Pur con evidenti percorsi distinti e diversi per natura, c’è comunque un obiettivo comune In tutte queste iniziative: cercare di fermare l’azione dell’Unione europea in campo politico, economico e sociale, diretta ad affermare un “interesse collettivo”, espressione di una democrazia europea capace di guidare l’Unione verso una maggiore coesione politica al fine di fronteggiare meglio le sfide globali del nostro tempo.
Con il Recovery Plan si sono poste le basi per la trasformazione dell’economia nella direzione della sostenibilità ambientale e sociale. Su questo terreno è decisiva l’azione congiunta e concorde del mondo del lavoro (imprese e sindacati) nel negoziato con il governo nazionale per l’implementazione del PNRR in modo che sia coerente con gli obiettivi fissati dalla Commissione europea. Parimenti una convergenza tra imprese, sindacati e governo è necessaria per gestire con successo la lotta alla pandemia: la trattativa sull’obbligatorietà del green pass nei luoghi di lavoro è la concreta traduzione di questa strategia comune.
Se si vogliono utilizzare con successo i quasi 200 miliardi che l’Europa ha assegnato all’Italia occorre una forte unità di vedute nel triangolo governo/parlamento-sindacati-imprese. Dunque, politica europea e politica nazionale devono procedere di pari passo. Solo in tal modo potrà esserci una ripresa, con un’economia trasformata e resa sostenibile nel tempo, un’Unione più forte e istituzioni europee più robuste con una fiscalità europea, dunque più attrezzate per cominciare a gestire anche la politica estera e quella migratoria.
È proprio contro questa prospettiva che si muovono i movimenti dell’estrema destra o del sovranismo radicale, prospettando perennemente l’idea fallace e contraddittoria che, in un mondo sempre più interdipendente, conti invece solo l’interesse nazionale, mutuando il noto slogan trumpiano (America first) alla specifica realtà nazionale. Il sovranismo e l’ideologia nazionalista non fanno altro che perpetuare la rendita politica di conservazione degli assetti sociali ed economici esistenti , rivendicando la supremazia di un presunto interesse “nazionale”, quando invece, in questo mondo reale, occorre far emergere un interesse collettivo sovrannazionale, quale condizione per affrontare meglio i grandi processi di trasformazione del nostro tempo.
Il rifiuto della Corte polacca di non riconoscere più il primato del diritto europeo su quello nazionale ha, infatti, proprio questo significato politico: non accettiamo una sovranità condivisa a livello europeo proprio perché vogliamo mantenere, in modo esclusivo, il controllo nazionale sui beni pubblici, immaginando così di difendere, da soli e meglio, i nostri interessi nazionali. Con questa prospettiva l’Europa sarebbe un semplice “mercato”, da sfruttare al meglio, non più una comunità politica tesa a costruire e a garantire l’interesse generale dei popoli europei. Allo stesso modo la lettera dei dodici Paesi che chiede l’erezione di muri anti-migranti sta a significare che non si riconosce un interesse (ed un potere) europeo per la gestione del problema, ma che, invece, ognuno, a casa propria, può decidere di negare la realtà degli squilibri economici mondiali, chiudendo gli occhi ed innalzando un muro. È la negazione dell’altro, del diverso, dell’umanità in quanto tale, equiparata ad un nemico, da ignorare o da respingere.
L’assalto fascista alla sede della CGIL a Roma, che ricorda nello stile quello a Capitol Hill, è dunque anch’esso l’espressione di quel pezzo di società che non riconosce l’esistenza di un interesse collettivo degli esseri umani “al di là della nazione”, esattamente come la Corte polacca che non riconosce il primato del diritto europeo, esattamente come quei 12 Paesi che non riconoscono all’Unione il potere di governare l’immigrazione secondo norme e istituzioni comuni, cioè europee.
Il Manifesto di Ventotene tracciò, esattamente ottant’anni fa, una nuova linea di demarcazione tra il progresso e la conservazione, definendo quest’ultima come il campo di coloro che vogliono rimanere aggrappati al totem della sovranità assoluta del proprio stato (e riproducendo così il mondo della guerra) e indicando nel progresso il campo di coloro che, invece, vogliono condividere la sovranità politica al di là del proprio stato, creando così la base per far emergere il concetto di un “interesse generale per l’umanità”, da perseguire con l’edificazione di istituzioni politiche comuni sovrannazionali, prima in Europa, poi nel Mondo.
Oggi l’Unione europea, che è avanzata su quella linea indicata a Ventotene, deve dare risposte comuni a questi pericoli che minacciano il suo cammino verso un’unità sempre più stretta. Ce lo chiedono la crisi ambientale e pandemica, come pure la necessità stringente di costruire un mondo più giusto, dunque, più capace di affrontare i problemi nel nome dell’interesse collettivo dell’umanità.
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