La globalizzazione porta nuove sfide al modello di governance su base nazionale

Un’identità più ampia per una globalizzazione governata

, di Grégoire Kinossian, Léonard De Carlo, Tradotto da Camilla Pasqualini

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Un'identità più ampia per una globalizzazione governata
Image credits: Stephen Edmonds from Melbourne, Australia, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/license...> , via Wikimedia Commons

Per l’ennesima volta, i forum intergovernativi come la COP26 non hanno ottenuto risultati. Questo esito evidenzia l’esistenza di un tema irrisolto che deve essere districato per affrontare le numerose sfide che mettono in pericolo le comunità umane. La globalizzazione: un fenomeno totalizzante che implica una forte interdipendenza così come l’integrazione tra i popoli attraverso le frontiere nazionali, senza un governo globale ma confinato a livello puramente nazionale, ormai superato.

Globalizzazione ingovernata: nuove tendenze, ricette superate

Al di là della definizione stato-centrica, che sembra ritrarla come un’erosione della sovranità dello Stato, la globalizzazione è un fenomeno che comprende processi di interdipendenza ed integrazione.Questa interdipendenza è resa possibile da diversi fattori, come le innovazioni tecnologiche e la conseguente proliferazione di infrastrutture transnazionali di trasporto e di comunicazione.

L’intensità senza precedenti dei flussi fisici ed immateriali di ogni genere (scambi di beni e servizi, migrazioni, ecc.) da una parte ha trasformato sostanzialmente la percezione dello spazio fisico (nonostante il commercio internazionale e le migrazioni siano fenomeni tutt’altro che nuovi), e dall’altra ha creato quello immateriale, cioè Internet. Infatti, la fase attuale della globalizzazione è caratterizzata dalla sensazione diffusa di riduzione dei due fattori chiave dell’orientamento: lo spazio ed il tempo. In termini einaudiani, il mito dello stato sovrano viene meno in questo nuovo contesto.

L’effetto che comprende questa grandezza totalmente nuova delle interdipendenze globali ha fatto emergere un altro cambiamento strutturale: l’integrazione. L’integrazione globale, infatti, ha molte sfaccettature: economica, quando i mercati si allargano; sociale, quando la mobilità degli individui aumenta per lavoro, tempo libero, scopi accademici o umanitari; e infine culturale, quando gruppi consistenti di persone si spostano da un paese all’altro e costituiscono molteplici e diverse reti di diaspore che rimodellano profondamente la cultura sia del loro paese d’origine che della loro nuova casa.

Tuttavia, la fase attuale della globalizzazione genera anche disintegrazione. Senza dubbio, non tutti sono in-between. Ad esempio, la liberalizzazione economica e finanziaria indotta da una globalizzazione non governata genera una frattura tra “vincitori” - che sono riusciti ad adattarsi al nuovo contesto - e “vinti” - che sono affetti negativamente dalle nuove regole del gioco.

Pertanto, la globalizzazione è, prima di tutto, un processo che rende le questioni politiche, sociali ed economiche più complesse di quanto non fossero prima della moltiplicazione delle interdipendenze. Malgrado la crescente complessità della realtà la politica ristagna, lasciando ingovernate diverse caratteristiche della globalizzazione - o governata seguendo principi guidati da narrazioni superate. La questione diadica, qui, sta nel non governo della globalizzazione da parte di istituzioni e logiche politiche ormai antiquate.

Per comprendere al meglio quest’ultima questione, è necessario prima collegarla alla fornitura di beni pubblici. In termini economici, questi sono beni non esclusivi e non rivali, non forniti dal mercato anche se necessari. Infatti, questi costituiscono condizioni vitali per gli individui: sicurezza, salute, qualità ambientale, istruzione, stabilità giuridica ed economica. La preservazione dei beni pubblici globali appartiene a tutta l’umanità ed implica un coordinamento tra comunità distinte con interessi diversi. Problemi attuali come le migrazioni, le tragedie, le pandemie, le guerre internazionali o civili, la proliferazione nucleare, le esportazioni di armi, la fame, le emissioni di gas serra, gli squilibri commerciali, le crisi finanziarie ecc. sono sintomi dell’erosione dei beni pubblici.

Di fatto, Il metodo intergovernativo è più paralizzante che risolutivo, minando di fatto alla fornitura di questi beni pubblici. I leader politici si attaccano a istituzioni ormai superate perché garantiscono il loro stesso potere. Il metodo intergovernativo preserva (o dà l’illusione di preservare) la sovranità statale, quindi il potere dei leader statali. La globalizzazione costringe gli stati a cooperare, ma, spesso, la paura di perdere il controllo prevale sulla ridistribuzione razionale delle prerogative governative a un’istituzione ad hoc. Quindi, anziché riunire i mezzi politici e metterli sotto un’unica autorità al fine di fornire un governo sostanziale di fenomeni complessi e interdipendenti, i leader degli stati preferiscono i diritti di veto o l’opting-out. L’assenza di strategie decisionali a livello politico lascia la globalizzazione non governata, a spese di tutti, anche se in misure diverse.

Inoltre, nei media, i professionisti delle relazioni pubbliche (così come i politici per cui lavorano) sono responsabili della diffusione di narrazioni stato-centriche che rimodellano il pensiero politico dei paesi democratici. Questo influenza la società civile creando una dissonanza tra la confusa realtà osservata e le mappe cognitive. Ne risulta una crisi d’identità che colpisce ulteriormente sia gli individui che i gruppi. In linea generale, al di là della mancanza di strumenti operativi (rispetto agli Stati) la società civile sembra priva di due caratteristiche cruciali. Da un lato, spesso sottovaluta il ruolo delle istituzioni nella vita politica e sociale, affidandosi eccessivamente al potere persuasivo per apportare cambiamenti cruciali. Dall’altro, le discussioni transnazionali sulla struttura sono molto più rare che all’interno delle organizzazioni della società civile. Questo implica il mantenimento di una miopia anacronica proprio all’interno dell’attuale globalizzazione ingovernata.

La società civile è, senza dubbio, essenziale per la democrazia. Tuttavia, a causa delle narrazioni superate che spesso guidano le sue azioni ed i suoi reclami, essa non è sempre il motore del presunto buon governo della globalizzazione - per non parlare degli effetti ambigui ben noti delle attività delle organizzazioni multinazionali. La smania della società civile di agire nonostante il suo disorientamento porta più incoerenza ad un quadro già disfunzionale.

La globalizzazione è, dunque, un fenomeno inglobante e profondamente radicato, reso disfunzionale da regole, credenze e pratiche politiche datate. Ora, quale potrebbe essere l’approccio dal basso (demos) e dall’alto (nomos), che possa spianare la strada ad una globalizzazione più funzionale ed ampiamente benefica?

In varietate concordia: un patriottismo allargato per affrontare le esternalità della globalizzazione

Considerando che è improbabile la durata a lungo termine di uno stato senza legittimità democratica e che nessuna democrazia regge senza uno stato, è necessario concentrarsi su due elementi che, combinati, sembrano offrire una risposta equilibrata e pragmatica: uno democratico ed uno istituzionale. Infatti, essi tengono conto dello Zeitgeist - o delle contingenze sociali, politiche e culturali che costituiscono il nostro mondo attuale.

Innanzitutto, gli sforzi dal basso verso l’alto, simboleggiati dall’apertura e dall’istruzione, sono necessari per costituire popoli glocali: che considerino sia le prospettive locali che quelle globali. Vale a dire, stare attenti alle tre insidie che attualmente caratterizzano la globalizzazione: nazionalismo, cosmopolitismo ed individualismo. Essi corrispondono ad uno dei compartimenti che Claudio Magris chiama la matrioska (bambola russa) dell’identità nell’epoca attuale. La loro esclusività li rende inefficienti e dannosi per il governo concreto della globalizzazione e ne ostacola la democratizzazione. Da questa «identità riformulata» potrebbe fiorire un senso di appartenenza misurato. Un patriottismo più ampio che, invece di attaccarsi a un solo pezzo, comprenda tutta la bambola russa. Riunire le persone, per superare l’individualismo; essere consapevoli delle identità collettive esclusive, per superare il nazionalismo; ricordare l’origine locale degli individui, per non essere astrattamente sprezzanti come lo era il cosmopolita Diogene ad Atene. In altre parole, partendo dal pensiero strutturale di Deleuze (il mondo, il paese, la famiglia, l’individuo) - senza privilegiare l’approccio deduttivo (di sinistra) o induttivo (di destra) - si dovrebbe adottare una terza via: pensare al livello più rilevante quando è necessario e non dimenticare mai gli altri. Questo schema di pensiero finirebbe per illuminare la nostra comprensione delle questioni globali, riconoscendo così la necessità di un governo multilivello sempre più democratico.

In secondo luogo e così come ci ha insegnato la storia, la buona volontà dei popoli non basta, nemmeno davanti alla fragilità umana. Il secondo fattore si affida alle istituzioni già esistenti come mezzo di impulso per una distribuzione equa dei beni pubblici.

Opportunamente, l’innovazione istituzionale rappresentata dal federalismo offre soluzioni interessanti e potrebbe permettere di superare le difficoltà intrinseche del metodo intergovernativo. In effetti, al centro di questa sistemazione multilivello ci sono le idee di solidarietà e di sussidiarietà. Il federalismo mira ad ampliare l’attuale solidarietà nazionale in modo da creare una solidarietà globale, sebbene cancellando solo parzialmente la pluralità dei patriottismi nazionali nel mondo. Nel federalismo, il governo centrale e i governi regionali sono, ciascuno nella sua sfera, coordinati e indipendenti. Può essere espresso attraverso una costituzione che distribuisce il potere su più di due livelli di governo. Le istituzioni multilivello rispecchiano l’identità matrioska e istituzionalizzano la solidarietà.

Inoltre, la sussidiarietà ci permette di affrontare efficacemente le esternalità della globalizzazione. È uno strumento adeguato per trovare il livello di governo più appropriato così da poter affrontare una specifica questione politica. Di conseguenza, beni pubblici come la pace, la stabilità politica ed economica, azioni climatiche coerenti, salute pubblica, istruzione e via dicendo verrebbero forniti a livello mondiale, contribuendo a sradicare l’odio crescente, l’avidità e la diffidenza in questo mondo globalizzato.

Grégoire Kinossian, Léonard De Carlo

Studenti magistrali iscritti alla doppia laurea in Relazioni Internazionali e Comunicazione Politica presso SciencesPo Bordeaux e l’Università di Torino. Partecipanti al «CESI Internship Research Project» del Centro Einstein di Studi Internazionali, Torino.

Eurobull.it, in partnership con il Centro Einstein di Studi Internazionali, pubblica di seguito un articolo realizzato come attività di ricerca all’interno del CESI Internship Research Project, http://www.centroeinstein.eu/.

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