Una sentenza politica non fermerà la battaglia per la cannabis: intervista a Marco Perduca e Aziz Sawadogo

, di Cesare Ceccato

Una sentenza politica non fermerà la battaglia per la cannabis: intervista a Marco Perduca e Aziz Sawadogo
Foto del comitato promotore del referendum per la cannabis legale

Marco Perduca, Presidente del comitato promotore del referendum per la cannabis legale, e Aziz Sawadogo, attivista di Radicali Italiani, rispondono alle domande di Eurobull all’indomani della sentenza della Corte Costituzionale che ha giudicato il referendum inammissibile.

In seguito alla pronuncia di inammissibilità sul referendum per la cannabis legale a opera della Corte Costituzionale, di cui avevamo già scritto qui su Eurobull, abbiamo deciso di approfondire la questione intervistando due protagonisti della campagna referendaria che ha avuto il via la scorsa estate: Marco Perduca e Aziz Sawadogo. Il primo è stato Presidente del comitato promotore del detto referendum, esperto nel campo del proibizionismo, se ne interessa dai primi anni ‘90. Allora raccolse le firme per un altro referendum, quello volto a modificare la legge Iervolino-Vassalli. Fu votato positivamente nel 1993 - con un’affluenza alle urne di quasi 48 milioni di italiani - e fu la prima modifica per referendum popolare di una legge sulle droghe in tutto il mondo. Marco ha inoltre rappresentato il Partito Radicale alle Nazioni Unite dal 1996 al 2006 ed è stato Senatore dal 2008 al 2013. Aziz è uno studente di giurisprudenza e ricopre il ruolo di consigliere comunale nella sua città, Sirtori. Fortemente interessato al tema dei diritti civili, da due anni è attivista di Radicali Italiani. É stato membro del comitato lecchese sia per il referendum per la legalizzazione della cannabis sia per quello per l’eutanasia legale.

La campagna referendaria per la cannabis legale è stata un successo, è stata promossa da più di 60 associazioni e ha raccolto 700 mila firme. Come si è svolta e cosa pensate abbia portato così tante persone ad avere fiducia in essa?

Marco Perduca: La campagna ancora non è finita. Il 15 e il 16 di febbraio ci sono state una serie di dichiarazioni da parte del Presidente della Corte Costituzionale che hanno manipolato le motivazioni poi emerse all’interno della sentenza, resa pubblica il 3 marzo. Non ci hanno convinto. Specialmente riteniamo la parte relativa al problema creato dalle Convenzioni internazionali meramente speculativa. Avremo dunque delle riunioni con costituzionalisti, penalisti e internazionalisti per capire cosa effettivamente possa essere fatto. Tornando all’estate del 2021, quando la campagna ebbe inizio, tra le novità, oltre all’ampliamento della platea degli autenticatori ad avvocati, parlamentari e consiglieri regionali, è da sottolineare la possibilità di utilizzare la firma digitale. Tale strumento era già stato intimato all’Italia in un documento delle Nazioni Unite di dieci anni fa, adottato in seguito a un ricorso nel quale si facevano presenti le difficoltà del Bel Paese nel consentire l’esercizio del diritto civile e politico, nonché costituzionalmente garantito dall’articolo 75, della promozione del referendum. A luglio facemmo presente al Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao della necessità di adoperarsi per rispondere pienamente alle Nazioni Unite, proponendoci di assumere in prima persona i costi della raccolta firme e ottenendo il suo benestare. Già avevamo trovato un service provider: itagile.it, con il quale avremmo raccolto le firme non solo tramite SPID, ma anche attraverso altri sistemi di autenticazione. L’entrata in vigore del tutto impiegò due settimane. Fu con un emendamento del Presidente di +Europa, Riccardo Magi, che si riuscì a ottenere il parere favorevole unanime della Commissione Affari costituzionali malgrado forti resistenze del Ministro dell’Interno e del Ministro della Giustizia, giustificate dal fatto che la firma non cartacea fosse inizialmente pensata in esclusiva per le persone con disabilità. Allora stavamo promuovendo unicamente il referendum sull’eutanasia legale; nei primi cinque giorni in cui ci fu la possibilità di sottoscrivere la campagna online, raggiungemmo tra le 60 e le 70 mila firme. Il sistema funzionava, l’entusiasmo c’era, fu lì che decidemmo di lanciare un nuovo referendum, e l’unico altro tema su cui i tempi erano marci dal tanto che erano maturi era la cannabis. Grazie a Marco Cappato e Filomena Gallo dell’Associazione Luca Coscioni, a Meglio Legale e a Forum Droghe, oltre all’azione istituzionale sempre di Riccardo Magi, si riuscì a mettere assieme il comitato, ma scrivere il testo non fu facile. La notte prima della presentazione del testo in Corte di Cassazione non chiudemmo occhio, arrivammo a presentarne due, riservandoci poi la possibilità di utilizzarne uno. Abbiamo poi scelto quello che ritagliava meno la legge. Non dicemmo a nessuno che avremmo presentato quel documento alla Corte, volevamo caricare al massimo le aspettative e l’effetto sorpresa della campagna.

Aziz Sawadogo: Se c’è stata così tanta affluenza e così tanta volontà di firmare, sia ai banchetti, sia in forma digitale, è probabilmente per la mancanza di una classe dirigente politica al passo con quelle che sono le necessità dei cittadini. Sul tema eutanasia i Radicali, l’Associazione Coscioni e altri gruppi, portano avanti la battaglia da anni, se non decenni, è incredibile come il Parlamento non sia ancora riuscito a produrre a riguardo una legge degna di questo nome. I cittadini sono attenti a questi passaggi mancati, la scorsa estate l’abbiamo visto una volta di più. Forse ciò dovrebbe portarci a ripensare la nostra forma istituzionale, adottando nuovi strumenti di partecipazione democratica per ristabilire il rapporto ormai logoro tra Istituzioni e cittadini, testimoniato anche dalla posizione della Corte Costituzionale sui due referendum. Di quali siano questi strumenti, se ne può dibattere, ma credo sia una necessità che si arrivi ad averli. Fa sorridere pensare che il Presidente della Consulta, Giuliano Amato, i giorni precedenti le dichiarazioni di inammissibilità sembrava avere un atteggiamento accomodante, sottolineando come la Corte Costituzionale avrebbe dovuto valutare anche l’interesse e la volontà dei cittadini; alla fine, ciò che recriminava in quelle parole si è poi manifestato, una sberla ai milioni di cittadini che hanno firmato i referendum, un tradimento delle Istituzioni. Non ci si sorprenda poi della scarsa affluenza alle urne, addirittura alle elezioni amministrative, che portano a un problema di legittimità degli eletti. La scorsa estate, ho raccolto le firme con soggetti che hanno incentrato la loro carriera politica su questi elementi e anch’essi erano sorpresi dell’affluenza ai tavolini per firmare anche sotto un sole cocente, sembra che non siano i cittadini disinteressati alla politica, se mai è il contrario. Da studente di giurisprudenza, mi dispiace dirlo, ma la Corte Costituzionale ha adottato una decisione prettamente politica, non tecnica, è vero che con il passare degli anni questa ha ampliato il metro di ammissibilità, ma in questo caso ha esagerato, anticipando una valutazione di costituzionalità; è inaccettabile.

Come avete detto entrambi, la motivazione della Corte Costituzionale appare essenzialmente politica. Sul referendum per la cannabis legale già da tempo si registravano tentativi di discredito o di affossamento. Uno di estrema rilevanza è quello messo in atto alla Commissione Affari costituzionali a novembre dello scorso anno, lì prese la parola il Deputato Igor Iezzi, secondo il quale il quesito parlava di cannabis ma nascondeva la volontà di legalizzare droghe cosiddette pesanti. Pensate che velleità e interventi di questo genere abbiano influenzato l’opinione pubblica e, soprattutto, l’opinione della Consulta?

Marco Perduca: Assolutamente sì. Si pensi che tra i quindici giudici della Corte di Cassazione, organo che dovrebbe essere caratterizzato da terzietà, figura Alfredo Mantovano - Sottosegretario di Stato del Ministero dell’Interno nei Governi Berlusconi II, III e IV - un magistrato politico che, durante la raccolta firme, ha rilasciato numerose interviste, non schierandosi contro la legalizzazione, ma contro il referendum. A parte la responsabilità civile per i magistrati, altro referendum che non ha avuto l’ok, qui siamo di fronte a una invasione di campo permanente. C’è stata una grande, seppur sottile, campagna contro il referendum, rivolta alle orecchie del potere. Il risultato? Le motivazioni della Corte di Cassazione hanno fatto eco a ciò che ha detto Iezzi, a ciò che ha detto Mantovano e a ciò che ha detto il Comitato per il No alla droga legale, costituito appositamente contro il referendum, a ciò che ha scritto sul Corriere della Sera l’ex Parlamentare di centrosinistra, nonché ex direttore di un ufficio alle Nazioni Unite (e unico caso di mancato rinnovo di mandato di un’alta carica all’ONU) Pino Arlacchi. Hanno fatto eco a una valanga di infamie. É indicibile che il referendum volesse legalizzare le droghe pesanti, perché un conto sono le piante, un conto sono le sostanze. Con il referendum si andava a cancellare la parola “coltiva” e si coltiva una pianta, o eventualmente dei funghi, non si coltiva una sostanza. Per trasformare la pianta in ingrediente di una sostanza, occorre raffinare, estrarre, produrre, fabbricare, a volte trasportare. Esclusa la coltivazione, tutte le diciassette condotte previste dall’articolo 73 sarebbero rimaste, come sarebbero rimaste le sanzioni previste agli articoli 26 e 28 anche per quanto riguarda la coltivazione di ingenti quantità o all’ingrosso. Abbiamo tolto una parola, eppure la Corte Costituzionale ha insistito nel dire che il referendum non entrasse nel tema della cannabis e che avessimo dato un titolo erroneo, sebbene quest’ultimo è stato scelto non da noi, ma dalla Corte di Cassazione, che ha incluso il termine “coltiva” - punto chiave del quesito - su mio suggerimento. In virtù anche degli strascichi ulteriori alla conferenza stampa di Amato, dovrebbe esserci più trasparenza nelle decisioni prese dalla Corte Costituzionale. Sul sito della Consulta dovrebbero apparire immediatamente le motivazioni a difesa del referendum, così come lo streaming del percorso che porta alla sentenza della Corte e addirittura quello della Camera di consiglio al voto. La predica dell’ignoranza e anche dell’inganno, senza dire quali siano stati gli scambi tecnici che hanno portato alla decisione, è raccontare una parte della storia, ed è facile raccontarla senza contraddittorio e con le motivazioni in pubblicazione una settimana più tardi rispetto alla conferenza.

Aziz Sawadogo: L’atteggiamento della Corte Costituzionale nei confronti dei promotori, alludendo al fatto che questi abbiano ingannato i cittadini, non solo manca di rispetto ai promotori, ma ai cittadini stessi. Pare che questi ultimi siano visti dall’Istituzione come una massa di inconsapevoli che firma un documento senza sapere quali effetti avrebbe. Se effettivamente ci siano stati movimenti politici che hanno indirizzato la Corte verso la decisione presa, non saprei dirlo, sta di fatto che questa è stata ben poco tecnica. Sicuramente chi ha partecipato alla decisione di ammissibilità o meno ha scelto una strada politica.

Arriviamo in concreto alla sentenza della Corte. Sentenza di inammissibilità motivata da un contrasto con le Convenzioni internazionali e con la disciplina europea in materia, da un difetto di chiarezza e coerenza intrinseca e da un’inidoneità allo scopo. Vi aspettavate che la proposta di referendum potesse essere bocciata? E per queste motivazioni scricchiolanti o per altro?

Marco Perduca: Il problema più grosso e inaspettato è quello relativo al contrasto con le Convenzioni internazionali. Secondo l’articolo 75 della Costituzione non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto e di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Il Testo Unico sulla disciplina delle sostanze stupefacenti non è mai stato inteso come legge di autorizzazione della Convenzione del 1988; le stesse tabelle e i principi fondamentali del proibizionismo si trovano nella Convenzione del 1961. C’è sì una Decisione quadro del Consiglio europeo datata 2004, ma l’Italia non l’ha mai incorporata nel suo ordinamento. In ogni caso, non è un trattato internazionale. Anche fingendo che tutto ciò possa (quando non può) essere preso in considerazione, il mondo delle Convenzioni internazionali ha compiuto nel tempo numerosi passi che, a quanto pare, la Corte Costituzionale non si è preoccupata di osservare. Nel 2016 si è tenuta la seconda sessione speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite al Palazzo di vetro di New York in cui, per mettere d’accordo tutti gli Stati membri - dalla A di Afghanistan alla Z di Zimbabwe - sul tema delle droghe, è stato deciso che flessibilità e interpretazione sarebbero state le parole d’ordine per evitare che quanto stabilito nelle precedenti Convenzioni rimanesse inciso su pietra. Dal 1961 al 2016 erano cambiate tante cose, in particolare era cambiata la posizione di Messico, Guatemala e Colombia rispetto al sottomissivo controllo principalmente americano. Gli USA, con le loro politiche intrusive e spesso violente di lotta all’offerta senza cura della domanda avevano creato morte, disperazione e danni ambientali nei Paesi dell’America Latina. Mantenendo il narcotraffico internazionale come nemico, si decise di provvedere alla smilitarizzazione, oltre alla depenalizzazione per l’uso personale delle piante. Questo non ha comportato alcuna modifica alle Convenzioni; semplicemente, gli obblighi da esse derivanti si sono adeguati alla condizione prevalente del Paese che li rispetta. Esemplari di questo cambio di passo sono le nuove leggi in materia di coltivazione e consumo di cannabis in Uruguay, in Canada, a Malta, in 19 Stati degli USA e sulla coltivazione di foglie di coca in Bolivia, che non escono dalle Convenzioni. La Corte Costituzionale non si è accorta di un’altra cosa, delle ultime dichiarazioni dell’International Narcotics Control Board - la stessa giunta internazionale che criticò il referendum sulla cannabis di inizio anni ‘90 - per cui l’attenzione ai diritti umani è finalmente diventata fondamentale, tanto che non si possono usare le politiche antidroga come scusa per arresti e detenzioni arbitrarie (o immotivate), meglio ricorrere ad altri modi, specialmente per le persone in particolari condizioni di difficoltà.

Parliamo del futuro della campagna. Immediatamente dopo la pubblicazione della sentenza, sul sito referendumcannabis.it è arrivata la risposta ad Amato da parte del comitato promotore, la si può intendere come un primo passo per il proseguimento della battaglia? E se per quanto riguarda la legalizzazione dell’eutanasia, sebbene pure per quel referendum la Corte Costituzionale abbia pronunciato giudizio di inammissibilità, nel 2019 era stato espresso dalla stessa Consulta parere di illegittimità costituzionale del 580 c.p. in seguito al caso DJ Fabo, per la cannabis legale esiste qualche appiglio simile attraverso cui fare pressione sul Parlamento?

Aziz Sawadogo: In Parlamento una legge sulla cannabis c’è, è legata alla possibilità di coltivare domesticamente fino a quattro piantine, e sopravvive anche sulla base di una pronuncia della Corte Costituzionale che pare aprire questa strada. Anche su questo fronte l’Associazione Luca Coscioni, Radicali Italiani, e in particolare Riccardo Magi - che sta svolgendo un ottimo lavoro nelle Istituzioni - stanno battagliando. D’altra parte, siamo agli sgoccioli di questa legislatura, è da vedere quanto il Parlamento sia in grado di portare avanti istanze, pur di non farlo, potrebbero essere addotte varie giustificazioni. Il grosso del lavoro dovrà essere svolto ancora una volta nelle piazze, come fatto negli ultimi mesi, in particolare la scorsa estate. Come comitato lecchese intendiamo portare avanti l’impegno locale con eventi, con campagne di sensibilizzazione e facendo approvare mozioni che raccolgono la voce dei cittadini nei consigli comunali. Come abbiamo visto, creando una massa di persone attive, si riesce a far drizzare le antenne alla politica. A livello centrale, abbiamo un altro strumento nelle nostre mani, quello della disobbedienza civile, quello che ha portato Narco Cappato a ottenere la sentenza della Corte Costituzionale sui suicidio assistito, un briciolo rispetto a quello che voleva ottenere il referendum sull’eutanasia, ma per cui vale la pena fare attivismo. Sebbene siano più le sconfitte delle vittorie, è necessario andare avanti finché l’obiettivo non sarà raggiunto.

Marco Perduca: La Costituzione stabilisce alcune cose che possono essere fatte, laddove la Costituzione non norma, c’è la disobbedienza civile. Per quanto riguarda l’eutanasia legale, c’è un disegno di legge sul fine vita, non il migliore possibile, ma c’è, e nessuno vuole che questo finisca nel nulla. Per quanto riguarda la cannabis, in questi giorni sta riprendendo l’iter in plenaria sulla legge che citava Aziz, noi ci impegneremo presto con delle mobilitazioni pubbliche rivolte ai parlamentari affinché questi facciano del loro meglio sul tema. La battaglia per la cannabis legale ha un futuro. Esistono strumenti internazionali, come la Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE), che possono essere utilizzati. Siccome uno dei motivi per cui ci è stato detto no al referendum è la Decisione quadro del 2004, abbiamo preparato il testo di un’iniziativa che si inserisce proprio in quella Decisione. Per essere portata all’attenzione della Commissione e del Parlamento europeo, questa dovrà raccogliere un milione di firme in dodici mesi in almeno sette Stati membri dell’Unione europea. Questa proposta l’abbiamo preparata due anni e mezzo fa, non l’abbiamo mai attivata perché eravamo concentrati sulle disobbedienze civili che hanno portato non solo DJ Fabo e Davide Trentini a ottenere il suicidio assistito in Svizzera, ma anche ai passi avanti in termini di modifiche legislative e soprattutto di accrescimento, di conoscenza, di consapevolezza e di convinzione in tantissime persone. Bisogna continuare a insistere, e tra le varie insistenze c’è quella di fare informazione; l’Associazione Luca Coscioni si sta interessando all’uso medico degli psichedelici, su cui non si fa ricerca. Tante persone potrebbero trarne giovamento, non tante quante quelle che lo possono trarre dalla cannabis terapeutica, ma comunque tante, e per dei mali importanti quali la sindrome da stress post-traumatico, o la depressione, che è il male del secolo, a parte le guerre di Putin. Noi di certo non demordiamo, credo che si possa essere ottimisti, non tanto nei partiti, tanto meno negli eletti, ma nel nostro repertorio di azioni civiche che sappiamo come attivare nel momento del bisogno e che sappiamo essere base di riforme possibili per il pieno godimento dei diritti umani di chiunque si trovi in Italia, o in Europa.

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