Le relazioni tra l’Unione Europea e l’Egitto
Le relazioni tra Unione Europea ed Egitto sono state tendenzialmente caratterizzate da un approccio pragmatico, dettato dalla necessità di mediare tra gli aspetti economico, strategico e sociale. È necessario, come spesso accade nella regione presa in considerazione, differenziare l’approccio europeo tra il periodo precedente e quello successivo al cambio di regime del 2011. L’Egitto di Mubarak entrò senza particolari complicazioni nei progetti diplomatici europei caratterizzati dal partenariato euromediterraneo e dal Processo di Barcellona del 1995. Questo importante passo diede il via ad una progressiva integrazione tra Il Cairo e Bruxelles, che pose come primo obiettivo quello economico. I progressivi abbattimenti delle barriere commerciali hanno permesso il flusso di investimenti diretti esteri dall’Unione all’Egitto oltre l’accesso nel mercato comune di numerosi prodotti egiziani. Era forse la prima volta che la storica dipendenza del Cairo dall’economia americana trovava una possibile via d’uscita. Come previsto dalle strategie e dalle dinamiche di integrazione economica europea, Bruxelles pretese dall’Egitto numerose riforme volte a liberalizzare il mercato, sia all’interno del Paese che nel commercio con l’estero. In questo contesto si colloca l’Accordo di Associazione tra UE ed Egitto entrato in vigore nel 2004. Nel caso egiziano, però, le élites vicine al regime combinarono una liberalizzazione economica di facciata con un mantenimento dei privilegi acquisiti nel tempo. Un esempio di questa tendenza si può riscontrare nell’obbligo imposto alle compagnie europee che volessero investire in Egitto di affiancarsi a partners egiziani, scelti spesso tra personalità e aziende appartenenti alla cerchia del regime. Vi è da prendere in considerazione anche un fattore culturale: le élites vicine al regime di Mubarak erano spesso formate da famiglie “europeizzate”, che frequentavano scuole europee e che vedevano di buon occhio l’accrescimento dell’influenza europea nel Paese. In realtà, questo aspetto illuse anche quelle parti della società egiziana che speravano in un Egitto plurale e democratico. Idea che invece,, pur restando nominalmente presente , passò da subito in secondo piano nella strategia europea. Dopo le proteste del 2011 ed il cambio di regime in Egitto, il tradizionale pragmatismo che dominava le relazioni euro-egiziane fu messo a dura prova. Le divisioni interne all’Unione causarono una risposta molto tardiva agli avvenimenti del 2011, che videro Bruxelles appoggiare il nuovo ordine democratico solamente in seguito alla sua ufficiale ascesa al potere. La presidenza Morsi, eletta dalle votazioni più libere e plurali mai registrate nella storia del Paese, cercò e trovò nelle relazioni con l’UE uno strumento di legittimazione, fattore che causò un profondo imbarazzo e immobilismo tra le istituzioni comunitarie in seguito alla destituzione del Presidente Morsi da parte del generale Al-Sisi. Di conseguenza, al suo arrivo alla presidenza Al-Sisi non vedeva di buon occhio le politiche europee volte al finanziamento di organizzazioni della Società Civile egiziana con obiettivi democratici e pluralisti. Emblematiche furono le leggi che regolavano le ONG, con le quali Al-Sisi proibiva finanziamenti esteri alle organizzazioni non governative egiziane, misura chiaramente volta all’indebolimento dell’influenza europea nel Paese. Con la stabilizzazione di questo nuovo regime al Cairo, la diplomazia europea cercò di adattarsi con l’ormai assodato e caratteristico pragmatismo. Bruxelles cercò di stringere forti relazioni con l’Egitto in virtù dei dossiers più strategici per l’Unione: lotta al terrorismo, controllo della migrazione illegale ed interessi economici. Oltre a questo, l’Unione vedeva nell’Egitto un partner essenziale per agire in Libia e per mantenere una voce nella questione palestinese. Nel Consiglio di Associazione del 2017, Unione Europea ed Egitto decisero le Priorità del loro Partenariato per il periodo 2017-2020, basate su tre aspetti principali: modernizzazione economica e sostenibilità energetica; sviluppo e protezione sociale; rinforzo della stabilità e dello stato democratico. Come conseguenza di queste politiche, l’UE è attualmente uno dei più importanti partners commerciali dell’Egitto: nel 2019, il mercato europeo ha raccolto il 30% delle esportazioni egiziane (al secondo posto vi erano gli Stati Uniti con il 9%) ed il 22% delle importazioni (al secondo posto la Cina con il 9%). I fondi che l’UE stimava concedere all’Egitto per il periodo 2017-2020 andavano dai 432 ai 528 milioni di euro e sarebbero derivati principalmente dal nuovo strumento di politica di vicinato.
Nonostante questi eloquenti numeri in campo economico, negli ultimi anni l’UE ha dovuto far fronte a numerose criticità diplomatiche, prima fra tutte il già citato clima di sospetto e sfiducia che il Presidente Al-Sisi ha sempre nutrito verso l’Unione. Questa diffidenza è resa ancora più grave dall’atteggiamento di controllo capillare che il Presidente Al-Sisi esercita nei confronti di qualsiasi tipo di relazioni con l’estero, non lasciando alcun margine di manovra ad aziende o organizzazioni private. In secondo luogo, e come conseguenza del primo punto, si è riscontrato un avvicinamento da parte dell’Egitto ad altri partners internazionali, atteggiamento probabilmente dovuto alla necessità di Al-Sisi di diversificare la propria strategia diplomatica. Paesi come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ideologicamente vicini al Presidente, si sono trasformati in poco tempo nei principali sponsor economici del regime egiziano (si ricordi la vicenda delle due isole di Tiran e Sanafir nel Mar Rosso, cedute dall’Egitto all’Arabia Saudita in cambio di aiuti economici). Oltre alle monarchie del Golfo, il Presidente Al-Sisi ha tentato, con apparenti buoni risultati, uno storico riavvicinamento alla Russia, firmando con il Presidente Putin un Accordo di Partnership Strategica Inclusiva nell’ottobre del 2018. Infine, ad oggi anche la Cina sta stringendo accordi con l’Egitto in maniera rapida e significativa. Infatti, oltre ad essere un punto fondamentale della Nuova Via della Seta, l’Egitto è destinatario di numerosi investimenti cinesi, cresciuti del 60% nel 2019. Il terzo punto critico delle relazioni euro-egiziane è costituito dal tema dei diritti umani che, per quanto spaventosamente marginale , è spesso causa di tensioni tra Bruxelles e Il Cairo. Alla luce di casi come quello di Giulio Regeni, ricercatore italiano ucciso in Egitto in circostanze tuttora poco chiare, in numerose visite diplomatiche esponenti di governo di Unione Europea e Stati Membri non hanno dimenticato – e non dimenticano – di riportare l’attenzione sulla preoccupante situazione dei diritti fondamentali in Egitto . Ciò è dimostrato dall’ultima visita del Presidente francese Emmanuel Macron al Cairo, nel novembre del 2019, in particolare quando questi, durante la conferenza stampa conclusiva, sottolineò che “la stabilité et la paix durables en égypte vont de pair avec le respect des droits et des libertés de chacun” (la stabilità e la pace durevole in Egitto vanno di pari passo con il rispetto dei diritti e delle libertà di ogni individuo). Nonostante le ufficiali – e compiacenti – prese di posizione non sono da dimenticare i forti interessi economici che gli Stati Membri hanno in Egitto, considerati la principale causa dell’irrilevanza attribuita alle rivendicazioni di diritti. Si ricordi ad esempio che la stessa Francia rappresenta il primo partner commerciale dell’Egitto nel campo delle armi, con un giro d’affari che supera i 4 miliardi di euro. Oltre alle aziende francesi, tra i fornitori di materiale bellico all’Egitto figurano grandi gruppi di armatori come la tedesca ThyssenKrupp Marine Systems e l’italiana Fincantieri. Anche l’Italia infatti avrebbe molto da perdere da un’eventuale diminuzione di scambi economici con Il Cairo. Si consideri per esempio che l’ENI ha recentemente scoperto ed ottenuto le concessioni su nuovi giacimenti petroliferi in acque egiziane, confermandosi uno dei principali partners energetici del Paese. A conferma di ciò, il portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury ci ha ricordato che i governi europei non hanno esitato a ribadire la forte intesa tra i propri Stati e quello egiziano. Infatti, diversi capi di stato hanno firmato accordi in campo di approvvigionamento militare, oltre che compiuto e pubblicizzato cordiali visite di Stato presso i palazzi di Al-Sisi, come nei casi del Presidente francese Emmanuel Macron e della Cancelliera tedesca Angela Merkel, tutto ciò a pochi mesi dalla scomparsa del già citato ricercatore Giulio Regeni. Oltre a riscontrare una forte carenza di solidarietà tra i governi degli Stati Membri, è tuttavia doveroso prendere atto di un disinteresse dello stesso governo italiano che in parallelo agli appelli e alle dichiarazioni non ha esitato ad anteporre logiche economiche alle richieste di verità per il caso Regeni.
Risulta evidente come gli ostacoli per una politica europea coerente in tema di diritti umani siano molti e soprattutto in mano agli esecutivi degli Stati Membri, principali interessati ai ritorni economici. È tuttavia importante dare voce alle prese di posizione ed alle iniziative, governative e non, che si stanno organizzando rispetto al caso Zaki per fare pressione sulle autorità egiziane. I grandi interessi economici appena descritti possono essere infatti un ostacolo oppure un mezzo per pretendere risposte dal Cairo. Qui di seguito passiamo quindi ad analizzare le reazioni delle istituzioni europee sulla vicenda di Patrik Z e le principali denunce arrivate sul versante non governativo, in particolare da Amnesty International.
Parlamento, Commissione e Consiglio europeo: le reazioni istituzionali al caso Zaki
Come hanno reagito le istituzioni europee al caso Zaki? Innanzitutto, si nota una linea di demarcazione tra l’approccio del Parlamento da un lato e quello della Commissione e del Consiglio dall’altro. Il portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury ha commentato a riguardo: «in base alla mia esperienza e a episodi passati, è il Parlamento il luogo delle importanti e nobili iniziative in materia di diritti umani, non la Commissione.» A conferma di ciò, le uniche e immediate reazioni reali sono giunte dal presidente dell’Europarlamento Sassoli e da alcuni parlamentari europei, mentre ancora oggi la Commissione europea e il Consiglio europeo non hanno avanzato alcuna posizione precisa al riguardo. Prima di passare in rassegna tali azioni è importante notare che le tesi sull’efficacia delle pressioni da parte della comunità internazionale sul regime egiziano non sono univoche. Mentre vi è una tendenza maggioritaria tra gli analisti a giudicare scarsa la capacità di influenza dell’Europa sull’Egitto in tema di diritti umani, altri studiosi come Kelly Petillo sostengono la tesi contraria. La ricercatrice infatti, in un’analisi dello European Council of Foreign Relations, sostiene che il potere dell’Unione Europea sull’Egitto in casi come quello di Zaki non sia da sottovalutare: il carapace del regime di Al-Sisi non è impermeabile alle critiche, e in casi passati di questo genere le autorità egiziane si sono dimostrate vulnerabili al controllo pubblico internazionale riguardante le violazioni dei diritti umani. A discapito di ciò, non vi è stato uno sforzo europeo unito e robusto che avrebbe invece il potenziale di esercitare pressioni reali su Al-Sisi e creare uno spazio per prevenire gli abusi diffusi e la repressione della società civile. La pressione sostenuta si è più volte dimostrata efficace in passato nell’aiutare a liberare gli attivisti, e Petillo avanza l’idea che l’Egitto potrebbe cedere di fronte a un’azione europea compatta per la liberazione di Patrick. Come sottolineato all’inizio di questo articolo, gli Stati Membri dell’UE percepiscono il Cairo come un alleato indispensabile e Il governo egiziano ne è conscio, ma Petillo evidenzia come anche l’Egitto abbia bisogno dei partner europei e abbia a cuore la propria reputazione, cosa che lo rende sensibile alle critiche: proprio per questo motivo l’Unione Europea ha un reale spazio di manovra per chiedere la liberazione di Patrick, e dovrebbe approfittarne.
È comunque importante notare che la sensibilità del regime egiziano alle critiche internazionali sulla mancanza di rispetto dei diritti umani è dimostrata dalla reazione delle autorità egiziane alla prima presa di posizione europea sul caso Zaki. L’immediata reazione del Parlamento europeo alla notizia dell’arresto di Patrick fu la richiesta avanzata dal Presidente David Sassoli di una immediata scarcerazione del ragazzo, unita alla sollecitazione di una risposta da parte dell’Alto Rappresentante Josep Borrell. La forte posizione espressa da Sassoli, riassumibile nel passaggio dell’appello pronunciato a Strasburgo in cui ricordava alle autorità egiziane che l’UE condiziona i suoi rapporti con i Paesi terzi al rispetto dei diritti umani e civili, suscitò nervosismo nelle autorità egiziane: rispondendo a Sassoli, infatti, il Presidente della Camera dei deputati egiziana Ali Abdel Aal respinse categoricamente le accuse e classificò quella del Parlamento europeo un’ingerenza inaccettabile negli affari interni e un attacco contro il potere giudiziario egiziano.
Sulla linea del Presidente Sassoli, due interrogazioni parlamentari circa la detenzione di Patrick Zaki sono state presentate in aula a Strasburgo da parte di alcuni membri dell’Europarlamento. La prima, datata 10 febbraio 2020, sollecitava una risposta da parte dell’Alto Rappresentante sul caso Zaki e richiedeva che questi esponesse con urgenza il problema alla controparte egiziana. La seconda interrogazione, presentata due giorni più tardi, reiterava le richieste della prima ma aggiungeva il suggerimento all’Alto Rappresentante di riesaminare in modo approfondito le relazioni con l’Egitto e di immaginare la sospensione dell’accordo di libero scambio fino a quando Patrick e tutti gli attivisti detenuti ingiustamente non venissero rilasciati. A questo proposito abbiamo parlato con il team di Brando Benifei, uno degli europarlamentari (PD, gruppo S&D) firmatari della prima interrogazione, dell’azione da lui portata avanti per la scarcerazione di Patrick. Oltre all’iniziativa in aula, Benifei ha organizzato insieme a varie associazioni come FIDH, EIDHR e Amnesty International un flashmob a Strasburgo pochi giorni dopo l’arresto, a cui hanno partecipato deputati italiani di vari gruppi. Inoltre, Benifei ha preso parte insieme a diversi colleghi al sit-in presso il consolato egiziano a Milano e ha scritto una lettera all’Ambasciatore egiziano a Bruxelles a nome della delegazione italiana presso il gruppo S&D per richiedere la scarcerazione di Patrick. In ogni caso, a livello generale si riscontra la mancanza di una risoluzione frontale e compatta del Parlamento europeo, che ha dato spazio a numerose iniziative slegate però l’una dall’altra e fondate sull’attivismo di singoli europarlamentari. Ciò è dimostrato dalle notizie apprese dal dialogo con il team di Benifei ma anche dallo scambio di email con i collaboratori di Raphaël Glucksmann (S&D), i quali ci hanno riferito l’intenzione di quest’ultimo di scrivere una lettera indirizzata al Presidente egiziano e all’Ambasciatore presso l’UE. Tuttavia, il progetto è stato interrotto in seguito alla comunicazione di un’iniziativa parallela lanciata da Hannah Neumann (Gruppo dei Verdi) rivolta all’Alto Rappresentante. Si evince pertanto la mancanza di un coordinamento, strumento che invece consideriamo necessario per l’efficacia di un’azione svolta da un’istituzione così complessa.
Se la risposta dell’Europarlamento, sebbene lungi dall’essere forte e compatta, sia comunque stata in qualche modo presente, purtroppo lo stesso non si può dire né della Commissione europea né del Consiglio europeo: nessuna presa di posizione ufficiale è stata rilasciata da queste istituzioni sull’arresto di Patrick. L’unica dichiarazione, piuttosto evasiva, è provenuta da Peter Stano, portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), il quale ha dichiarato che la Commissione era consapevole del caso, che lo stava esaminando con la Delegazione dell’UE al Cairo e che avrebbe agito adeguatamente se necessario.
Intervista a Riccardo Noury (Amnesty Italia): reazioni e idee dalla società civile
Come ben sappiamo, le istituzioni non sono le uniche ad essersi mobilitate per la vicenda. Vi sono infatti numerosi esponenti della società civile – europea ed egiziana – che lavorano incessantemente per seguire il caso e ottenere delle garanzie in vista della liberazione di Patrick. La grande risonanza che l’incarcerazione e la detenzione dello studente ha avuto sulle società europee è dovuta in larga misura alle organizzazioni e agli enti di professionisti in campo di diritti umani che da anni lavorano seguendo e denunciando le violazioni che avvengono in Egitto. Anche in questo caso infatti essi non si sono tirati indietro, portando sin da subito l’attenzione internazionale sulla vicenda. Ne abbiamo discusso in una lunga chiacchierata con il Portavoce di Amnesty International Italia, la cui strategia, così come quella della gran parte dei soggetti civili che operano in questo campo, è quella di mantenere alta l’attenzione e informare, ampliando sempre più la rete che lavora per ottenere la scarcerazione di Patrick. Specialmente in questo momento la collaborazione tra tutti gli attori coinvolti – istituzionali o civili che siano – e l’immediatezza sono due criteri imprescindibili, poiché a causa dell’emergenza Covid-19 la salute del giovane egiziano e di tutti i detenuti è ulteriormente a rischio e bisogna affrettarsi affinché gli vengano concesse le dovute cure e tutele sanitarie. Oltretutto Patrick soffre di asma ed è quindi un soggetto decisamente a rischio di contrarre il virus, e potrebbe subire dalla malattia conseguenze più gravi della norma. Non c’è più tempo infatti, afferma Noury, di temporeggiare: non si può più essere fiduciosi nel fatto che le udienze si concludano nel migliore dei modi perché il virus ha purtroppo favorito le autorità egiziane nel procrastinare la sentenza e nell’escludere i rappresentanti diplomatici europei dai processi. È comunque il caso di spingere molto in questo momento sul principio che la detenzione preventiva in attesa di giudizio debba essere un’eccezione ben disciplinata e giustificata, da applicare in soli casi specifici. Quello di Patrick non rientra tra questi. Quest’idea resta infatti universalmente valida e, ora che è necessario un decongestionamento delle carceri per motivi di sicurezza sanitaria, dev’essere a maggior ragione tenuta in considerazione. L’interlocutore principale di Amnesty resta comunque lo Stato egiziano, al quale l’organizzazione si rivolge sia attraverso la rappresentanza diplomatica del Cairo a Roma che tramite le istituzioni centrali in Egitto. Noury aggiunge però che, affinché questo dialogo si risolva nel migliore dei modi, Amnesty pretende che ci sia un appoggio istituzionale e diplomatico da parte della Farnesina, degli Stati Membri e delle Istituzioni dell’UE. Fino a oggi infatti diverse rappresentanze diplomatiche europee si sono dedicate al caso seguendo le udienze, ma il timore, ben motivato dalle esperienze pregresse del portavoce, è che tale situazione possa proseguire per anni, e in questo malaugurato caso il rischio è che le autorità europee distolgano l’attenzione. Noury non si esime dall’esplicitare le arbitrarie modalità decisionali del sistema giudiziario e le insoddisfacenti e preoccupanti condizioni di permanenza nei centri di detenzione del Paese. Bisogna quindi agire tenendo a mente la necessità di far uscire il ragazzo il prima possibile, e il modo migliore per farlo sembra essere, secondo lui, quello del dialogo bilaterale. Nonostante il già citato apprezzamento dell’appoggio da parte di diversi funzionari e rappresentanti delle istituzioni comunitarie – in particolare quello del Presidente del Parlamento Europeo – e degli Stati Membri, Noury ha espresso numerose perplessità riguardo le future mosse politiche che perverranno dall’Europa . Il portavoce di Amnesty ci spiega di nutrire in realtà ben poche speranze in una più solida e compatta pressione diplomatica dell’UE a causa delle numerose pregresse esperienze negative, prima fra tutte quella di quattro anni fa legata al rapimento e all’uccisione di Giulio Regeni, tutt’oggi irrisolta.
Come già trattato, il grosso ostacolo è costituito dal fatto che, al di là degli interventi e delle prese di posizione, la maggior parte degli Stati europei, tra cui anche l’Italia, ha sempre avuto purtroppo ottime ragioni per privilegiare i buoni rapporti con l’Egitto generando un grosso problema di coerenza per l’UE. Su questa linea infatti Noury, presentandoci come esempio gli accordi tra UE e Turchia del marzo 2016, afferma che la sua impressione è che ci sia in Europa una forte unità quando si tratta di promuovere accordi economici – anche se lesivi dei diritti fondamentali degli individui – mentre questo atteggiamento sembra mancare quando si tratta di intervenire per casi specifici a difesa dei diritti umani. Conclude dunque dicendo che evidentemente questo dipende dal fatto che la sorte di un cittadino interessa in misura minore rispetto ai ritorni economici. Nonostante tali previsioni e la comprensibile visione complessiva, Noury si conferma molto fiducioso nelle capacità delle società civili, che hanno più volte dimostrato di poter svolgere un ruolo fondamentale in casi come questo, e si augura che l’altissimo potenziale di negoziazione dell’Unione Europea possa emergere a seguito delle grosse iniziative e degli stimoli che ogni giorno provengono dai cittadini e dalle organizzazioni europee ed egiziane. È doveroso citare il consistente e incessante lavoro della società civile egiziana, definita formidabile da Noury e piena di cittadini che, come Patrick, non si lasciano intimidire da minacce e ritorsioni continuando a rivendicare i propri diritti e quelli dei propri connazionali. Rimanendo su questa linea non si possono tralasciare le consistenti e incessanti misure e richieste avanzate da altri soggetti non istituzionali quali il Cairo Institute for Human Rights, Human Rights Watch, International Federation For Human Rights, EuroMed Rights e Egyptian Initiative for Personal Rights – l’associazione con la quale Patrick collaborava – che sin da subito hanno «fatto un gran rumore, molto probabilmente salvando Patrick da una sorte ben peggiore». Tutti loro si stanno adoperando per mettere in luce la consapevolezza, la competenza e la preparazione di Patrick come studente e come attivista, la bellezza della sua storia e delle sue idee. Questo è infatti, secondo il portavoce di Amnesty, il miglior modo per restituirgli la dignità che gli si sta cercando di sottrarre.
Dal nostro canto, a conclusione di questo percorso di approfondimento della vicenda, che abbiamo cercato di condurre su più livelli, ci uniamo alle posizioni di Amnesty, sostenendo la necessità assoluta di mantenere alta l’attenzione sul caso senza concedere alcun passo indietro fin quando Patrick non potrà tornare a godere appieno dei propri diritti. Ci sentiamo inoltre in obbligo di ribadire le ingenti responsabilità etiche e politiche che gravano sull’Unione Europea, doverosa di agire a difesa di un individuo che vive, studia ed è parte integrante del corpo studenti di sette università di ben sei Stati Membri dell’Unione, di cui l e società civili – e non solo – reclamano a gran voce il rientro. Sarebbe di cruciale importanza in questo caso un intervento comunitario per andare oltre agli interessi economici degli stati nazionali che, per quanto logisticamente più difficile da pianificare, consideriamo ulteriormente giustificato e potenzialmente molto efficace. Sarebbe il momento, per il bene di Patrick, per quello di migliaia di individui e per il futuro stesso delle istituzioni europee, che l’Unione cominci a dimostrare di essere coerente con l’immagine che vuole dare di sé.
Segui i commenti: |