Il Medioriente sta subendo un attacco multipolare su più fronti, che lasciano aperte o, forse sarebbe più corretto dire, riaprono ferite mai cicatrizzate a pieno.
La seconda metà di questo 2025 si rivela non meno tragica degli ultimi quattro anni a livello di pace e comunicazione internazionale. Giugno si schiude infatti con l’apertura di un nuovo fronte per la missione di Netanyahu, la cui strategia, del tutto priva di riguardo per i diritti umanitari, si scaglia non più su Gaza, o almeno non solo su di essa, ma si sposta contro un antico nemico, un colosso musulmano di nome Iran.
L’Iran, che dagli anni Ottanta del secolo scorso, con la rivoluzione di Khomeini, è a tutti gli effetti una teocrazia islamica, mette paura a tanti per il suo potenziale nucleare. l’Iran infatti è uno tra gli stati ad essere sulla zona limite, in termini tecnici nuclear threshold state, per quanto riguarda tutto ciò che si può incasellare nella dimensione delle armi nucleari, missili soprattutto. Lo Stato ad oggi non ha dichiarato di avere o di aver testato armi del genere, ma la paura della comunità internazionale è che, avendo davanti un paese in via teorica in grado di creare un’arma atomica, si giunga a una rapida escalation dovuta al conflitto iraniano-israeliano che porterebbe l’Iran a compiere quel salto finale nel processo atomico.
Bisogna ricordare, parlando di questi due stati, che hanno portato avanti per decenni una proxy war, o guerra per procura. In altri termini un conflitto dove le due potenze si sono confrontate in modo indiretto tramite parti terze, da vedersi soprattutto in milizie sciite filo-iraniane all’attacco di obiettivi israeliani.
Lo scenario è cambiato nell’ottobre del 2024, quando l’Iran dà l’avvio all’operazione True Promise II, in cui il primo giorno del mese lo stato lancia circa 200 missili balistici contro basi e obiettivi di bandiera israeliana. Il movente sembra ricadere in una rappresaglia in memoria delle uccisioni tra i vertici di Hamas ed Hezbollah nell’ottobre 2023. L’azione non rimane, però, impunita: Israele, il 26 ottobre, avvia l’operazione Days of Repentance, una complessa manovra dell’aviazione israeliana contro importanti siti e armi iraniani.
La situazione subisce un’impennata nella gravità con l’attacco, di matrice israeliana, avvenuto solo alcuni giorni fa. Infatti Netanyahu ha dato il via il 13 giugno 2025 a un’operazione denominata Rising Lion, con la quale il suo paese ha colpito siti militari e soprattutto nucleari iraniani e ne ha decimato i vertici militari.
Per ora Israele non ha provocato alcun danno alla famiglia del leader religioso, ma di fatto anche figura più potente nello Stato, Ali Khamenei. Khamenei, ora ultra ottantenne, è la Guida Suprema della Repubblica Islamica dell’Iran, succeduto all’ayattolah Khomeini nell’89, si trova, allo stato attuale delle cose, in un bunker sotterraneo la cui locazione non è stata resa nota per ovvi motivi di sicurezza. L’uomo si trova lì con i suoi parenti più stretti, tra cui, suo possibile successore, il figlio Mojtaba Khamenei. Il leader sarebbe infatti, anche se le fonti ufficiali non hanno mai confermato, malato da diverso tempo. Parrebbe, inoltre, che lo staff della Guida Suprema stia lavorando in modo molto serrato per ottenere una via di fuga sicura per Khamenei e famiglia in Russia, portando quindi in gioco un’altra pedina fondamentale sul piano globale: Vladimir Putin.
Reduci dall’attacco alla principale Tv iraniana e dall’affermazione del presidente in carica Netanyahu che la morte di Khameini potrebbe portare a una fine repentina della guerra, i potenti della Terra si domandano cosa fare di fronte a un conflitto che, da freddo che era, si è scaldato in modo repentino e, sembrerebbe anche poco reversibile senza interventi miliari esterni. La grande paura del mondo ritorna l’incognita nucleare, in un distopico secondo ventennio del XXI secolo, che vedrebbe risorgere le ceneri della Mad, o mutual assured destruction, e il gigantesco fantasma atomico che era stato protagonista della Guerra Fredda in tutto il mondo.
L’elemento terrificante in termini umanitari di questo nuovo, anche se come abbiamo visto non lo è per intero, conflitto in Medioriente è il distoglimento dell’attenzione internazionale dall’altro grande scontro che si sta giocando, questa volta in territorio europeo, ossia la guerra tra Ucraina e Russia. Da questo Putin e la sua nazione hanno solo che da guadagnare, in quanto potrebbe portare a una cessazione degli aiuti umanitari e militari internazionali alla sua controparte e far passare in sordina l’eventuale annessione dei territori occupati, come accaduto nel 2014 con la Crimea.
A conti fatti, l’interesse mondiale ora risiede nell’evitare una possibile o anche solo pensabile escalation nucleare in Medioriente ed è un punto in agenda imprescindibile per la sicurezza globale. Il cruccio sta nel comprendere se questa allerta vada a richiedere interventi di agenti internazionali non proprio adesi alla Carta dei Diritti dell’Uomo, vedasi la Russia, come intermediario tra le fazioni, dimentichi del fatto che si sta comunque venendo a patti con un paese che si macchia da oltre tre anni dell’uccisione di ucraini di ogni genere, classe ed età.
Segui i commenti:
|
