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Open Balkan: apertura o chiusura per l’integrazione dei Balcani Occidentali nell’Unione europea?

, di Dino Šabović

Open Balkan: apertura o chiusura per l'integrazione dei Balcani Occidentali nell'Unione europea?

L’Unione europea continua ad avere un approccio confuso per l’integrazione dei Balcani Occidentali, ciò con il rischio di lasciare ad altri attori la libertà di tracciare altre strade che potrebbero allontanare questa regione dal percorso europeista.

In questo articolo si cercherà di dare una breve descrizioni di quello che è l’Open Balkan e i suoi principali attori e di comprendere in che modo l’Unione europea stia reagendo al progetto. In tal senso si cercherà di capire cosa sia questa “mini-Schengen” e quali sono le sue implicazioni per il futuro europeista dei Balcani Occidentali e in che modo Bruxelles si tiene agganciata nella regione.

Nell’ottobre 2019 i leaders di Serbia, Albania e Macedonia del Nord — Aleksandar Vučić, Edi Rama e Zoran Zaev — firmano a Novi Sad (Serbia) l’accordo dell’Open Balkan. Immediatamente, il nuovo termine, viene traslitterato nel lessico delle relazioni internazionali come mini-Schengen. Il motivo è che l’accordo si basa su quattro fondamentali libertà: beni, capitali, servizi e persone. [1]

Il progetto nasce dall’iniziativa del Presidente serbo con lo scopo di emulare quello che è stato l’accordo di Schengen del 1985 (entrato in vigore nel 1995 e poi integrato nel quadro EU nel 1999 [2]). Ciò per poter fornire maggiori opportunità di commercio, facilitare gli scambi di prodotti, servizi, persone, studenti e di accelerare il processo d’integrazione UE nella regione. Ma anche per attrarre maggiori investimenti esteri.

L’idea, inoltre, ha anche l’ulteriore obiettivo politico di distendere i rapporti tra questi tre Paesi che in passato sono stati al centro sia di tensioni etniche che di rivalità transnazionali. Infatti, sempre facendo il parallelismo con la Schengen Occidentale, l’istituzione di questa zona economica di libero scambio paventerebbe la strada per un ulteriore distensione dei rapporti bilaterali di questi.

Un aspetto, la distensione, che non è solo un obiettivo di questi popoli balcanici ma anche della stessa Unione europea che, dagli anni Novanta, ha difficoltà ad agganciarsi nella regione e di svolgere un ruolo tangibile.

In termini più economici, l’Open Balkan garantirebbe, secondo le previsioni di Belgrado, un risparmio per i Paesi interessati di ben 220 milioni di Euro grazie alla riduzione della burocrazia per la libera circolazione di beni e persone. [3]

Inoltre, l’accordo non viene solo inteso per questi tre Stati firmatari, ma un invito a parteciparvi viene anche esteso a Montenegro, Bosnia-Erzegovina e Kosovo. Paesi che condividono il medesimo passato rocambolesco, economie poco sviluppate e il fatto di non essere parte dell’UE.

Anche se alcuni di questi Paesi invitati hanno manifestato un certo grado d’interesse (come per il Montenegro che in primo momento temeva un’eccessiva ingerenza di Belgrado e ne denunciava l’inutilità dell’accordo [4], ora invece, sotto la guida del nuovo Governo di Dritan Abazović, intende aderirvi), altri invece ne hanno denunciato i rischi per il proprio Paese: è il caso del Kosovo che accusa la Serbia di voler conservare (creare) la sua egemonia nella regione. [5]

Pertanto, se si guarda alla mappa politica dell’Open Balkan ci si ritrova al primo posto la Serbia che conta una popolazione di quasi 7 milioni, un potere di acquisto di 137,126 miliardi di dollari, un PIL di 53,34 miliardi di dollari e un PIL pro-capite di 7,730 dollari [6]. Seguito da Albania e Macedonia del Nord.

Anche se ci fosse l’accensione dei tre invitati, la mappa politica del progetto cambierebbe poco vedendo sempre la Serbia primeggiare. È chiaro che questa posizione di Belgrado non è ben gradita dalle altre capitali interessate.

Inoltre, l’Open Balkan non va inteso come un’iniziativa che va ad avvicinare per forza di cose questa regione all’UE come il suo soprannome (“mini-Schengen”) vorrebbe suggerire: infatti sono tre Paesi non-UE, anche se ufficialmente candidati all’adesione, ad aver imbastito il progetto e all’infuori dei canali europei.

Chiaro è che tutti gli accordi presi e previsti all’interno dell’Open Balkan avvengano senza la partecipazione delle istituzioni UE, ma attraverso i classici canali del diritto internazionali: cioè in un accordi vis-à-vis tra Stati.

Andando avanti, molti voglio suggerire che la “mini-Schengen” balcanica è in grado di portare a compimento i risultati avutesi con la Schengen Occidentale: avvocando che anche quest’ultima sia nata all’infuori degli schemi comunitari in qualità di accordo internazionale e che poi abbia trovato il suo naturale arrivo nel framework legislativo europeo.

Questo è senza dubbio vero, la Schengen Occidentale è stata sì un successo ma per la libertà di circolazione dei cittadini come persone private da un confine all’altro senza controlli. Ma non ha aggiunto niente di più rispetto alla Comunità Economica Europea: che con il Trattato di Roma del 1957 ha dato via alla libertà di circolazione di merci, persone, servizi e capitali. [7]

Forse sarebbe più consono, vista la precisazione fatta, definire l’Open Balkan come un nuovo trattato di Roma nei Balcani. Inoltre, non bisogna sottovalutare il retaggio storico che queste Nazioni balcaniche si portano appresso: se i Paesi dell’Europa Occidentale avevano bene o male messo un punto alle loro vertenze sia territoriali che internazionali, questo non è così per la realtà balcanica.

Anzi, molte controversie nate negli anni Novanta del secolo scorso non hanno ancora trovato una soluzione (si pensi solo alla sistemazione della Bosnia o al riconoscimento serbo del Kosovo come Nazione) e non accennano, almeno in questa fase storica, a trovare un appianamento.

Questi sono chiaramente un primo grande dilemma che di sicuro non possono essere risolti all’interno di un concerto di Nazioni solo balcaniche: anche se sulla spinta di una paventa ideologia liberale, è risaputo che per più di 30 anni questi hanno ostacolato, anche se con una pur blanda partecipazione dell’UE e di altre Potenze, la sistemazione politico-territoriale della regione.

In aggiunta, il progetto non è tanto volto a favorire il commercio di queste realtà nazionali con l’UE ma piuttosto con quelli che sono ad oggi i principali partners economici dell’area: Cina, Turchia e Russia. [8] Questi ultimi hanno trovato un terreno fertile in questa area dal momento che l’UE non è mai riuscita ad imporsi come attore rilevante (salvo Paesi UE come la Germania).

In questo senso, l’Open Balkan assume piuttosto i connotati di un palliativo per Bruxelles che, ignorando le ambiguità insite nell’accordo, vede in esso un mezzo per assopire alle lacune dell’ingaggio UE nella regione. Ma non perché le istituzioni europee non siano in grado o volenterose nell’avere un ruolo più incisivo nei Balcani, piuttosto perché alcuni Stati UE non hanno l’interesse di un ingaggio ed allargamento UE nell’area.

Un esempio potrà chiarire l’affermazione di cui qui sopra: nell’ottobre del 2019 Francia e Paesi Bassi hanno posto il veto sulla decisione europea di avviare i negoziati d’adesione di Albania (paese candidato dal 2014) e di Macedonia del Nord (rispettivamente candidato dal 2005). [9] Ciò potrebbe suggerire che l’Open Balkan, che si ricorda essere frutto dell’iniziativa di uno Stato che della dualità Occidente e Oriente ne ha fatto il punto cardine di politica estera, sia una risposta all’indecisione degli Stati UE.

Un altro aspetto da tenere in considerazione quando si parla dell’Open Balkan è che esso nasce in un contesto di galoppante euroscetticismo nei Balcani. Ciò è affermato nel 2014 dal discorso inaugurale al Parlamento europeo di Jean-Claude Juncker parlando al riguardo dell’allargamento UE: i negoziati continueranno e altre Nazioni europee e Paesi europei hanno bisogno di una credibile ed onesta prospettiva europea. Questo specialmente per i Balcani Occidentali. Questa tragica regione europea ha bisogno di una prospettiva europea. Altrimenti i vecchi demoni del passato saranno risvegliati. [10]

Se da un lato si può dire che l’UE è assente, dall’altra parte si può anche dire che l’Open Balkan è e rimane un progetto a preminenza serba. E questo pone immediatamente in chiaro che il progetto è sotto la diretta guida di Belgrado e che pone tutti gli altri Stati in una situazione subordinata e non di parità. Senza poi contare il fatto che Belgrado non esiti ad appoggiarsi a Mosca e Pechino come canali preferenziali di dialogo estero, come dimostrato dalle vicende della vaccine diplomacy. [11]

Inoltre, persiste l’ambiguità dei rapporti tra Belgrado e Prishtina. Se in un primo mento vi era stata una certa distensione dei rapporti tra le due capitali (con il Washington Agreement del settembre 2020) ciò non è più stato così: nonostante la firma di un accordo per la normalizzazione dei rapporti economici tra i due Paesi, rimane ancora aperta la questione del riconoscimento serbo del Kosovo. Un riconoscimento che Belgrado di sicuro non intende dare. [12]

Infatti, il progetto Open Balkan prospetta sì l’adesione del Kosovo ma non fa cenno alla volontà di serba di riconoscerne lo Stato: questo è chiaramente un grande dilemma per il Paese che rischierebbe, se decidesse di aderire al progetto, di non ricevere mai il riconoscimento di Belgrado. Ciò perché la sua adesione implicherebbe un suo ruolo subalterno dal momento che non vi sarebbe più il bisogno di esibire un passaporto per circolare da una Nazione all’altra.

Inoltre, il sodalizio economico inaspettato tra Belgrado e Tirana non sembra avere un riscontro positivo per gli altri Paesi: oltre all’ambiguità albanese sul mancato riconoscimento serbo del Kosovo, è di recente notizia che il Parlamento albanese abbia respinto l’approvazione di una legge che riconosca il genocidio di Srebrenica. Voto che ha sollevato molte reazioni negative sia in Bosnia che tra i musulmani balcanici. [13]

Tornando all’euroscetticismo che ha colpito questa area si ricorda che nel 2014, su iniziatica del Cancelliere Angela Merkel, si è dato via al The Berlin Process che ha come scopo quello di tracciare la strada per l’integrazione dei Balcani Occidentale nell’Unione. Assieme alla partecipazione, oltre che degli Stati non ancora membri dell’UE, di Germania, Francia, Italia, Austria, Croazia, Grecia, Polonia, Slovena e con la partecipazione esterna del Regno Unito.

Anche se il Berlin Process nasce all’infuori dell’Unione esso è strettamente collegato sia agli obiettivi che al framework normativo europeo. Tant’è che la stessa Commissione europea ne riconosce l’importanza per la sua strategia d’allargamento verso i Balcani Occidentali.

Ciò perché il Berlin Process persegue i seguenti obiettivi: aiutare i Balcani Occidentali nel processo di riforme, risolvere le dispute sia internazionali che interne, aumentare la crescita economica regionale, avviare progetti di cooperazione regionale e sostenere lo sviluppo della società civile nell’area. [14]

E ciò ha già portato a diversi risultati: come la visita di Edi Rama a Belgrado nel novembre 2014 dopo 68 anni dall’ultima visita di un leader albanese; nel 2016 un accordo tra Belgrado e Prishtina è stato raggiunto per permettere al Kosovo di avere un suo prefisso internazionale; nel 2018 si è risolta la lunga disputa tra Skopije e Atene per il nome da attribuire alla regione greca di macedonia e l’accettazione macedone di ciò per poter divenire candidato ufficiale per l’ingresso nell’Unione. [15]

È chiaro che questo rapido miglioramento dei rapporti tra gli Stati balcanici è stato possibile grazie ad un’effettiva partecipazione del mondo UE nelle vertenze di questa area, ed è ancora più chiaro che vi è il bisogno che il percorso d’integrazione continui sotto l’ombrello dell’Unione. E che l’Open Balkan rischi non solo di duplicare quello che è già il Berlin Process, ma persino di sostituirlo del tutto.

Concludendo, l’Open Balkan è una grande incognita sia per quanto riguarda la stabilità regionale dei Balcani che per il futuro europeista della regione. Il rischio è che l’Unione, dopo anni di vuoto politico, sia tentata di risolvere il suo ingaggio nell’area lasciando a pochi attori controversi le redini del processo d’integrazione. Così da poter ottenere una rapida vittoria di Pirro che porta con sé un futuro europeista incerto per questi popoli.

Note

[1“Three countries agree mini Schengen in the Balkans”, EUROACTIV, 11 ottobre 2019, https://www.euractiv.com/section/enlargement/news/three-countries-agree-mini-schengen-in-the-balkans/

[3“Western Balkan leaders plot their own “mini-Schengen” zone, euronews., 11 novembre 2019, https://www.euronews.com/2019/11/11/western-balkan-leaders-plot-their-own-mini-schengen-zone

[4“Otvaranje Crne Gore za Otvereni Balkan”, Radio Slobodna Evropa, 28 gennaio 2022, https://www.slobodnaevropa.org/a/crna-gora-otvoreni-balkan/31675945.html

[5“Serbia aims to create tensions in Balkans: Kosovo President”, BalkanInsight, 20 aprile 2022, https://balkaninsight.com/2022/04/20/serbia-aims-to-create-tensions-in-balkans-kosovo-president/

[6Sito del The World Bank, scheda Serbia, https://datatopics.worldbank.org/world-development-indicators/

[7Si veda: Adam R., Tizzano A., 2017, Seconda Edizione, “Manuale di Diritto dell’Unione europea”, Torino, G. Giappichelli Editore.

[8Kamberi D., 2022, “OPEN BALKAN VS BERLIN PROCESS — SAME, SAME BUT DIFFERENT?”, Journal for Peacebuilding and Transcultural Communication, Vol. 2, N. 3-4, pp. 60-71, https://eprints.unite.edu.mk/886/

[9Cvijić S., 2021, “France, the Western Balkans, and the EU: on the wave of skepticism”, https://www.balcanicaucaso.org/eng/Areas/Balkans/France-the-Western-Balkans-and-the-EU-on-the-wave-ofscepticism-210254

[10Sito della Commissione europea, “A new start for Europe”, 15 luglio 2014, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/SPEECH_14_567

[11Si veda: Lee S.T, 2021, “Vaccine diplomacy: nation branding and China’s COVID-19 soft power play”, Place Branding and Public Diplomacy, Vol. 1, N. 15, https://doi.org/10.1057/s41254-021-00224-4

[12“Serbia: inviato tedesco, senza accordo su Kosovo difficile UE”, ANSAmed, 10 maggio 2022, https://www.ansamed.info/ansamed/it/

[13“Bosnia reacts after Albania fails to pass a resolution on Srebrenica genocide”, EUROACTIV, 16 maggio 2022, https://www.euractiv.com/section/global-europe/news/bosnia-reacts-after-albania-fails-to-pass-resolution-on-srebrenica-genocide/

[14Flessenkemper T., 2017, “The Berlin Process: resilience in the EU waiting room”, in Lange S., Nechev Z. & Trauner F., “Resilience in the Western Balkans”, European Union Institute for Security Studies, pp. 23-30, http://www.jstor.org/stable/resprep07086.7

[15Kamberi D., Ibidem, p. 62.

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