Innanzitutto, la proposta iniziale portata avanti da Francia e Germania e approvata dalla Commissione era stata tempestiva e prevedeva un piano abbastanza ambizioso da risultare efficace, con tempistiche non immediate ma comunque rapide visti gli standard europei. La proposta si era in un primo momento, però, arenata al Consiglio Europeo, che aveva richiesto più di un mese per trovare un accordo.
Tuttavia, ancora una volta, la componente intergovernativa dell’Unione ha posto un freno a una risorsa urgente, mettendo in pericolo la stabilità finanziaria del sistema.
La causa, al momento, è il veto imposto da Ungheria e Polonia.
Infatti, il Consiglio dell’Unione Europea, attualmente sotto la presidenza della Germania, e il Parlamento Europeo hanno deciso di vincolare l’accesso ai finanziamenti europei al rispetto dei “valori comuni” e della rule of law, con l’obiettivo di quantomeno rallentare la deriva illiberale di alcuni stati membri.
La risposta di questi stati membri non si è fatta attendere: a fine novembre, il premier ungherese Viktor Orban e il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki hanno tenuto una conferenza stampa in cui non solo chiedevano al Consiglio di riconsiderare questa decisione, ma addirittura accusavano le istituzioni europee di strumentalizzare la rule of law al fine di renderla uno strumento politico.
Il veto di Polonia e Ungheria non riguarda solo i fondi straordinari del Next Generation EU (€750 miliardi), ma anche il Multiannual Financial Framework (MFF, Quadro Finanziario Pluriennale) 2021-2027. In altri termini, i due stati stanno bloccando l’intero budget europeo.
È importante ricordare, tra l’altro, che entrambi questi paesi sono al momento sottoposti a procedure disciplinari dell’Unione Europea proprio per sospette violazioni della rule of law.
L’Unione, nelle persone della Presidente della Commissione Ursula von Der Leyen e del commissario al bilancio Johannes Hahn, sembra non essere intenzionata a cedere alle pressioni di Orban e Morawiecki. In una video chiamata con il Presidente del Parlamento David Sassoli, la Presidente von der Leyen ha dichiarato di essere pronta ad avanzare con la proposta di un Recovery Fund a 25. Il commissario Hahn, inoltre, ha aggiunto che gli avvocati della Commissione hanno già individuato diverse strade per aggirare il veto.
In questo caso, però, non si potrebbe comunque procedere con la votazione del budget settennale e, in mancanza di accordo entro l’inizio del 2021, subentrerebbe un budget di emergenza per il suddetto anno. Tra le altre cose, ciò comporterebbe un taglio della spesa stimato del 50-70%, con particolare impatto sulla cohesion policy. Inoltre, la Commissione specifica che anche in caso di budget d’emergenza, e quindi di mancato accordo, la clausola sulla rule of law permarrebbe.
All’interno dei Trattati esistenti, i 25 stati membri potrebbero implementare il processo di cooperazione rafforzata per aggirare il veto e, dalle dichiarazioni di insider della Commissione, sembra che non sia da escludere questa eventualità. Un’altra possibilità sarebbe quella di creare un nuovo fondo estraneo alla struttura delle istituzioni europee, ovvero una soluzione prettamente intergovernativa. Infine, non si può escludere nemmeno la creazione di un nuovo trattato a 25 (o anche meno) che andrebbe a siglare definitivamente la nascita di un’Europa a due velocità, aprendo da un lato nuove possibilità di integrazione e dall’altro la possibilità di avere un’Europa à la carte, ancora più complicata nel suo funzionamento e nella sua struttura e più distante rispetto all’idea di unione dei padri fondatori e ai cittadini europei.
I capi di stato europei si incontreranno il 10 e 11 dicembre per trovare una soluzione, o almeno così ci si auspica.
Secondo le ultime dichiarazioni, la Polonia sembra intenzionata a cercare un compromesso con l’Unione per arrivare all’approvazione del budget e anche la Germania si è detta disponibile al dialogo con i due paesi oppositori. L’Ungheria, invece, non sembra dare cenni di cedimento.
Ancora una volta, l’integrazione europea è rimasta vittima della natura intergovernativa dell’UE e degli interessi nazionali degli stati membri, che, come il prigioniero del famoso dilemma, cedono ad egoismi circostanziali, mettendo in pericolo il futuro comune e danneggiando tutte le parti della trattativa, inclusi essi stessi.
La decisione della Commissione nell’andare avanti con questo piano è un segnale positivo per chi crede nell’Europa unita, ma è evidente che la strada da percorrere è ancora lunga.
La differenza di risultati tra l’approccio intergovernativo e quello sovranazionale e la natura ostruttiva del primo comparata a quella costruttiva del secondo evidenziano come l’unica via possibile per l’integrazione europea sia quella a guida sovranazionale.
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