione, sull’emergenza climatica, su quella sanitaria, su quella migratoria, sull’ambito fiscale e sulla difesa, possa esserci spazio anche per una sul regolamento della stampa può apparire esageratamente ottimista, ma se la Conferenza ambisce a “una democrazia europea funzionante” come dichiarato dal Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, non esistono motivi per cui la si possa escludere a priori, anzi, ci sarebbero tutte le migliori condizioni per discuterne, per capire se un giornalismo libero ma corretto sia possibile nell’Europa che verrà.
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