“Davanti a circostanze imprevedibili, per affrontare questa crisi occorre un cambio di mentalità, come accade in tempo di guerra. Gli sconvolgimenti che stiamo affrontando non sono ciclici. La perdita di reddito non è colpa di coloro che ne sono vittima. E il costo dell’esitazione potrebbe essere fatale. Il ricordo delle sofferenze degli europei negli anni Venti ci sia di avvertimento”. Mario Draghi ex presidente della BCE
Nel 1957 erano “sei” oggi sono diventati “nove”. Si potrebbe pensare a un buon passo avanti 3 Stati in più in quella che nasce a Roma il 25 marzo 1957 come Comunità economica europea oggi potrebbe portare all’unità europea su basi ben diverse, non più intergovernative ma federali. Siamo ad un punto di possibile svolta. L’Unione europea che vanta 27 paesi aderenti, di cui 19 nella zona euro, ha trovato, al Consiglio europeo di giovedì scorso sull’emergenza Covid-19 e sulle soluzioni da intraprendere, il solito stallo, un rinvio di qualche giorno per far convergere volontà diverse all’interno di quell’estremo organo intergovernativo che decide “per consenso” (per non dire all’unanimità) quando c’è anche da prendere, e in fretta, decisioni emergenziali.
Il “Comitato dei Nove” ora rappresenta de facto l’avanguardia politica della futura Unione europea che cerca convergenze sul lato dell’unità fiscale e quindi di bilancio. Alla vigilia del Consiglio europeo Sophie Wilmès, Primo Ministro belga, Emmanuel Macron, Presidente della Repubblica francese, Kyriakos Mitsotakis, Primo Ministro greco, Leo Varadkar, Primo Ministro irlandese, Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, Xavier Bettel, Primo Ministro del Lussemburgo, António Costa, Primo Ministro del Portogallo, Janez Janša, Primo Ministro della Slovenia, e Pedro Sánchez, Primo Ministro della Spagna hanno inviato un documento al Presidente del Consiglio europeo Charles Michel [1] Sottolineo un passaggio che, partendo dagli strumenti di politica monetaria introdotti dalla BCE, conduce alla necessità di affiancarli con “decisioni di politica fiscale di analoga audacia”. Rafforzare le nostre economie oggi, al fine di metterle nelle migliori condizioni per una rapida ripartenza domani. Per fare ciò è necessaria “l’attivazione di tutti i comuni strumenti fiscali a sostegno degli sforzi nazionali e a garanzia della solidarietà finanziaria, specialmente nell’Eurozona. In particolare, dobbiamo lavorare – conclude il Comitato dei Nove - su uno strumento di debito comune emesso da una Istituzione dell’UE per raccogliere risorse sul mercato sulle stesse basi e a beneficio di tutti gli Stati Membri, garantendo in questo modo il finanziamento stabile e a lungo termine delle politiche utili a contrastare i danni causati da questa pandemia. Il Consiglio europeo ha fatto orecchie da mercante: non è importante quali Paesi si sono opposti a questa visione ma il presupposto che ha ostacolato conclusioni ben diverse che avrebbero dato uno slancio forte e deciso all’azione dell’Unione europea. Punterei l’attenzione dal punto 12 della dichiarazione del Consiglio europeo si legge: “Faremo tutto il necessario per affrontare questa sfida in uno spirito di solidarietà.” Già, la solidarietà. Si prende atto dello sforzo della BCE, della Commissione europea e dell’Eurogruppo ma a quest’ultimo si rimanda la palla: “Invitiamo l’Eurogruppo a presentarci proposte entro due settimane”. E qui veniamo alla sostanza delle azioni possibili. Secondo il Consiglio europeo le “proposte dovrebbero tenere conto della natura senza precedenti dello shock di COVID-19 che colpisce tutti i nostri paesi e la nostra risposta sarà intensificata, se necessario, con ulteriori azioni in modo inclusivo, alla luce degli sviluppi, al fine di fornire una risposta globale.” In che modo? Utilizzando gli strumenti dell’UE “per sostenere la loro azione nella misura necessaria”.
Il Consiglio europeo, quindi, è consapevole che nell’attuale fase le Istituzioni europee debbano concentrarsi sulla lotta contro la pandemia di Coronavirus e le sue conseguenze immediate ma – conclude – “dovremmo iniziare a preparare le misure necessarie per tornare al normale funzionamento delle nostre società ed economie e alla crescita sostenibile, integrando tra l’altro la transizione verde e la trasformazione digitale e trarre tutti gli insegnamenti dalla crisi. Ciò richiederà una strategia di uscita coordinata, un piano di risanamento completo e investimenti senza precedenti.” Destinatari del “compitino” il presidente della Commissione e il presidente del Consiglio europeo, in consultazione con altre istituzioni, in particolare la BCE. Questo scenario non concorda con la prospettiva del “Comitato dei Nove”. Cosa si può fare davanti a questo “rinvio” che fa apparire l’Unione europea ancora una volta divisa?
Il campo è quello di una “guerra” e in guerra non si bada a mezzi per uscirne vivi. La sintesi estrema dell’intervento di Mario Draghi è anche la soluzione che offre sono ora sul tavolo dei governanti. Nell’analisi pubblicata sul Financial Times [2], l’ex presidente della BCE ha affermato: “il costo dell’esitazione potrebbe essere irreversibile”. “I livelli di debito pubblico devono salire. Ma l’alternativa sarebbero danni ancora peggiori all’economia, rappresentati dalla distruzione permanente delle attività produttive e quindi della base di bilancio”, i governi ora non devono controllare la spesa, la guerra contro il coronavirus “deve coinvolgere un significativo aumento del debito pubblico”. “La perdita di reddito del settore privato - scrive Draghi - dovrà essere eventualmente assorbita, in tutto o in parte, dai bilanci dei governi. Livelli di debito pubblico più alti diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e sarà accompagnata da una cancellazione del debito privato”.
Nelle parole di Draghi non viene fuori mai la BCE: “La velocità del deterioramento dei bilanci privati, causata da uno shutdown che è inevitabile e opportuno” deve incontrare “un’uguale velocità nel dispiegare i bilanci dei governi, mobilitare le banche e, come europei, sostenerci uno con l’altro in quella che è evidentemente una causa comune”. Anche se davanti a uno shock straordinario – rileva – nell’Unione abbiamo “una struttura finanziaria capace di far confluire fondi in ogni parte dell’economia e un forte settore pubblico in grado di coordinare una risposta rapida. La velocità - ribadisce - è essenziale per l’efficacia”. Quindi banche del settore privato, governi nazionali del settore pubblico. Il Consiglio europeo da questo punto di vista sembra ancora lontano dal prendere decisioni con questa visione, davanti agli ostacoli frapposti a una condivisione delle responsabilità finanziarie degli Stati nazionali per una soluzione a livello europeo della drammatica crisi economica che si sta abbattendo “simmetricamente” a causa del Covid-19. Cosa è accaduto al Consiglio europeo? I capi dei governi europei hanno preso tempo rinviando a 15 giorni la decisione sulla base di una “ponderazione” delle soluzioni possibili all’Ecofin e in parte alla Commissione. Una testimonianza è quella dell’ex presidente della stessa Commissione europea Romano Prodi [3]: “Si tratta dell’ormai consueto scontro fra Nord e Sud, fra i cosiddetti Paesi virtuosi e noi meridionali, che siamo evidentemente i viziosi. Come sempre il fronte dei «virtuosi» trova la sua punta più oltranzista nell’Olanda. Un Paese contrario all’entrata dell’Italia nell’euro e contrario a ogni forma di solidarietà. Un Paese che fa del rigore il proprio scudo ma che, nello stesso tempo, è di tutti il più abile a praticare politiche fiscali di dubbia legittimità per trasferire in Olanda le sedi delle imprese degli altri Stati europei, a cominciare dalla Fca.” E la Germania? “La Germania si è affiancata all’Olanda, avendo solo la buona creanza di usare un linguaggio meno offensivo. Il rifiuto tedesco nei confronti di una politica di solidarietà europea almeno non viene imputato ai peccati di noi meridionali, ma al fatto che dimostrarsi solidali mette in discussione i principii fondamentali della Germania”: nelle parole della Cancelliera Merkel emerge “la necessità di ogni politico di tenere conto delle preferenze del proprio elettorato ma, di fronte alla tragedia a cui assistiamo, ci obbligano anche a riflettere su quali debbano essere «i principii fondamentali» che tengono insieme l’Unione Europea” conclude Prodi.
Verrebbe da dire che anziché mascherare questi principii dietro formule più o meno nascoste nei trattati come la clausola di solidarietà “ombreggiata” nell’art. 222 del TFUE con una formulazione alquanto rigida nella casistica ma non meno complessa nell’esecuzione, sarebbe stato opportuno un salto in avanti, “rivoluzionario” almeno davanti l’emergenza globale. Il deficit democratico attuale dell’UE vede nelle mani del Consiglio europeo il maggior potere decisionale e nelle istituzioni come Parlamento europeo e anche la stessa Commissione europea (che ha quanto meno la “fiducia” di un organo elettivo) la maggiore sensibilità a gestire la situazione; ma sono stati gli stessi stati nazionali a volere questa situazione quando si è concentrato anche nell’ultima revisione con la firma a Lisbona dei Trattati UE, il potere politico nel Consiglio dei capi di stato e di governo. Ha detto bene il presidente Mattarella nel suo discorso in Tv agli italiani del 27 marzo: “Nell’Unione Europea la Banca Centrale e la Commissione, nei giorni scorsi, hanno assunto importanti e positive decisioni finanziarie ed economiche, sostenute dal Parlamento Europeo. Non lo ha ancora fatto il Consiglio dei capi dei governi nazionali. Ci si attende che questo avvenga concretamente nei prossimi giorni. Sono indispensabili ulteriori iniziative comuni, superando vecchi schemi ormai fuori dalla realtà delle drammatiche condizioni in cui si trova il nostro Continente. Mi auguro che tutti comprendano appieno, prima che sia troppo tardi, la gravità della minaccia per l’Europa. La solidarietà non è soltanto richiesta dai valori dell’Unione ma è anche nel comune interesse".
La mancata solidarietà al Consiglio europeo ha “stimolato” ancor di più quella montante avversione non solo nei confronti dell’Unione europea (il discorso della Lagarde è ancora vivo nonostante l’impegno poderoso della BCE che movimenterà oltre 1000 miliardi di euro, tra reimpiego del Tltro vecchio e nuovo) ma anche del suo progetto in divenire, una frenata nei diritti, nella democrazia interna che potrebbe sfociare, c’è da convenire con la preoccupazione di Prodi, in “inevitabili tensioni sociali”. Non si può pensare di approcciarsi all’emergenza con strumenti ordinari. E’ assolutamente necessario una “manovra” politico-istituzionale straordinaria che da un lato prenda atto dell’impossibilità di intervenire nell’immediato sul “sistema” Unione (che vede nel coordinamento di 27 politiche economiche nazionali e nella leva dell’incremento del deficit nazionale armi spuntate ma uniche) e dall’altro lato utilizzi strumenti di garanzia europei e i contributi della Banca Europea degli Investimenti (BEI) per avviare piani di ripresa sostenuti da capitali privati; senza contare tutte le altre urgenze indilazionabili (come la politica migratoria) e le priorità strategiche (green deal e piano per il digitale, e per la difesa e la sicurezza). Punto di svolta in questo quadro, come proclamano i federalisti europei da tempo, la creazione di una capacità fiscale (e quindi di un potere) europei per poter mettere in campo sia imposte europee (come la border carbon tax o la web tax, o la tassa sulle transazioni finanziarie) sia, in generale, risorse autonome per dar vita a un bilancio europeo di natura federale (a una capacità fiscale europea, che distingue bene il concetto di imposte europee rispetto a quello di semplici risorse proprie). Siamo in presenza di un potere di natura statuale che dovrebbe essere riconosciuto alla Commissione sotto il controllo del Parlamento europeo (e del Consiglio a maggioranza) ma è, evidentemente, impossibile a trattati vigenti anche tenendo conto delle opportunità come l’art. 48 del TUE che informa addirittura lo spirito della revisione dei trattati. È urgente un “ammorbidimento” istituzionale e le cosiddette clausole passerella consentirebbero di discostarsi dalla procedura legislativa prevista inizialmente dai trattati a certe condizioni, di “passare” da una procedura legislativa speciale alla procedura legislativa ordinaria per l’adozione di un atto in un determinato settore e di “passare” da un voto all’unanimità a un voto a maggioranza qualificata per l’adozione di un atto in un determinato settore. L’attivazione di una clausola passerella dipende sempre da una decisione adottata all’unanimità dal Consiglio o dal Consiglio europeo. I cittadini europei, però, chiedono aiuto, per un bisogno di assistenza dettato oggi dall’emergenza sanitaria che è sfociata in un bisogno di assistenza economica, chiedono un intervento all’Unione europea. E i governi nazionali in Consiglio europeo devono rispondere alla Storia.
“Occorre assicurare – ha affermato Cottarelli [4] riprendendo proprio l’incipit di Draghi - che, una volta superata l’emergenza sanitaria (che richiede di per sé risorse adeguate), le imprese possano tornare a produrre e investire e le famiglie a consumare. Per questo serve una politica fiscale eccezionalmente espansiva.” Il Consiglio europeo ha dimostrato lentezza e sicuramente incapacità d’agire in modo uniforme. Un distacco tra i bisogni immediati dei cittadini e percezione delle esigenze e traduzione in azioni concrete da parte dei governi nazionali “un crescente e simmetrico distacco” (per usare la formula di Prodi) che si accompagna alla crisi “simmetrica ed esogena” che stiamo costatando ogni giorno che passa sempre di più.
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