Il vertice Biden-Puti della settimana scorsa segna un passaggio fondamentale nelle relazioni tra Russia e Occidente

Per una politica estera europea

, di Antonio Longo

Per una politica estera europea
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Il vertice virtuale Biden-Putin del 7 dicembre ci ha detto che sta cominciando il confronto (o lo scontro?) sulla definizione del nuovo ordine internazionale che uscirà dalla pandemia e dovrà gestire la transizione energetica, la rivoluzione digitale, la cyber-security, gli squilibri economico-sociali, in un mondo che non comprenderà solo l’emisfero terrestre, ma anche lo spazio

Oggi l’attenzione è su l’Est europeo e, in modo particolare, su tre Stati che fanno parte di tre aree politiche diverse: la Polonia (che è nella Nato e nell’UE), la Bielorussia (dipendente strettamente da Mosca) e l’Ucraina, in bilico tra un’adesione alla Nato e alla UE e la ferma opposizione da parte della Russia (linea rossa di Putin).

Non sappiamo ancora che esito avrà il vertice del 7 dicembre. Quel che è certo è che l’Unione Europea non c’era e questo è un problema enorme perché senza una chiara ed autonoma posizione dell’UE il confronto USA-Russia ci riporta ad una situazione che rievoca quella della “guerra fredda”, esito dei confini stabiliti da USA e URSS nel corso della seconda guerra mondiale.

Per evitare questa prospettiva l’UE deve darsi al più presto una politica estera globale, assumendo nella Nato un ruolo di “equal partner” degli USA, come lo stesso Biden sembra ormai auspicare. Ciò significa che l’Unione deve definire al più presto la propria “bussola strategica”, come dice Josep Borrell, l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. E deve farlo innanzitutto nei confronti delle aree di vicinato (Est Europa, Mediterraneo, Medio-Oriente) e includendo al più presto i Balcani occidentali, altro potenziale rischio di instabilità politica.

Con il Recovery Plan l’UE ha individuato i termini della “bussola strategica” sul piano finanziario: ci può essere debito comune (sugli investimenti futuri) solo se c’è un forte controllo collettivo sull’uso delle risorse che derivano dagli Union bonds (emessi dalla Commissione) e che stanno dentro il bilancio comune (controllato dal Parlamento). E’ stata questa la chiave del successo che ha consentito all’Unione di ottenere una prima “capacità fiscale”, senza dover cambiare i Trattati.

Forte di questo risultato, occorre ora conseguirne un altro sul fronte della politica estera e di sicurezza comune. La proposta di un corpo militare europeo d’intervento rapido (Borrell) va in questa direzione, come pure la conferenza sulla Libia, con il primo banco di prova delle imminenti elezioni. Va ancor più nella stessa direzione il Trattato del Quirinale, con obiettivi di cooperazione comune in diversi campi (compreso quello militare), ma che soprattutto punta ad operare una congiunzione d’interessi italo-francesi nel Mediterraneo (nel passato divaricanti), condizione per una politica estera comune dell’Unione nell’area in cui può dispiegarsi al meglio la “bussola strategica” per una politica estera e di sicurezza.

Ai Paesi del Nord Africa (come pure dell’Africa sub-sahariana) occorre offrire i due beni pubblici essenziali per una qualsiasi comunità politica: sicurezza e sviluppo. La sicurezza politica oggi deriva dall’interdipendenza tra gli Stati, non dalla loro presunta indipendenza assoluta (“nella solitudine non c’è sovranità”, M. Draghi). Dunque, l’Unione Europea deve favorire il processo di sviluppo dell’Unione Africana (che esiste già), a partire dalla nascita di un mercato comune africano, per superare le guerre intestine, la miseria e il terrorismo, causa di migrazioni incontrollate e preda dei trafficanti di vario genere.

E poi deve offrire un nuovo sviluppo, sulla scia degli investimenti NextGenEU: energie e agricoltura sostenibili, superamento della crisi idrica e delle malattie varie (politica di vaccinazione), istruzione di livello superiore e ricerca, sviluppo delle infrastrutture interne necessarie alla creazione di un’economia continentale integrata. L’Unione europea ha la tecnologia e le risorse finanziare per emancipare l’Africa dalle vecchie e nuove dominazioni, avviando con l’Unione Africana quel modello di sviluppo multilaterale delle relazioni internazionali che è necessario per governare la globalizzazione in forma non conflittuale.

Lo stesso modello di sicurezza e sviluppo può essere proposto ai Paesi dell’Est, in primis alla Russia. C’è sicurezza se si procede con una politica di sviluppo congiunto, cominciando dalla crisi sanitaria e ambientale. L’Ucraina può entrare nell’UE e nello stesso tempo mantenere forti rapporti economici con una Russia con la quale l’UE avvia una politica di liberalizzazione degli scambi commerciali.

È l’Unione europea che deve imparare a fare politica estera, direttamente, individuando la ragione del proprio ruolo nel Mondo.

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L’articolo è uscito nell’edizione cartacea de «La Prealpina» del 17 dicembre 2021.

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