Ucraina Anno Uno - Davide Cinotti - Eurobull.it
È il novembre 2013, il presidente russo Vladimir Putin convince il capo di Stato Ucraino Viktor Yanukovych a ritirarsi da un accordo commerciale con l’UE. In Ucraina scatta l’Euromaidan: centinaia di migliaia di persone (che diventeranno più di un milione) si riversano nelle strade per protestare contro la sospensione dell’accordo di associazione tra l’Ucraina e UE.
Si va avanti per giorni in un escalation di violenza da parte delle forze dell’ordine e manifestanti. Gli scontri culminano nel febbraio dell’anno successivo con la fuga, in Russia, del presidente Yanukovych e la deposizione del governo Azarov. In Crimea parte la controffensiva: cominciano le prime proteste filorusse, poi arrivano gli “omini verdi” (soldati russi senza bandiera sulle uniformi). Prendono il controllo delle infrastrutture e dei principali centri amministrativi nella regione. Infine arrivano i russi, quelli veri.
Il 16 marzo, dopo un referendum (il cui esito è contestato formalmente dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite) la Federazione Russa annette la Penisola di Crimea. È crisi internazionale.
Con il pretesto di esercitazioni bilaterali congiunte, una grande concentrazione di forze militari russe ha iniziato a schierarsi al confine Ucraino con la Bielorussia nella primavera del 2021. Da ottobre 2021 a febbraio 2022, si è esteso al confine con la Crimea. Durante questa seconda fase, la Russia ha avanzato due proposte di trattati agli Stati Uniti e alla NATO che includono richieste definite «garanzie di sicurezza», come un impegno legalmente vincolante che impedisse l’ingresso dell’Ucraina alla NATO e la riduzione graduale di mezzi militari della stessa in Europa orientale. Inoltre, minacciava una risposta militare se l’Alleanza Atlantica avesse continuato a puntare su una linea che riteneva “aggressiva”.
Dall’inizio del conflitto. il 24 febbraio 2022, non vi sono i segnali di una possibile pace. Sono però evidenti le conseguenze, sia dal punto di vista umanitario, con un pesante bilancio di perdita di vite umane e l’emergenza associata al gran numero di persone in stato di assedio o sfollate, sia da quello economico e politico, con shock economici e finanziari di notevole entità, soprattutto nei mercati delle materie prime. Nonostante le dichiarazioni contraddittorie delle due parti sul numero di perdite l’ISPI sostiene che una stima plausibile possa attestarsi sulle 100 000 vittime nei primi 10 mesi di guerra.
Sembra assurdo che nel 2023 in Europa gli eserciti nazionali si affrontino senza tregua e senza regole per concetti che a noi appaiono desueti e in fondo vagamente etnico-nazionalistici. Concetti come “integrità territoriale” e “autodeterminazione dei popoli”, che probabilmente non facevano più parte dell’inventario dei nostri valori.
Molti si aspettavano che le sanzioni economiche avrebbero portato il popolo russo a ribellarsi contro il Cremlino. Così non è stato, se non marginalmente, nelle città più cosmopolite. Come, d’altronde, da decenni aspettiamo, di vedere in Iran o altrove, un regime change provocato dalle sanzioni economiche occidentali. La maggioranza dei Russi è fortemente nazionalista e crede al messaggio di Mosca, che continua, a fasi alterne, ad utilizzare il termine “operazione speciale”. D’altro canto, in Ucraina, sta avvenendo una campagna di “derussificazione” condivisa dalla maggior parte della popolazione e degli intellettuali ucraini. Nell’ultimo anno sono stati sostituiti i nomi delle piazze e delle vie, rimossi monumenti di scrittori, politici, scienziati e musicisti russi e l’uso della lingua russa in ogni comunicazione ufficiale.
Nei primi due decenni del nuovo millennio numerosi politologi parlavano di una “nuova era della guerra” , quella ai gruppi terroristici, mentre si iniziava a vedere la guerra degli eserciti nazionali qualcosa destinato ad estinguersi: una volta finiti i colpi di coda degli Stati del “terzo mondo” ci saremmo liberati dalle dinamiche della guerra tra Nazioni e che, al massimo, potessero servire quelle che gli anglosassoni chiamano “constabulary operations” (ovvero operazioni di polizia internazionale).
In quest’ottica, ci si è adoperati per imporre delle regole che rendessero meno disumano l’uso della forza in operazioni militari. Ne sono risultate alcune convenzioni internazionali come la Convenzione di Ottawa e di Oslo (sulla messa al bando dell’uso, lo stoccaggio, la produzione ed il trasferimento di mine antiuomo e il divieto di detenzione, produzione e il trasferimento di munizioni a grappolo). La storia recente ci insegna il contrario, con una ribalta dei partiti nazionalisti diventa sempre più evidente all’interno del mondo occidentale, mentre in aree come l’America latina, la direzione sembra quella opposta. I canali di informazione ci mostrano immagini da prima guerra mondiale, in fetide trincee dove sudore e sangue si mescolano a escrementi e fango in mezzo a cadaveri che, probabilmente, non potranno avere un funerale in cui risultino riconoscibili. Una guerra simile alle prime undici battaglie dell’Isonzo, avvenute tra il giugno 1915 e l’agosto 1917; dove non ci sono stati spostamenti di fronte significativi, ma migliaia di vittime da entrambe le parti.
È passato un anno dall’inizio dell’attacco russo all’Ucraina. In vista vi è una nuova offensiva russa, giudicata imminente. Più di 100 000 morti dopo siamo al punto di partenza.
Non è stata così breve - Jacopo Barbati, The New Federalist
Un anno fa, quando la Russia ha invaso l’Ucraina, la maggior parte dell’opinione pubblica europea non si sarebbe mai aspettata questa guerra. Così come quando la pandemia da COVID-19 era inaspettata, i media hanno reagito allo stesso modo, trattando l’argomento in qualsiasi notizia e intervistando o consultando esperti in materia bellica.
Molti di loro sostenevano che le intenzioni russe fossero focalizzate a ottenere una resa ucraina entro 24-48 ore, che Zelens’kyj e altri elementi di spicco del governo ucraino sarebbero stati arrestati o uccisi, che se la guerra fosse durata più di quanto i russi si aspettassero, avrebbero potuto utilizzare addirittura l’arsenale nucleare tattico - ma non è stato il caso, né per queste considerazioni, né per altre.
E ciò dovrebbe darci sollievo, in un certo senso: la Russia non ha vinto la guerra e l’Ucraina è ancora un Paese indipendente, anche se ormai invaso e ferito. Questa però non è una consolazione, e piuttosto rimangono i numeri di una tragedia che conta migliaia di persone che hanno perso la vita o i loro averi.
Che cosa ci ha insegnato questo ultimo anno? Prima di tutto, che questa guerra sarà lunga, come tutte le guerre. Secondo, che l’opinione pubblica europea è così polarizzata che prendere delle decisioni è ormai diventato uno sport estremo. Lo abbiamo, purtroppo, sperimentato durante la pandemia ma negli ultimi mesi ne abbiamo avuto la prova definitiva.
Sebbene sia chiaro che ci sono un invasore e un invaso, per alcuni in Europa è stato difficile non incolpare chi è stato invaso. “L’Ucraina ha provocato la Russia intrattenendo rapporti con l’UE e la NATO”, “La guerra finirebbe adesso se l’Ucraina si arrendesse”, “Se diamo supporto militare all’Ucraina, ci saranno più morti”, “Non possiamo accogliere tutti i rifugiati ucraini”.
Quindi, fornire supporto militare all’Ucraina è stato molto più difficile di quanto sarebbe dovuto essere in realtà, anche se alla fine è stato fatto. Sì, è vero che in questo modo la guerra durerà di più, ma l’alternativa sarebbe l’annichilimento dell’Ucraina e la legittimazione dell’invasione russa. Le invasioni non sono mai legittime ma al momento, e sfortunatamente, questa non sembra essere la mentalità del governo russo.
Ultimamente il governo russo sta intensificando gli attacchi verso il governo della Moldavia, accusato di “comportamento anti-russo”. Infatti, la regione più orientale della Moldavia, la Transnistria (o formalmente Repubblica Moldava di Pridnestrovie), è una Repubblica auto-proclamata non riconosciuta ufficialmente dalla Russia, dalla quale però riceve un consistente supporto, anche militare (il Consiglio d’Europa ha quindi deliberato la designazione della regione come “Territorio occupato dalla Russia”). Il rischio che l’esercito russo possa organizzare azioni militari in territori sovrani stranieri oltre i confini ucraini non è remoto o impossibile.
Come tutte le guerre, anche questa non sarebbe dovuta iniziare: ma visto che lo è stata, andrebbe affrontata e non evitata. Una guerra in Ucraina è una guerra in Europa e prima gli europei lo capiscono e meglio sarà.
Gli ucraini e la loro resistenza - Sven-Alexander Gal, România Europeană
La storia dell’Ucraina è tumultuosa. L’attuale territorio ucraino è stato testimone di moltissimi eventi storici. Lo stato-nazione di oggi ha preso la sua forma dal Rus’ di Kiev, ma anche dal Sič di Zaporižžja guidato dall’etmano Khmelnitskyi, un territorio molto simile a quello dello stato rumeno medievale, menzionato dagli studiosi moldavi dell’epoca. Il territorio dell’Ucraina contemporanea si presenta come il vecchio confine tra gli imperi zarista e austro-ungarico, cosa che lo ha reso il Fronte Orientale della Grande Guerra. Dopo questo conflitto, due entità hanno preso vita nell’area: la Repubblica Ucraina nei vecchi territori zaristi, e la Repubblica Popolare Ucraina, nei corrispettivi austriaci. Crollate sotto il peso delle proteste e rivolte, Kiev si è trovata occupata da cinque diverse entità statali in un solo anno. Alla fine, gran parte del territorio ucraino è ricaduto sotto l’URSS, e due dei più violenti eventi del XX secolo vi hanno trovato posto: l’Holomodor stalinista e l’Olocausto nazista. L’Ucraina di oggi è il territorio, infatti, che ha avuto più vittime durante l’Olocausto stesso.
Ufficialmente, Kiev ha dichiarato la sua indipendenza nel 1991, ma la storia post-URSS si piazza come una delle piùà tumultuose di tutto il periodo successivo alla Guerra Fredda. Fino al 2004, lo Stato è rimasto saldamente nelle mani di dirigenti ex-comunisti e vecchi agenti del KGB. Nel 2004, la Rivoluzione Arancione ha portato Viktor Yushchenko a diventare presidente di una Ucraina che aveva iniziato a guardare all’Occidente. Nel 2010, la crisi economica che ha colpito il paese ha però portato i partiti pro-Russia di Viktor Yanukovich al potere.
L’interregno è durato circa 3 anni. Nel 2013, sono scoppiate le prime proteste causate dalla decisione del presidente Yanukovich di non siglare la Partnership Orientale, una sorta di anticamera all’adesione verso l’UE. Per tre mesi, la nazione è stata preda di tumulti, fino a che nel febbraio 2014 il regime di Yanukovich non si è ritrovato rovesciato. Sappiamo bene cosa è successo poco dopo: la Russia ha annesso con la forza la Crimea e ha iniziato una guerra ibrida negli oblast di Donetsk e Luhansk.
L’Occidente si è comportato con la Russia come se nulla fosse successo, e questa ingenuità è costata cara.
Il 24 febbraio 2022, dopo molta propoganda, Vladimir Putin ha optato per una invasione su larga scala del vicino occidentale.
Quella mattina rimarrà sempre impressa nella mia memoria. Ricorderò per sempre come mio padre mi portò la notizia. Al momento, mi immobilizzai: sembrava di vivere in un universo parallelo. Sembrò come se l’Inferno fosse sceso in terra.
Ho seguito le news giorno per giorno. La Romania era stata anch’essa presa dalla disperazione. Molte discussioni ruotano intorno alla possibilità della caduta di Kiev, e di come poi anche la Moldavia e la stessa Romania sarebbero state invase dal “Grande Orso”.
In quei giorni, il confine con rumeno-ucraino fu preso d’assalto dai rifugiati da un lato, e dall’altro da volontari. Le organizzazioni rumene di supporto ai rifugiati su questo furono a dir poco esemplari.
Dopo pochi mesi, comunque, a causa dell’inflazione rampante causata il tema è passato in secondo piano. La buona notizia è che i rumeni hanno mantenuto i precedenti livelli di europeismo e atlantismo, con i pochi supporter della Russia ostracizzati e marginalizzati.
I momenti di vittoria a Kherson sono stati di gioia condivisa anche qui. I rumeni non hanno scordato i difficili anni del regime comunista sovietico e non cedono facilmente alle manipolazioni della propaganda del Cremlino. Detto ciò, il governo rumeno sarebbe potuto essere più proattivo, come è stato quello polacco, che ha giocato un ruolo cardine come leader regionale.
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