Per una buona causa

, di La redazione di Eurobull

Per una buona causa

«Chi combatte per una buona causa non fallisce mai», questa la frase che ritorna lungo tutto lo splendido racconto di Asimov.

Suggeriamo questa lettura, un po’ sui generis per una rivista di formazione e informazione, perché tra queste righe si parla di noi: di voglia di cambiare le cose e di rivoluzione; di successi e di fallimenti; di uomini, istituzioni e movimenti che percorrono e forgiano la loro storia. È un monito a farci forza e a credere sempre più fermamente nelll’impegno federalista che portiamo avanti.

Come tutti i racconti e i romanzi di Asimov, l’ambientazione è fantascientifica ma il messaggio che trapela è tutt’altro che astratto.

In Per una buona causa si sottolinea che il sogno si realizza solo con il realismo politico, ma non si può andare avanti se non attraverso il diffondersi di un’idea dall’alto valore. Sono due anime della politica che si compensano e si completano.

Non anticipiamo altro, buona lettura!

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Nella Corte Grande, che si presenta come un’oasi di assoluta pace tra decine e decine di chilometri quadrati riservati agli edifici affollatissimi che sono il battito cardiaco dei Mondi Uniti delle Galassie, c’è una statua. Sorge in un punto dal quale, la sera, può contemplare le stelle. Ci sono altre statue attorno alla Corte, ma quella si erge al centro, e da sola. Non è una bella statua. La faccia è troppo nobile e manca di vita. La fronte troppo alta, il naso un po’ troppo simmetrico, le pieghe del vestito mancano di morbidezza. Tutto il portamento un po’ troppo da santo per essere vero. Capita di pensare che, da vivo, l’uomo raffigurato potesse accigliarsi ogni tanto, o avere il singhiozzo; ma la statua sembra affermare che tali imperfezioni erano impossibili. Tutto questo, naturalmente, è comprensibile. All’uomo, finché era in vita, nessuno aveva eretto statue e le generazioni successive forti del senno di poi, si sentivano in colpa.

Il nome inciso nel piedistallo è «Richard Sayama Altmayer». Sotto, una breve frase e, disposte in senso verticale, tre date. La frase dice: «Chi combatte per una buona causa non fallisce mai». Le tre date sono: 17 giugno 2755; 5 settembre 2788; 21 dicembre 2800. Gli anni sono contati come usava allora, vale a dire, a partire dalla data della prima esplosione atomica, nell’anno 1945 dell’era antica.

Nessuna di quelle date rappresenta la nascita o la morte dell’eroe. Non commemorano un matrimonio o il compimento di una grande impresa, né altro avvenimento che gli abitanti dei Mondi Uniti possano ricordare con piacere e con orgoglio. Esse, al contrario, sono l’espressione finale di un senso di colpa.

Detto in parole povere, sono le tre date in cui Richayd Sayama Altmayer venne mandato in prigione per le sue idee.

17 giugno 2755

Senza dubbio, all’età di ventidue anni, Dick Altmayer era perfettamente in grado di infiammarsi di collera. I suoi capelli erano ancora di un castano scuro e non si era ancora fatto crescere i baffi che, in età più matura, sarebbero diventati una sua caratteristica. Il naso, naturalmente, era già affilato e pronunciato, ma nell’insieme i lineamenti erano più morbidi. Soltanto in seguito la magrezza delle guance sempre più infossate avrebbe trasformato quel naso nella caratteristica preminente per miliardi e miliardi di studenti.

Geoffrey Stock, fermo sulla soglia, osservava i risultati della collera del suo amico. Geoffrey aveva già la faccia rotonda, gli occhi fermi e l’espressione fredda, ma doveva ancora indossare la prima delle uniformi militari in cui avrebbe passato il resto della sua vita.
— Per la Galassia — esclamò. Altmayer alzo la testa. — Ciao, Jeff.
— Che cos’è successo, Dick? Pensavo che i tuoi principi fossero contrari a ogni genere di distruzione. Ma qui c’è un visore che sembra alquanto malconcio. Si chinò a raccogliere i pezzi.
— Lo stavo adoperando — disse Altmayer — quando ho ricevuto un messaggio ufficiale. Sai di quale parlo, vero?
— Lo so. L’ho ricevuto anch’io. Dov’è?
— Là in terra. Appena ha cominciato a blaterare l’ho strappato via dalla bobina. Aspetta, buttiamolo nell’atomizzatore.
— Ehi, sei matto? Non puoi...
— Perché no?
— Perché non ti servirà a niente. Devi presentarti.
— E perché, se è lecito?
— Non fare l’idiota, Dick
— È una questione di principio, porco spazio!
— Balle! Vuoi metterti contro l’intero pianeta, eh?
— Non voglio mettermi contro l’intero pianeta, io! Solo contro quei pochi che vogliono trascinarci in guerra. Stock si strinse nelle spalle.
— E quindi, contro l’intero pianeta. Quella tua manfrina dei capi che giocano sulla buona fede della gente innocente per mandarla a combattere ha tanto peso quanto una manciata di polvere cosmica. Che cosa credi, che se ci fosse un referendum la gente non si pronuncerebbe tutta in favore di quest’impresa?
— Ma cosa vuol dire, Jeff! li governo controlla tutti...
— Gli organi di propaganda. Si, lo sappiamo. Me l’hai detto e ripetuto fino alla noia. Ma perché non ti presenti, intanto? Altmayer gli voltò le spalle.
— Tanto per cominciare — osservò Stock — potresti anche non superare la visita.
— Ma si che posso! Sono stato nello spazio.
— Be’, non vuol dire niente. Se i medici ti lasciano salire su un trasporto di linea, significa solo che non hai un soffio al cuore o un aneurisma. Ma ci vuole altro, caro mio, per prestare servizio militare a bordo di una nave spaziale. Che ne sai se ti faranno abile?
— Questa è una faccenda a parte, Jeff, e per di più è. un insulto Parli come se io avessi paura di andare a combattere.
— Ti illudi di poter fermare la guerra, in questo modo?
— Magari !o potessi. — Ad Altmayer quasi tremava la voce nel parlare. — La verità è che credo fermamente, che tutta l’umanità dovrebbe essere una singola unità. Non dovrebbero esserci guerre o flotte spaziali armate solo per portare la distruzione. La Galassia è pronta per accogliere gli sforzi riuniti della razza umana. Invece, sono quasi duemila anni che si va avanti a forza di intrighi politici, e si continua a fare scempio della Galassia. Stock rise. — Va’ là che ce la caviamo benissimo. Ci seno più di ottanta sistemi planetari indipendenti.
— E siamo noi le sole intelligenze della Galassia?
— Oh, ci risiamo con i Diaboli, i tuoi diavoli particolari! E Stock, portandosi i pugni alle tempie, tese i due indici, agitandoli.
— I tuoi e quelli di tutti, non solo i miei. Loro hanno un singolo governo che si estende a un numero di pianeti maggiori di quello dei mondi occupati dai tuoi tanto lodati ottanta sistemi indipendenti.
— Sicuro, e il loro pianeta più vicino è alla bellezza di millecinquecento anni luce dalla Terra, senza contare che loro non possono, vivere sui pianeti a ossigeno. Stock perse bruscamente il suo tono cordiale, e disse sbrigative — Senti, sono passato di qui per dirti che mi presenterò alla visita la settimana prossima. Vieni con me?
— No.
— Insomma, sei proprio deciso.
— Decisissimo.
— Lo sai che non concluderai niente. Nessuna vampate di pacifismo infiammerà la Terra. Se speri che milioni di giovani, spronati dal tuo esempio, indicano uno sciopero contro la guerra, ti sbagli di grosso. Tutto quello che otterrai sarà di finire in galera.
— E va bene, vada per la galera.

E galera fu. li 17 giugno 2755 dell’era atomica, dopo un breve processo durante il quale rifiutò di farsi difendere, Richard Sayama Altmayer venne condannato a scontare un periodo in carcere del durata minima di tre anni, in caso di guerra-lampo; in caso contrario, a rimanere in carcere fino alle fine del conflitto. Dick scontò complessivamente quattro anni e due mesi, in capo ai quali la guerra terminò con la sconfitta definitiva ma non troppo sanguinosa dei «Santanniani». La Terra guadagnò il completo dominio di alcuni asteroidi disputati, diversi vantaggi commerciali e poté imporre una limitazione dell’armamento spaziale santanniano.

In totale, le perdite umane ammontavano a qualcosa di più duemila navi, con relativi equipaggi, s’intende; e, in aggiunta, diversi milioni di vite distrutte per il bombardamento dello spazio di superfici planetarie. Le flotte dei due poteri in lotta erano state abbastanza forti da limitare quel bombardamento agli avamposti dei rispettivi sistemi, per cui i pianeti Terra e Santanni, in sé, ebbero a soffrire conseguenze non molto gravi.

La guerra stabiliva in modo definitivo la supremazia della Terra in quanto potenza militare singola più forte.

Geoffrey Stock combatté per tutta la durata del conflitto, partecipando a numerose azioni e uscendone vivo, e venne congedato con il grado di maggiore. Prese parte alla prima missione diplomatica inviata dalla Terra sui mondi dei diaboli, e quello fu il suo primo passo, nella parte sempre più importante che avrebbe avuto nella vita militare e politica del suo pianeta.

5 settembre 2788

Erano i primi diaboli che mai fossero apparsi sulla superficie vera propria della Terra. I manifesti in proiezione e i comunicati del partito federalista rendevano chiarissimo quel concetto a chiunque ne fosse ancora all’oscuro. Incessantemente, quei comunicati ripetevano la cronologia degli eventi.

Era stato verso l’inizio del secolo che esploratori umani erano entrati per la prima volta in contatto con i diaboli. Questi erano intelligenti e avevano scoperto da soli i viaggi interstellari, un po’ prima di quando vi fossero arrivati gli umani. La parte di Galassia in loro dominio era già più grande di quella occupata dagli umani. Tra i diaboli e le maggiori potenze umane, i regolari rapporti diplomatici erano cominciati una ventina d’anni prima, subito dopo la guerra tra terrestri e santanniani. A quell’epoca, gli avamposti della potenza dei diaboli erano già a meno di vent’anni luce dai centri umani più avanzati. Le loro missioni arrivavano dappertutto, stendendo trattati commerciali e ottenendo concessioni su asteroidi non occupati. E adesso, si trovavano sulla Terra. Venivano trattati da uguali, forse qualcosa di più, dai governanti del massimo centro di popolazione umana della Galassia. La statistica più scoraggiante di tutte era quella che veniva ripetuta continuamente a gran voce dai federalisti. Ed ecco che cosa consisteva: sebbene il numero dei diaboli viventi fosse nel complesso inferiore al numero totale di umani, in cinquant’anni l’umanità aveva colonizzato non più di cinque nuovi pianeti, mentre i diaboli avevano cominciato a colonizzarne circa cinquecento.

— Sono in vantaggio di cento a uno rispetto a noi — gridavano federalisti — perché loro hanno un’unica organizzazione politica mentre noi ne abbiamo un centinaio. Ma erano relativamente pochi, sulla Terra, e ancora meno nel Galassia presa nel suo insieme, a prestare orecchio ai federalisti e alle loro richieste di un’Unione Galattica. La folla che gremiva le strade che, quasi quotidianamente, i cinque diaboli della missione percorrevano per spostarsi dal loro appartamento al Segretariato della Difesa, tutto sommato non era ostile. Il sentimento che l’animava era di curiosità e, contemporaneamente, di un certo ribrezzo.

I diaboli non erano creature gradevoli da guardare. Erano più grandi e considerevolmente più robusti dei terrestri. Avevano quattro gambe tozze, disposte l’una vicinissima all’altra, e due braccia terminanti in dita flessibili. Avevano la pelle rugosa e nuda e non portavano alcun indumento. L’espressione delle loro facce larghe squamose, risultava completamente indecifrabile per un terrestre, nella regione appiattita al di sopra degli occhi spuntavano due brevi corna. Era stato proprio questo particolare, a determinare il nome, quelle creature. Da principio erano stati chiamati diavoli e, in seguito, con l’equivalente latino, più rispettoso. Ciascun diabolo portava sul dorso un paio di cilindri dai quali partivano tubi flessibili che arrivavano fino alla faccia e sparivano nelle narici. I cilindri contenevano un depuratore chimico destinato ad assorbire dall’aria l’anidride carbonica, che per loro era velenosa. Il loro metabolismo era basato sulla riduzione dello zolfo e a volte capitava che qualche umano, che si era spinto, troppo vicino per curiosare, venisse investito dall’acre zaffata di solfuro di idrogeno esalata dai diaboli.

Il capo dei federalisti si trovava tra la folla. Si teneva indietro, per non attirare l’attenzione della polizia che aveva teso cordoni lungo i viali e che ora montava la guardia su piccole «cavallette», veicoli facilmente manovrabili anche in mezzo alla calca Il capo federalista aveva la faccia scavata, con un naso affilato e prominente, capelli lisci e brizzolati. Distolse lo sguardo e si girò.
— Non posso guardarli — disse. II suo compagno prendeva le cose con maggiore filosofia.
— Per lo meno moralmente, non sono più brutti di alcuni dei nostri alti papaveri. Questi mostri, se non altro, restano fedeli a se stessi e ai loro simili.
— Hai ragione, purtroppo. Allora, siamo pronti?
— Prontissimi. Non uno di loro si salverà per far ritorno al suo pianeta.
— Bene! Rimarrò qui per dare il segnale. Anche i diaboli stavano parlando, ma la cosa non poteva esser osservata dagli umani, per quanto fossero vicini. Infatti, pur potendo comunicare tra loro emettendo suoni, preferivano usare un altro, sistema: tra le loro corna, la pelle, grazie all’azione di certi muscoli completamente diversi, nella loro struttura, da qualsiasi altro muscolo noto agli umani, vibrava rapidamente. Le brevissime onde trasmesse in tale modo nell’aria erano rapide per essere percepite dall’orecchio umano e troppo delicate perché strumenti umani, che non fossero di altissima sensibilità, potessero captarle. Anzi, a quell’epoca gli umani erano ancora all’oscuro di quel sistema di comunicazione.

Una vibrazione stava dicendo; «Lo sapevate che è questo il pianeta d’origine dei ’due-gambe’?».

C’era stato un coro di «no», poi una vibrazione singola domandò: «Dì un po’, l’hai scoperto studiando i sistemi di comunicazione dei due-gambe, di cui t’interessi tanto?».

«Trovi strano che m’interessi dei loro sistemi di comunicazione? Io dico che dovrebbero farlo tutti, invece di insistere con tanta fermezza sulla completa inconsistenza della cultura dei due-gambe. Tanto per cominciare, sapendo qualcosa di loro potremo trattare da posizioni di vantaggio. La loro storia è interessante, sia pure in senso orrido. Sono contento d’avere trovato la forza di dare una scorsa, alle loro bobine.»

«E tuttavia» disse un’altra vibrazione «dai nostri precedenti contatti con i due-gambe, ci sarebbe stato da giurare che non conoscessero il loro pianeta d’origine. È un fatto indiscutibile che non provano nessuna venerazione per questo pianeta, Terra, né esistono riti o feste per celebrarlo. Sei sicuro che quell’informazione sia esatta?»Sicurissimo. La mancanza di riti, e il fatto che questo pianeta non venga considerato un santuario, è perfettamente comprensibile per chi conosca la storia dei due-gambe. I due-gambe degli altri mondi si guarderebbero bene dai concedere questo onore. Avrebbero l’impressione di diminuire, in un certo modo, la dignità dei loro mondi personali.«»Scusa, non capisco.«»Nemmeno io capisco a fondo, ma dopo diversi giorni di lettura mi sembra d’intravedere una ragione. Pare che, in origine, quando affrontarono per la prima volta i viaggi interstellari, i due-gambe vivessero sotto una singola unità politica.«»È naturale.«»Per i due-gambe? No, niente affatto. Era uno stadio insolito nella loro storia, quello, e infatti non durò. Una volta che le colonie sui vari mondi furono cresciute ed ebbero raggiunto una certa maturità il loro primo interesse fu quello di rendersi indipendenti dal pianeta d’origine. E iniziò una lunga serie di guerre interstellari tra questi due-gambe.«»Spaventoso. Proprio come cannibali!«»Si, vero? La cosa mi ha sconvolto la digestione per parecchi giorni. Mi è andato in acido il bolo alimentare. In ogni modo, le colonie conquistarono l’indipendenza, così che ora esiste la situazione di cui siamo al corrente. Tutte le repubbliche, i reami, le dittature dei due-gambe sono formati da un mondo dominante e da pochi sussidiari che, a loro volta, sono eternamente alla ricerca della loro indipendenza o vengono spostati da una dominazione all’altra. Terra è il più forte di tutti, e tuttavia da lei dipendono si e no una dozzina di mondi soltanto.«»È incredibile che queste creature debbano essere così cieche nei riguardi del loro stesso interesse. Non hanno una tradizione del singolo governo che esisteva quando vivevano ancora su un mondo solo?«»Ve l’ho detto, quella fu solo una fase, per loro. Quel singolo governo duro solo pochi decenni. In precedenza, questo stesso pianeta era frazionato in un notevole numero di unità politiche subplanetarie.«»Mai sentito niente di simile!«Per un po’, i supersuoni dei cinque diaboli si intrecciarono, interferendo tra loro.»Eppure è così. Una natura bestiale, semplicemente." Nel frattempo, erano arrivati al Segretariato della Difesa. I cinque diaboli si allinearono l’uno accanto all’altro a un lato della tavola. Stavano in piedi, perché la loro anatomia non comporta, alcuna posizione che corrispondesse all’atto di «sedersi». Dall’altro lato del tavolo, si tenevano in piedi i cinque terrestri. Sedersi sarebbe stato più comodo, per gli umani, ma, com’era comprensibile, desideravano evitare di rendere ancora più appariscente la differenza di dimensioni tra loro e gli ospiti. Il tavolo era piuttosto largo; il più largo che era stato possibile procurare, per riguardo ai nasi umani poiché dai diaboli, in modo leggero quando respiravano, in modo assai più aggressivo quando parlavano, provenivano continue zaffate di solfuro di idrogeno. La cosa costituiva una difficoltà senza precedenti nei negoziati diplomatici.

In genere, le riunioni non duravano più di mezz’ora, in capo alle quali i diaboli mettevano fine senza cerimonie alla conversazione e si giravano per andarsene. Stavolta, tuttavia, il congedo venne interrotto bruscamente. Entrò un uomo, e i cinque negoziatori umani gli si fecero subito incontro. Era alto, più alto degli altri terrestri, e portava l’uniforme con la disinvoltura di chi è abituato a indossarla. Il suo volto era rotondo, lo sguardo freddo e impassibile. I capelli neri erano piuttosto radi ma senza un filo bianco. Una brutta cicatrice g correva dall’orlo della mandibola lungo il collo e spariva sotto l’alto colletto color cuoio. Forse era l’effetto del raggio di una pistola nucleare, impugnata da chissà quale nemico umano durante una delle cinque guerre alle quali l’uomo aveva preso parte attiva.
— Signori — disse il terrestre che, fino a quel momento, aveva presieduto la rappresentanza degli umani — permettete che vi presenti il Segretario della Difesa. I diaboli rimasero, in un certo senso, scandalizzati e, sebbene loro espressione si mantenesse impenetrabile, le piastre sonore delle loro fronti presero a vibrare attivamente. Il loro severissimo senso della gerarchia si ribellava. Il Segretario era soltanto un due-gambe ma, secondo il metro di valutazione dei terrestri, li superava di grado. Loro non potevano condurre negoziati con lui, sarebbe sta scorretto. Il Segretario era al corrente del loro modo di pensare ma non poteva agire altrimenti. La loro uscita doveva essere ritardata di almeno dieci minuti e solo intervenendo personalmente poteva sperare di trattenere i diaboli.
— Signori — disse — faccio appello alla vostra indulgenza perché, stavolta, vi tratteniate un po’ più a lungo. Il diabolo centrale rispose emettendo suoni che si avvicinavano al linguaggio umano quanto era possibile per un diabolo. In effetti, si poteva dire che un diabolo avesse due bocche. Una, collocata all’estremità superiore della mascella, veniva usata per mangiare. Il moto di quella bocca, o parte di bocca, raramente era stato visto dagli umani, poiché i diaboli preferivano mangiare in compagnia dei propri simili, senza altri testimoni. Un’altra apertura più stretta, lunga forse cinque centimetri, poteva essere usata per parlare. Sporgeva, aprendosi e rivelando una cavità rosea più o meno nel punto dove avrebbero dovuto trovarsi gli incisivi, che mancavano. Quell’orifizio rimaneva aperto durante tutto il discorso, e i suoni venivano formati dal palato e dal dorso della lingua. Ne risultavano parole rauche e confuse, ma comprensibili.
— Dovete perdonarci, stiamo già soffrendo — disse il diabolo. Con la fronte, intanto, brontolava senza che gli umani potessero udirlo: «Hanno deciso di soffocarci nella loro atmosfera venefica. Dobbiamo chiedere dei respiratori più grandi».
— Capisco perfettamente, signori — disse il Segretario della Difesa — e, tuttavia, questa potrebbe essere la mia sola occasione per un abboccamento con voi. Dovreste farci l’onore di rimanere a pranzo. Il terrestre più vicino al Segretario non seppe soffocare un moto di disgusto. Vergo in fretta qualcosa su un pezzo di carta e lo passò al Segretario, che diede una rapida occhiata. C’era scritto: «No. Mangiano fieno solforato. Puzza in maniera insopportabile». Il diabolo rispose: — L’onore è nostro. Se fossimo fisicamente i grado di tollerare per tanto tempo la vostra strana atmosfera accetteremmo con gioia. E, per mezzo della fronte, trasmise agitatissimo: «Non possono pretendere che mangiamo con loro e li guardiamo divorare corpi di animali uccisi. Mi si inaridirebbe il bolo in eterno».
— Rispettiamo le vostre ragioni — disse il Segretario. — Cerchiamo allora di arrivare subito a una transazione. Fin qui, nel corso d negoziati, non ci è stato possibile ottenere dal vostro governo, quindi da voi, suoi rappresentanti, nessuna indicazione precisa sul modo in cui pensate di limitare i confini della vostra sfera di influenza. Noi, a riguardo, abbiamo presentato diverse proposte.
— Per quanto riguarda i territori della Terra, signor Segretario, definizione è stata data.
— Si, ma... vi renderete certamente conto che è insoddisfacente. I confini della Terra e quelli dei vostri territori non sono in contatto. Finora, non avete fatto altro che attestare un fatto già noto. La dichiarazione corrisponde al vero ma non per questo è soddisfacente.
— Non afferriamo bene il concetto. Vorreste che discutessimo i confini tra noi stessi e i regni umani indipendenti coma quello Vega?
— Si, naturalmente.
— Non è possibile, signore. Senza dubbio, vi renderete conto che le relazioni tra noi e il regno di Vega non possono in nessun modo riguardare la Terra. Possono essere discusse soltanto con Vega.
— Allora, negozierete centinaia di volte con le centinaia di mori umani?
— È necessario. Vorrei far notare, tuttavia, che tale ,necessità è imposta non da noi ma dalla natura della vostra organizzazione.
— Questo, allora, limita in modo drastico il nostro campo di discussione. Il Segretario sembrava distratto. Tendeva l’orecchio non verso i diaboli che aveva di fronte ma, piuttosto, a qualcosa che si udiva in lontananza. Infatti, appena percettibili, dall’esterno, arrivavano ora dei rumori. Un vociare lontano, il secco crepitare delle armi nucleari quasi completamente attutito dalla distanza e il frettoloso clic-clac delle «cavallette» della polizia. I diaboli non lasciavano minimamente capire d’avere udito, e non era una manifestazione di correttezza. Infatti, se la loro capacità di ricevere vibrazioni supersoniche era assai maggiore di qualsiasi congegno inventato dalla mente umana, ai normali rumori erano invece piuttosto sordi. Il diabolo stava dicendo: — Permetteteci di manifestare la nostra sorpresa. Eravamo del parere che tutto questo vi fosse già noto. Un uomo in uniforme da poliziotto apparve sulla soglia. Il Segretario si girò verso di lui che, dopo aver fatto un cenno impercettibile, si allontanò. Immediatamente il Segretario cambiò tono.
— Infatti, sì — disse in modo sbrigativo. — Desideravo solo mettere in chiaro ancora una volta il concetto. Posso sperare che domani sarete disposti a riprendere i negoziati?
— Certamente, signore. Uno per uno, lentamente, con la dignità che si addiceva agli eredi dell’universo, i diaboli uscirono. Un terrestre osservò: — Meno male che hanno rifiutato di rimanere a pranzo.
— Sapevo già che non avrebbero accettato — disse il Segretario pensoso. — Sono vegetariani. Si sentono male al solo pensiero mangiare carne. Ingoiano tutto in una volta il loro cibo e poi se, stanno solennemente in circolo, a ruminare in grande comunità di pensiero. Forse, comunicano fra di loro grazie a metodi di cui non siamo a conoscenza. La grossa mandibola inferiore continua a ruotare, orizzontalmente, in un lento processo di macinazione... Il poliziotto era riapparso sulla soglia. Il Segretario s’interruppe, domandò: — Li avete presi tutti?
— Sì, signore.
— Anche Altmayer?
— Sì, signore.
— Benissimo.

La folla si era radunata nuovamente quando i cinque diaboli uscirono dal Segretariato. L’orario era sempre lo stesso. Ogni giorno, alle tre del pomeriggio, i diaboli lasciavano il loro appartamento e coprivano, in cinque minuti esatti, il tratto di strada fino al Segretariato. Alle 3,35, uscivano di là e ritornavano in albergo, percorrendo una strada che veniva tenuta sgombra dalla polizia. Marciavano ritmicamente, quasi meccanicamente, lungo l’ampio viale. Quel giorno, quando i diaboli erano circa a metà del percorso di ritorno, si udirono grida concitate. Quasi nessuno di quanti stavano fra la folla riuscì ad afferrare le parole, ma si udì il crepitio di un’arma nucleare e una pallida fluorescenza azzurrognola lacerò l’aria. La polizia accorse, impugnando a sua volta le pistole nucleari: le «cavallette» spiccavano balzi di alcuni metri, atterrando delicatamente in mezzo a gruppi di persone senza neppure sfiorarle, spiccando immediatamente un nuovo balzo. La gente si sparpagliava, le voci di quelli che fuggivano si fondevano ai boato generale.

In tutta questa confusione i diaboli, o per difetto di udito o per eccesso di dignità, continuavano a marciare con il loro passo meccanico. All’altra estremità della massa di gente, in un punto diametralmente opposto alla zona della confusione, Richard Sayama Altmayer si lisciava il naso, soddisfatto. La stretta osservanza dei tempi che caratterizzava i movimenti dei diaboli aveva reso possibile un piano studiato ai decimo di secondo. Il primo tumulto era soltanto un trucco per distrarre la polizia. Ora invece... E, mirando in aria, sparò un innocuo «petardo». Quasi simultaneamente, da quattro diverse direzioni, si unirono pallottole-bomba fendere l’aria. Dai tetti degli edifici lungo il percorso, i franchi tiratori avevano aperto il fuoco. Ciascuno dei diaboli, colpito in pieno, rabbrividiva ed esplodeva in seguito allo scoppio dei piccoli proiettili. Uno per uno, i cinque caddero. E, come apparsa dal nulla, la polizia stava circondando Altmayer Questi fissò meravigliato gli agenti. Bonariamente, perché in vent’anni aveva perduto il carattere focoso e aveva imparato a usare la pazienza, osservò: — Siete stati velocissimi, ma purtroppo arrivate ugualmente in ritardo. — Così dicendo indicava nella direzione dei diaboli fatti a pezzi. La folla era in preda al panico, ormai. Altri squadroni di cavalleria, arrivando a tempo di primato, non potevano fare altro che convogliarla in modo da aiutarla a disperdersi. L’ufficiale che ora teneva saldamente Altmayer, dopo avergli levato la pistola a razzi e averlo perquisito rapidamente per vedere se avesse con sé altre armi, era un capitano. Gelidamente, osservò: — Temo che abbia fatto un errore, signor Altmayer. Vede? Non c’è stato spargimento di sangue. Accennò a sua volta verso il punto dove i diaboli giacevano immobili. Altmayer Si girò, meravigliato. Le vittime erano là, per terra qualcuna in pezzi, con la pelle squamosa sforacchiata e la struttura piegata e distorta, ma il capitano di polizia aveva ragione: non c’era sangue, né carne viva. Le labbra di Altmayer, esangui e tirate, si mossero senza che ne uscisse alcun suono. Il capitano di polizia interpretò abbastanza giustamente quel boccheggiare.
— Sl, signore — disse — esatto, sono robot. E in quel momento, dalle grandi porte del Segretariato della Difesa, sbucarono i diaboli veri. Agenti muniti di mazze sgombravano la via, ma lungo un percorso leggermente diverso, così che gli ospiti non dovessero passare accanto ai rottami delle loro controfigure di plastica e alluminio che per tre minuti avevano interpretato la parte di creature viventi. — La prego di seguirmi senza opporre resistenza, signor Altmayer — disse il capitano di polizia. — Il Segretario della Difesa desidera parlarle.
— Vengo, capitano. Altmayer cominciava solo ora a sentirsi sopraffare da un senso di sbigottito avvilimento.

Geoffrey Stock e Richard Altmayer,si rividero per la prima volta dopo quasi un quarto di secolo, là nell’ufficio privato del Segretario della Difesa. Era un ufficio piuttosto spoglio: una scrivania, una poltrona a braccioli e due sedie. Il tutto piuttosto scuro e severo, le sedie ricoperte di spumite scura abbastanza :cedevole per dare un senso di comodità, ma senza pretese di lusso. C’era un microvisore sulla scrivania e un armadietto grande abbastanza per contenere diverse dozzine di bobine ottiche. Sulla parete in faccia allo scrittoio, c’era la fotografia tridimensionale della vecchia «Dauntles», il primo comando del Segretario. Stock disse: — È un po’ ridicolo incontrarsi così dopo tanti anni. Tutto sommato, mi dispiace.
— Che cosa ti dispiace, Jeff? — Altmayer si sforzò di sorridere — A me spiace soltanto che tu mi abbia ingannato con quei robot.
— Non è stato difficile tratti in inganno — disse Stock — ed è stata un’occasione eccellente per mandare all’aria il tuo partito. Sono certo che, dopo quanto è successo, sarà completamente screditato. I pacifisti che cercano di fomentare la guerra; l’apostolo della dolcezza che tenta lo sterminio.
— Una guerra contro il vero nemico — disse con tristezza Altmayer. — Ma tu hai ragione. Non c’è molto da sperare, visto che sono rimasto vittima di una beffa simile. Come hai scoperto i miei piani?
— Continui a sopravvalutare l’umanità. In ogni congiura, i punti deboli sono gli stessi cospiratori. Tu contavi su ben venticinque congiurati. Non ti è mai venuto il dubbio che uno di loro potesse essere un informatore, o addirittura un mio agente? Un cupo rossore si diffuse lentamente sugli zigomi di Altmayer — Chi?
— Spiacente. Potremmo avere ancora bisogno di lui. Altmayer si abbandonò disfatto contro lo schienale.
— Che cosa ci guadagni?
— Tu, cosa ci guadagni? Sei rimasto lo stesso sognatore dell’ultima volta che ti vidi; il giorno in cui decidesti di finire in prigione piuttosto che presentarti al comando. Non sei cambiato affatto. Altmayer scosse la testa.
— La verità non cambia. Stock disse, spazientito: — Se è la verità, perché fallisce regolarmente? li tuo periodo di prigionia non è servito a niente. La guerra: si fece lo stesso. Non una sola vita venne risparmiata. In seguito, hai fondato un partito politico; e ogni causa che ha appoggiato è fallita. Oggi è fallita la tua congiura. Hai quasi cinquant’anni, Dick, e che cosa hai concluso? Niente!
— E tu — ribatté Altmayer — sei andato in guerra, poi ti hanno affidato il comando di una nave e infine sei entrato a far parte d Governo. Dicono che sarai il prossimo Coordinatore. Hai fatto molto, tu! Eppure, il successo e il fallimento, in sé, non significano niente. Non esistono. Successo in che cosa? Successo nel lavorare alla rovina dell’umanità. Insuccesso in che cosa? Nel tentare di salvarla? lo non farei cambio con te, Jeff, ricordatelo. Chi combatte per una buona causa, non fallisce mai; tutt’al più, può avere un successo ritardato.
— Anche se tu venissi giustiziato per quello che hai fatto oggi?
— Anche se verrò giustiziato. Ci sarà qualcun altro a continuare l’opera mia, e il suo successo sarà il mio successo.
— Come te lo immagini questo successo? Davvero credi in una unione di mondi, in una Federazione Galattica? Vuoi che i santanniani mandino avanti le nostre faccende? Vuoi che vengano qui a dettar legge? Vuoi che la Terra sia arbitra del proprio destino o vuoi che sia alla mercé di una qualsiasi combinazione di poteri?
— Non saremmo alla loro mercé più di quanto loro lo sarebbero alla nostra.
— Salvo che noi siamo i più ricchi. Saremmo sfruttati per amore dei mondi depressi del Settore Sirio.
— E compenseremmo lo sfruttamento con quello che risparmieremmo sulle spese militari, perché non ci sarebbero più guerre.
— Hai sempre la risposta a tutte le domande, Dick?
— In vent’anni, Jeff, ci sono state poste tutte le domande possibili.
— Rispondi a questo, allora. Come imporresti a un’umanità recalcitrante l’unione che tu tanto vagheggi?
— Ecco perché volevo uccidere i diaboli — per la prima voli Altmayer dava segni di animazione. — Avrebbe significato la guerra con loro, ma tutta l’umanità si sarebbe unita contro il nemico comune. Di fronte a questo, sarebbero scomparse tutte le differenze politiche e ideologiche.
— E tu lo credi davvero? Anche di fronte al fatto che i diaboli non ci hanno mai fatto del male? Loro non possono vivere sui nostri mondi. Debbono rimanere sui loro particolari pianeti ad atmosfera sulfurea, dove gli oceani sono soluzioni di solfato di sodio.
— La verità è un’altra, Jeff. Quelli stanno dilagando di pianeta in pianeta come un’esplosione atomica. Bloccano i viaggi spaziali verso, regioni dove esistono mondi a ossigeno ancora liberi, mondi che servirebbero a noi! Guardano al futuro, loro: fanno posto per innumerevoli generazioni a venire di diaboli, mentre noi veniamo circoscritti in un angolo della Galassia e ci combattiamo a morte fra di noi. Tra un migliaio d’anni, saremo loro schiavi; tra diecimila, saremo estinti. Oh, si, sono loro il comune nemico, e il genere umano lo sa. Lo scoprirai più presto di quanto tu non creda, forse.
— Quelli del tuo partito — disse il Segretario — parlano sempre dell’antica Grecia dell’era pre-atomica. Ci dicono che i greci erano un popolo meraviglioso, il più avanzato del loro tempo, culturalmente. Furono loro ad aprire all’umanità quel cammino che, in fondo, non è mai stato abbandonato del tutto. Avevano un solo difetto non erano uniti. E così vennero conquistati e alla fine si estinsero. E noi stiamo percorrendo le loro orme, eh?
— L’hai imparata bene la lezione, Jeff.
— Ma tu, Dick, l’hai imparata, la tua?
— Che cosa vuoi dire?
— Non l’avevano, i greci, un nemico comune contro il quale battersi uniti? Altmayer non rispondeva.
— I greci — continuò Stock — lottavano contro la Persia, il loro grande, comune nemico. È o non è un fatto che una buona parte di stati greci si schierò dalla parte dei persiani? Alla fine Altmayer parlò.
— Si. Perché pensavano che la vittoria persiana fosse inevitabile e preferivano trovarsi dalla parte del vincitore.
— Gli esseri umani non sono cambiati, Dick. Perché credi che i diaboli siano qui? Di che cosa discutiamo, secondo te?
— Non faccio parte del Governo, io.
— No — scattò rabbiosamente Stock — ma io sì. La Lega Vegana si è alleata con i diaboli.
— Non ci credo. È impossibile.
— Invece è possibile, ed è così. I diaboli hanno acconsentito a fornirli di cinquecento navi in qualsiasi momento, se i vegani dovessero entrare in guerra con noi. In cambio, Vega rinuncia a ogni prete sul gruppo di stelle nigelliano. Perciò se tu avessi effettivamente assassinato i diaboli, sarebbe stata la guerra, sì, ma con almeno metà dell’umanità schierata dalla parte del tuo cosiddetto comune nemico. Ed è questo che noi stiamo cercando di impedire.
— Sono pronto per il processo — disse Altmayer lentamente. — O ci sarà soltanto un’esecuzione sommaria?
— Sei proprio uno sciocco — rispose Stock. — Se ti giustiziassimo, Dick, faremmo di te un martire. Se invece ti teniamo in vita e giustiziamo soltanto i tuoi subordinati, ti sospetteranno d’avere tradito i tuoi. E, come presunto traditore, sarai assolutamente innocuo, in avvenire. E così, il 5 settembre 2778, Richard Sayama Altmayer, dopo un processo segreto per direttissima, venne condannato a cinque anni. Scontò tutta la pena. L’anno in cui usci di prigione, Geoffrey Stock venne eletto Coordinatore della Terra.

21 dicembre 2800

Simon Devoire non si sentiva a suo agio. Era un individuo piccolo, con i capelli stopposi e il viso rosso coperto di lentiggini.
— Mi pento d’avere accettato di riceverti, Altmayer — disse. — Tu non ne ricaverai nessun utile, mentre a me potrebbe nuocere.
— Sono un vecchio — disse Altmayer. — Che danno potrei mai farti? In un certo senso, appariva veramente vecchissimo. All’inizio de nuovo secolo, i suoi anni avevano superato da circa un lustro la sessantina, ma ne dimostrava di più, più vecchio di dentro e più vecchi di fuori. Gli abiti gli stavano troppo larghi, come se non facesse che raggrinzirsi. Soltanto il naso non era invecchiato; era ancora il naso a ponte degli Altmayer, affilato e aristocratico.
— Non è di te che ho paura — disse Devoire.
— Perché no? Pensi forse che abbia tradito gli uomini dell’88?
— No, questo mai! Nessun uomo di buon senso lo crederebbe. Ma i giorni dei federalisti sono tramontati. Altmayer! Altmayer si sforzò di sorridere. Aveva fame; non aveva mangiato in tutto il giorno; non c’era stato tempo. Davvero era tramontata l’era dei federalisti?. Agli altri, certo, poteva sembrare così. Il movimento era morto, travolto da un’ondata di ridicolo. Una cospirazione che fallisce, una «causa persa», sperso è romantica. Viene ricordata e fa proseliti per generazioni, sempre che la sconfitta sia stai subita con dignità. Ma sparare a creature viventi e scoprire d’aver colpito dei robot; essere stati preceduti e superati in astuzia; essere resi ridicoli: questo è mortale. Più ancora del tradimento, del torto e della colpa. Ben pochi avevano creduto che Altmayer avesse tradito i compagni per aver salva la vita; ma la risata universale aveva ucciso il federalismo con maggiore efficacia. Ma Altmayer, con tetragona ostinazione, aveva tenuto testa a l’uragano.
— Finché esisterà la razza umana — obiettò — i giorni dei federalisti non finiranno mai.
— Chiacchiere — disse Devoire, spazientito. — Ci credevo anch’io, finché ero giovane. Ora sono stanco.
— Simon, mi serve l’accesso al sistema subeterico. L’espressione di Devoire s’indurì.
— E hai pensato a me. Spiacente, Altmayer, non posso permetterti di usare le mie trasmissioni per i tuoi scopi personali.
— Eri un federalista, un tempo.
— Se fossi in te. non ci farei più affidamento — rispose Devoir, — Acqua passata, ormai. Oggi sono… non sono niente. Sono un «devoirista», ecco. Voglio vivere, io.
— A costo di vivere sotto i piedi dei diaboli? Vuoi vivere finché loro te lo permettono; morire quando sembrerà loro opportuno?
— Chiacchiere! — Tu approvi la conferenza pan-galattica? Devoire, già colorito per natura, arrossi ancora di più, dando improvvisamente l’impressione di un uomo con troppo sangue per il suo corpo. In tono fremente, disse: — Be’, perché no? Che importa come procederemo per creare la Federazione dell’uomo? Tu sei sempre un federalista, perciò cos’hai da obiettare contro un’umanità unita
— Unita sotto i diaboli?
— Che differenza fa? L’umanità non riesce a unirsi da sé. Lasciamo che si uniscano gli altri, purché la cosa si faccia. Ne ho fin sopra i capelli, Altmayer, ne ho fin qui della nostra stupida storia. Sono stanco di continuare a fare l’idealista quando non c’è proprio niente da idealizzare. Gli esseri umani sono esseri umani, il difetto sta tutto lì. Forse è necessario che qualcuno usi la sferza per farci allineare. Se è così, sono perfettamente disposto a permettere che la usino i diaboli.
— Sei proprio uno sciocco. Devoire — osservò paternamente Altmayer. — Non sarà una vera unione, e Io sai benissimo. I diaboli hanno indetto questa conferenza per agire da arbitri, a loro vantaggio, in tutte le attuali dispute tra umani e, in seguito, continuare a essere una suprema corte di giudizio. Sai benissimo che non hanno nessuna intenzione di creare un vero governo umano centrale. Si tratterà soltanto di una specie di direttorato di allacciamento; ogni governo umano continuerà a condurre i suoi affari come sempre, e a tirare l’acqua al suo mulino. La sola differenza sarà che ci abitueremo a correre dai diaboli ogni volta che avremo un piccola problema da risolvere.
— Come fai a sapere che il risultato sarà questo?
— E tu giudichi seriamente possibile un risultato d’altro genere? Devoire si mordicchiava il labbro inferiore.
— Forse no!
— E allora cerca di guardare la realtà in faccia, Simon. Qualsiasi vera indipendenza che ancora abbiamo andrà perduta.
— Sai quanto ci è servita, l’indipendenza!... E poi, a che serve? E’ una cosa che non possiamo impedire. Probabilmente, il Coordinatore Stock vede poco di buon occhio la conferenza, proprio come te, ma a che cosa gli serve? Se la Terra non sarà presente, l’unione si formerà senza di noi e allora dovremo affrontare la guerra con il resto dell’umanità e con i diaboli. E questo vaie per qualsiasi altro governo che si rifiuti di partecipare.
— E se si rifiutassero tutti, di partecipare? Non credi che la conferenza andrebbe all’aria?
— Hai mai sentito che i governi facciano qualcosa tutti insieme? Tu non imparerai mai, Altmayer.
— Stavolta ci sono di mezzo fatti nuovi
— Per esempio? Lo so che sono un idiota a domandartelo, ma dimmeli lo stesso.
— Per vent’anni — disse Altmayer — la maggior parte della Galassia è rimasta preclusa alle navi umane. Questo lo sai. Nessuno di noi ha la più pallida idea di quello che si svolge entro la sfera d’influenza dei diaboli. E tuttavia, entro quella sfera, esistono alcune colonie umane.
— E con questo? —Di tanto in tanto, alcuni esseri umani riescono a riparare in quella piccola porzione della Galassia che ancora rimane libera e nostra. Il governo della Terra riceve rapporti; rapporti che non osa rendere di pubblico dominio. Ma non tutti i funzionari governativi rassegneranno in eterno alla viltà insita in questo modo di procedere. Uno di loro è venuto a trovarmi. Non posso dirti chi, naturalmente... Così sono in possesso di documenti, Devoire: prove ufficiali, autentiche, degne del massimo affidamento. Devoire si strinse nelle spalle. — Prove di che? Con gesto ostentato, girò il cronometro da tavolo, in modo che Altmayer potesse vederne il lucido quadrante metallico su cui spiccavano le rosse cifre luminose, Segnavano le 22.31 e, nell’attimo stesso in cui il cronometro veniva girato, l’1 svanì e apparve un 2
— C’è un pianeta che i colonizzatori hanno chiamato Chu Hsi — disse Altmayer. — La popolazione è piullosto scarsa; due milioni all’incirca. Quindici anni fa, i diaboli occuparono mondi tutt’intorno a quel pianeta; e, in questi quindici anni, nessuna nave umana è mai arretrata su Chu Hsi. L’anno scorso, vi atterrarono i diaboli. Portarono con sé immense navi da carico piene di solfato di sodio e colture batteriche native dei loro mondi.
— Cosa...? No, non riuscirai a farmelo credere, mai!
— Fai uno sforzo — ribatté Altmayer, in tono ironico. — Non difficile. Il solfato di sodio si scioglie negli oceani di qualsiasi mondo. In un oceano di solfato, i loro batteri possono crescere, moltiplicarsi e produrre solfuro di idrogeno in quantità spaventose, tali da riempire gli oceani e l’atmosfera. I diaboli possono introdurre sul pianeta le loro piante, i loro animali e, a lungo andare, se stessi. Un nuovo pianeta diverrà così adatto all’esistenza dei diaboli: e non più adatto alla natura umana. Ci vorrà tempo senza dubbio, ma i diaboli di tempo ne hanno. Sono un popolo unito e...
— Ma via! — Devoire agitava le mani, disgustato — la cosa non regge, abbi pazienza! I diaboli hanno tutti tanti di quei mondi d non sapere proprio cosa farsene.
— Per le loro necessità attuali, siamo d’accordo, ma i diaboli sono esseri abituati a guardare al futuro. Il loro tasso di natalità è alto, e un po’ alla volta riempiranno tutta la Galassia. E non pensi che si troverebbero molto meglio se fossero la sola intelligenza dell’universo?
— Ma è impossibile per ragioni puramente materiali Lo sai quanti milioni di tonnellate di solfalo di sodio ci vorrebbero per riempire gli oceani in modo da soddisfare le loro necessità?
— Ovviamente, un’intera fornitura planetaria.
— D’accordo, e tu pensi che vorrebbero smontare uno dei loro mondi per crearne uno nuovo? A che pro scusa?
— Simon, Simon, esistono milioni di pianeti, nella Galassia, che per condizioni atmosferiche, temperatura o gravità sono assolutamente inabitabili sia dagli umani, sia dai diaboli. Molti di questi, però, sono ricchissimi di zolfo. Devoire rifletté. — E gli esseri umani che già abitavano il pianeta?
— Chu Hsi? Eutanasia... salvo per quei pochi riusciti a fuggire in tempo. Morte indolore, immagino. I diaboli non sono crudeli inutilmente, sono soltanto efficienti. Altamayer aspettava. Devoire contraeva e allentava i pugni.
— Pubblica questa notizia — disse Altmayer. — Diramala sulla rete subterica interstellare. Trasmetti i documenti ai centri di ascolto dei diversi mondi. Tu puoi farlo e, se lo farai, la conferenza pan-galattica finirà in fumo. Devoire inclinò la sedia in avanti. Si alzò.
— Dove sono queste prove?
— Lo farai?
— Voglio vedere le prove. Altmayer sorrise.
— Vieni con me.

Lo stavano aspettando, quando fece ritorno nella camera ammobiliata in cui abitava, Lui non se ne accorse da principio. Era assolutamente ignaro del fatto che un piccolo veicolo lo stesse seguendo a passo d’uomo e a prudente distanza. Camminava a testa china, calcolando il tempo che sarebbe occorso a Devoire per mandare quelle informazioni nello spazio; quanto tempo sarebbe occorso perché le stazioni riceventi di Vega, Santanni e Centaurus ritrasmettessero notizia; quanto questa avrebbe impiegato a diffondersi in tutta la Galassia. E, così assorto, passò, senza vederli, tra i due poliziotti il borghese che sorvegliavano l’ingresso della sua modesta pensione. Solo quando aprì la porta della propria stanza si fermò di scatto, si girò per fuggire, ma i due poliziotti in borghese erano proprio dietro di lui, ora. Non tentò di opporre resistenza. Entrò invece nella stanza e sedette, sentendosi tremendamente vecchio. Febbrilmente pensava: «Basterà che li tenga a bada per un’ora e dieci minuti». L’uomo che aspettava nell’oscurità fece scattare l’interruttore che azionava le luci murali. Nel chiarore morbido, il volto rotondo dell’uomo, la testa calva, con la corona di capelli grigi, si stagliarono nitidi. Altmayer disse gentilmente: — Mi sento onorato dalla visita de Coordinatore in persona. E Stock replicò: — Tu e io siamo vecchi amici, Dick. È giusto che ci si riveda ogni tanto. Altmayer non rispose.
— Hai in tuo possesso alcuni documenti governativi, Dick — continuò Stock.
— Se lo credi, Jeff — rispose Altmayer — dovrai trovarli. Stock si alzò, con aria affaticata.
— Lasciamo perdere i gesti eroici, Dick. Ti dico subito che cosa contenevano quelle carte. Erano rapporti particolareggiati sulla solforazione del pianeta Chu Hsi. Non è vero forse? Altmayer guardò l’orologio.
— Se speri di farci perdere tempo, di portarci dove vuoi tu come se fossimo pesci, rimarrai deluso. Sappiamo dove sei stato, sappiamo che quelle carte le ha Devoire, sappiamo esattamente quello che pensa di farne. Altmayer s’irrigidì.
— Da quanto tempo lo sapevate? — domandò
— Da quando l’hai saputo tu, Dick. È facile predire quello che farai. Ed è questa la ragione per cui abbiamo deciso di servirci di te. Credi che quel funzionario sarebbe davvero venuto a trovarti, come ha fatto, senza che noi lo sapessimo?
— Non capisco
— Il governo della Terra, Dick, non ci tiene affatto a sapere che la conferenza pan-galattica si farà. D’altra parte, noi non siamo federalisti; conosciamo l’umanità per quello che è. Secondo te che cosa accadrebbe, se il resto della Galassia scoprisse che i diaboli erano in procinto di trasformare un mondo a ossigeno in un mondo a base di zolfo? "No, non rispondere! Tu sei Dick Altmayer e, senza dubbio, mi diresti che, con un unico e fiero scoppio di indignazione, tutti abbandonerebbero la conferenza, si unirebbero in un amoroso e fraterno abbraccio, si getterebbero contro i diaboli e riuscirebbero a sopraffarli. Stock tacque talmente a lungo che, per un attimo, sembrò quasi che non dovesse aggiungere altro. Poi, riprese, in tono smorzato: — Sciocchezze! Gli altri mondi direbbero che il governo della Terra per motivi suoi, avrebbe escogitato una frode, avrebbe falsificato documenti nel tentativo deliberato di mandare all’aria la conferenza. I diaboli negherebbero tutto, e la maggior parte dei mondi umani troverebbe conveniente prendere per buoni quei dinieghi. Tutti si concentrerebbero sulle iniquità della Terra e dimenticherebbero l’iniquità dei diaboli. Perciò, vedi, noi non potremmo mai appoggiare una simile denuncia. Altmayer si sentiva vuoto, inutile.
— E cosi, fermerai Devoire. La verità è che tu sei sempre cosi sicuro in anticipo del fallimento, che credi solo al lato peggiore dei tuoi simili...
— Aspetta! Non ho affatto detto che fermerò Devoire. Ho detto solo che il governo non potrebbe appoggiare una simile denuncia, e non lo farà. Ma la denuncia avrà luogo ugualmente, salvo che subito dopo arresteremo Devoire e te e a nostra volta sconfesseremo la cosa con la stessa veemenza dei diaboli. L’intera faccenda risulterà quindi mutata. Il governo della Terra si dissocerà dalle accuse. A questo punto, al resto dei governi umani sembrerà che, per motivi nostri, egoistici, stiamo cercando di nascondere le azioni dei diaboli e che, forse, esista un’intesa tra i diaboli e noi. Tutti temeranno questa particolare connivenza e si uniranno contro di noi. Ma essere contro di noi vorrà dire, per loro, essere anche contro i diaboli. Insisteranno nel credere che la denuncia sia vera; i documenti autentici e la conferenza si scioglierà.
— E vorrà dire di nuovo guerra — disse Altmayer, disperato — non contro il vero nemico. Vorrà dire batterci tra noi umani e, quando tutto sarà finito, rendere ancora più grande la vittoria dei diaboli.
— Niente guerra — disse Stock. — Nessun governo attaccherà la Terra sapendo che i diaboli sono dalla parte nostra. Gli altri governi si limiteranno ad allontanarsi da noi. In seguito, se ci sarà guerra tra noi e i diaboli, gli altri governi rimarranno per lo meno neutrali. «Sembra anche lui molto invecchiato» pensava Altmayer. «Siamo entrambi uomini vecchi, prossimi alla morte.» A voce alta, domandò:— Perché pensi che i diaboli spalleggeranno la Terra? Potrai ingannare il resto dell’umanità fingendo di sopprimere i fatti riguardanti il pianeta Chu Hsi, ma non ingannerai certo i diaboli. Neppure per un momento penseranno che la Terra sia sincera nel dichiarare che quei documenti sono falsi.
— Ah, ma è qui che ti sbagli. — Geoffrey Stock si alzò. — Lo crederanno, invece, per il motivo che quei documenti «sono» falsi. Può anche darsi che i diaboli progettino la solforazione dei pianeti in futuro ma, per quanto ci risulta, finora non l’hanno ancora tentata Il 21 dicembre 2800, Richard Sayama Altmayer entrò in prigione per la terza e ultima volta. Non vi fu processo, né sentenza, e non fu nemmeno carcere, nei senso letterale della parola. I suoi movimenti erano strettamente vigilati e soltanto a poche persone veniva concesso di comunicare con lui ma, per il resto, si faceva il possibile per rendergli l’esistenza confortevole. Era tenuto all’oscuro delle notizie, naturalmente, per cui non sapeva che, durante il secondo anno di prigionia, la guerra tra i diaboli e la Terra era scoppiata all’improvviso quando, nei pressi di Strio, uno squadrone terrestre aveva attaccato di sorpresa alcune navi dei diaboli.

Nel 2802, Geoffrey Stock andò a far visita ad Altmayer che si trovava sempre in isolamento. Altmayer si alzò, meravigliato, nel vederlo.
— Hai un bell’aspetto, Dick — disse Stock. Quanto a lui, non l’aveva. Il colorito era grigiastro. Portava sempre l’uniforme di capitano di marina, ma il corpo, sotto la divisa, appariva leggermente curvo. Sarebbe morto entro l’anno, fatto di cui non era totalmente all’oscuro. Non se ne preoccupava molto, in ogni modo. Si diceva ripetutamente: «Ho vissuto gli anni che dovevo, vivere». Altmayer, che sembrava il più vecchio dei due, aveva davanti a se ancora nove anni di vita.
— È un piacere inaspettato, Jeff, ma stavolta non sei venuto per arrestarmi. Sono già in prigione.
— Sono venuto per liberarti, se ti fa piacere.
— A che scopo, Jeff? Tu l’avrei di certo, uno scopo. Un modo intelligente di servirti di me? Stock sorrise debolmente.
— Un modo di servirmi di te, certo, ma stavolta tu approverai…Siamo in guerra.
— Con chi’?. — Altmayer era sconcertato.
— Con i diaboli. Siamo in guerra da sei mesi, ormai. Altmayer congiunse le mani, intrecciando nervosamente le dita sottili. — lo non ne sapevo niente.
— Lo so. Il Coordinatore riunì le mani dietro la schiena e fu solo minimamente sorpreso nel constatare che gli tremavano.
— È stato un lungo viaggio per tutti e due, Dick. Avevamo il medesimo obiettivo, tu e io... No, lasciami parlare. Spesso avrei voluto spiegarti il mio modo di pensare, ma tu non avresti mai capito. Non eri il tipo di capirmi, finché non t’avessi mostrato dei risultati. Avevamo venticinque anni, Dick, quando visitai per la prima volta un mondo dei diaboli. Fin d’allora capii che non c’era alternativa: o loro noi.
— E io — mormorò Altmayer — l’ho detto fin dall’inizio.
— Sì, ma dirlo non era sufficiente. Tu volevi costringere i governi umani a unirsi contro di loro. e quel concetto era politicamente poco realistico e assolutamente irrealizzabile. Non era nemmeno desiderabile. Gli umani non sono i diaboli. Tra i diaboli, la coscienza individuale è scarsa, quasi inesistente. In noi, invece, è preponderante. Loro non sanno che cosa sia la politica; noi non abbiamo nient’altro. Loro non sono mai in disaccordo, non possono avere altro che un singolo governo. Noi non possiamo mai essere d’accordo: se avessimo una sola isola su cui vivere, la divideremo in tre. «Ma i nostri stessi disaccordi sono la nostra forza! Un tempo, il tuo partito federalista parlava spesso dell’antica Grecia Ricordi? Ma la tua gente non aveva afferrato l’essenziale. D’accordo, la Grecia, per l’impossibilità di unirsi, finì per essere conquistata. Ma perfino nel suo stato di disunione sconfisse il gigantesco impero persiano. Perché? Vorrei farti notare che, per secoli, le città-stato greche avevano combattuto tra loro. Questo le aveva costrette a specializzarsi in cose militari molto di più di quanto avessero fatto i persiani. I persiani stessi lo capirono, tanto che, nell’ultimo secolo del loro impero, erano proprio i mercenari greci a formare le parti più valide del loro esercito.»Lo stesso si potrebbe dire delle piccole nazioni-stato dell’Europa pre-atomica, che in secoli di lotte avevano affinato le loro arti militari al punto di poter sopraffare e tenere in scacco per oltre duecento anni gli imperi, giganteschi al confronto, dell’Asia. «E così è per noi. I diaboli, con le loro estensioni di spazio galattico, non hanno mai combattuto una guerra. La loro macchina militare è massiccia, ma non collaudata. In cinquant’anni, hanno fatto progressi solo per quei particolari che hanno potuto copiare dalle navi di produzione umana. L’umanità, al contrario, non ha fatto che competere ferocemente in campo bellico. Ogni governo ha fatto tutto per essere superiore ai suoi vicini per quanto riguarda la scienza militare. Bisognava farlo! Era la nostra stessa mancanza d’unione a rendere necessaria quella terribile corsa per la sopravvivenza, così che alla fine quasi ognuno di noi era in grado di tenere testa ai diaboli, purché nessun governo umano si schierasse dalla parte del nemico.»E la diplomazia terrestre mirava proprio a impedire un simile stato di cose. Non poteva esserci guerra tra Terra e diaboli finché non fosse stata assicurata la neutralità degli altri governi umani. Né poteva essere permessa l’unione dell’umanità, dato che la corsa alla perfezione militare doveva continuare. Una volta sicuri della neutralità, dopo il trucco che due anni fa fece naufragare la conferenza abbiamo cercato la guerra, e ora ci siamo riusciti. Altmayer sembrava impietrito. Passò parecchio tempo prima che potesse dire qualcosa.
— E se i diaboli, nonostante tutto, vincessero? — domandò, alla fine.
— Hanno già perso — rispose Stock. — Due settimane fa, le flotte principali hanno unito le forze e quelle dei diaboli sono state d strutte senza perdite rilevanti da parte nostra. E si che le loro forze erano preponderanti. Era come se combattessimo contro navi disarmate. Avevamo armi più, forti, di più lunga gittata e con maggiore precisione di tiro. La nostra velocità, praticamente, era tre volte superiore dato che disponevamo di congegni di decelerazione che a loro mancavano. Fin dall’inizio della battaglia, una dozzina d’altri governi umani avevano deciso di schierarsi con i vincitori e così hanno dichiarato guerra ai diaboli. Ieri, i diaboli hanno chiesto di aprire negoziati per un armistizio. La guerra è finita, praticamente; e i diaboli verranno confinati nei loro pianeti d’origine, e saremo noi a dettar legge sulla loro futura espansione. Altmayer mormorava parole incoerenti.
— E ora — disse Stock — l’unione diviene necessaria. Le città-stato della Grecia, una volta sconfitta la Persia, andarono in rovina perché continuarono a guerreggiare tra loro, per cui vennero conquistate dai macedoni e poi da Roma. Dopo che l’Europa colonizzò le Americhe, si divise l’Africa e conquistò, l’Asia, andò alla rovina per una serie ininterrotta di guerre intestine. «Disunione fino alla conquista: unione subito dopo! Ma ormai l’unione è facile. Basta che una delle suddivisioni abbia successo, e il resto chiederà a gran voce di farne parte. Un antico scrittore, Toynbee, fu il primo a indicare la differenza tra quelle che lui definii ’minoranza dominante’ e ’minoranza creativa’.»Ora noi siamo una minoranza creativa. Quasi spontaneamente diversi governi umani hanno consigliato la formazione di una Organizzazione dei Mondi Uniti. Più di settanta governi sono disposti a presenziare alle prime sedute allo scopo di stendere uno Statuto della Federazione. Gli altri si uniranno in seguito, ne sono certo. Vorremmo che tu, Dick, fossi uno dei delegati della Terra." Altmayer aveva le lagrime agli occhi.
— Io... non capisco il tuo scopo. Ma è tutto vero?
— Tutto esattamente come ti dico. Tu eri una voce nel deserto, Dick, una voce che invocava l’unione. Le tue parole avranno un gran peso. Come mi dicesti, una volta: «Chi combatte per una buona causa, non può fallire».
— No — protestò Altmayer, con improvvisa energia. — Pare che la tua fosse la causa giusta. Il volto di Stock era duro e non manifestava alcuna emozione.
— Tu hai sempre frainteso la natura umana, Dick. Quando Mondi Uniti saranno realtà, quando generazioni di uomini e donne guarderanno a questi tempi di guerra attraverso secoli di pace ininterrotta, dimenticheranno lo scopo delle mie azioni. Per loro, esse rappresenteranno solamente guerra e morte. Ma le tue esortazioni all’unità, il tuo idealismo, verranno ricordati per sempre.

Stock si girò e Altmayer colse a stento le sue ultime parole: — E quando erigeranno le loro statue, non ne costruiranno nessuna per me.

Nella Corte Grande, che si stende come un’oasi di assoluta pace tra decine e decine di chilometri quadrati riservati agli affollatissimi e torreggianti edifici che sono il battito cardiaco dei Mondi Uniti, c’è una statua...

Per una buona causa (In a Good Cause) è un racconto di fantascienza di Isaac Asimov pubblicato per la prima volta nel 1951 nell’antologia New Tales of Space and Time.

Fonte immagine: Pixabay.

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