Perché è importante per le città europee ritagliarsi uno spazio all’interno del frame di Next Generation EU e non solo

Le città in Europa, ritagliarsi uno spazio in NGEU

, di Davide Emanuele Iannace

Le città in Europa, ritagliarsi uno spazio in NGEU
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Nonostante il COVID, nonostante le restrizioni imposte dai lockdown in tutta l’area comunitaria, lo spazio urbano non ha subito un vero stop al suo sviluppo, né alla sua centralità. Le stime delle Nazioni Unite segnalano che le città andranno a inglobare quasi il 70% della popolazione mondiale nel 2050 . Le città continuano a rimanere centrali all’interno delle politiche di sviluppo tanto nel cosiddetto mondo sviluppato che nei paesi in via di sviluppo e di industrializzazione. Le città, insomma, rimangono un perno centrale del moderno sistema economico, come dimostrano gli ampi investimenti condotti da paesi come la Cina, l’India o il Ruanda nello sviluppare il proprio ambito urbano, tramite strategie di governance e di sviluppo innovative.

Le città europee non sono da meno, ma vivono in un contesto socioculturale e politico profondamente diverso. Lì dove le autorità centrali – come in Cina – sono il maestro e il direttore d’orchestra di ogni azione che si compie nello spazio locale, in Europa la spinta storica di indipendenza dei centri urbani si percepisce ancora oggi, con le città che contano su risorse proprie, sulla capacità di muoversi in maniera autonoma rispetto le autorità nazionali, all’interno di certi confini ovviamente, ma pur sempre con un grado di libertà non così scontato quando si esce dai confini del vecchio mondo. Città come Londra hanno dimostrato ampiamente di saper tenere il confronto con le autorità nazionali, come durante il caso Brexit, dove tanto i cittadini che le autorità locali hanno dimostrato con forza tutta la loro opposizione alla politica pro-Leave del governo del regno, fedeli anche agli interessi e ai vantaggi che una città globale, come la definirebbe Saskia Sassen, come Londra ha nell’essere parte di organismi aperti e multilaterali.

Questo vale tanto per Londra che per città dall’alto valore simbolico, economico, politico. Città come Barcellona, che anche senza essere capitale del regno spagnolo è riuscita a costruire una propria nicchia operativa all’interno del contesto mediterraneo, ponendosi come città innovativa, all’avanguardia nel settore delle sperimentazioni della smart cityin termini tanto di governance che di innovazioni tecnico-scientifiche. Città come Barcellona, a cui possiamo avvicinare Francoforte in Germania, ma anche Trieste in Italia, sono città che godono di un posizionamento internazionale dovuto alla presenza di enti sovranazionali – come nel caso di Francoforte – o di centri di ricerca di rilievo – come nel caso del Polo Tecnologico di Trieste, che aumentano la prospettiva globale della città stessa.

Il particolare posizionamento delle città europee, che hanno vissuto profondi periodi di depoliticizzazione della sfera dell’azione pubblico, creando un complesso tessuto di attori e stakeholder anche a livello locale in cui le autorità pubbliche devono muoversi, le ha spinte anche a diverse forme d’azione che possono essere tanto associative – come nella formazione di network formali – tanto di azione internazionale autonoma – come nel caso di Barcellona. Le due pratiche, ovviamente, non sono mutuamente escludenti. Dimostrano però come le città, in particolare nei paesi democratici – dove forse le città rappresentano anche una linea iniziale di contatto tra un’autorità politica varia e i cittadini -, si muovono spesso in maniera indipendente e soprattutto alla ricerca di un proprio spazio e di una propria capacità operativa anche in termini di risorse.

Non deve quindi sorprendere che anche all’interno del frame di Next Generation EU le stesse città stiano tentando di ritagliarsi un proprio spazio in termini di risorse da ottenere. Eurocities , il network di città europee, ha messo in luce come la capacità delle città a livello nazionale di operare attivamente come lobbisti verso le autorità centrali possa essere il primo passo per rientrare all’interno del frame operativo e dei piani di resilienza che i membri dell’UE hanno presentato in commissione. Se l’UE, d’altro canto, ha già dedicato fondi e risorse tramite i programmi URBACT e i suoi network, interagendo direttamente con i centri urbani, nel caso del Next Generation EU il rapporto tra le istituzioni europee e le città passa invece per gli stati nazionali, che hanno bisogno di risorse per contrastare le conseguenze del COVID da un lato, ma anche di portare a casa una vittoria politica.

Le città, d’altro canto, contano sui fondi del piano di resilienza europeo come risorse aggiuntive per finanziare il proprio recupero dopo il blocco provocato dal COVID. Stanno per questo cercando di ritagliarsi uno spazio all’interno dei piani nazionali. In Germania, le principali città tedesche hanno scritto documenti congiunti alla cancelleria per ottenere direttamente una quota delle risorse previste. Le città francesi hanno operato direttamente tramite azioni di lobbying verso l’autorità nazionale mentre le città spagnole si sono mosse su due piani, ovvero direttamente contattando anche le autorità europee perché i principi di partenariato siano attivati in maniera reale.

Lavorano quindi duramente affinché il loro ruolo nel processo di ricostruzione e di ripresa dopo il COVID sia messo bene in luce tanto via gli attori nazionali che attraverso la diretta interazione con gli attori transnazionali. Con questi ultimi, la via sembra meno in salita, avendo avuto modo di guadagnare spazio già nei programmi Habitat – delle Nazioni Unite – che in quello Urbact – dell’Unione Europea e già citato. Anche la stessa Unione Africana ha messo in luce il ruolo delle città all’interno dei programmi per l’innovazione del continente tramite, ad esempio, il suo “Smart City Manifesto”.

Perché le città contano per l’Europa? Non solo perché sono la prima linea di confronto tra istituzioni e cittadini, ma anche perché tutti i grandi problemi della società contemporanea si manifestano all’interno dello spazio urbano. Come Sennett ha messo bene in luce nei suoi lavori sulle città innovative, gli spazi urbani sono crogiolo di culture, di informazioni, sono l’hub economico per eccellenza e lo spazio dell’innovazione.

L’Unione ha spesso avuto il problema di non riuscire a comunicare, né a farsi presente, nella vita dei cittadini a cui pure dovrebbe rispondere. Una organizzazione che ha spesso subito la depoliticizzazione discorsiva, un capro espiatorio per le azioni meno volute dagli attori nazionali, ritrova nello spazio locale forse il partner necessario a essere più presente e a comunicare meglio ciò che fa, soprattutto, a direttamente realizzare un outcome positivo nella vita dei cittadini.

La presenza delle città in Next Generation EU in maniera più massiccia potrebbe significare non solo un migliore utilizzo dei fondi in spazi che hanno subito, pesantemente, le conseguenze della pandemia e dei successivi lockdown. Allo stesso tempo, vorrebbe significare un approccio più trasparente al loro utilizzo e più sistematico verso le esigenze espresse dai cittadini.

Bibliografia

Sassen, S. (2004). The Global City. In D. Nugent, & J. Vincent (A cura di), A companion to the Anthropology of Politics. Oxford: Blackwell Publishing.

Sennett, R. (2018). Building and dwelling - ethics for the city. Londra: Penguin Books.

Taylor, P. (2012). The challenge facing word city network analysis. Tratto il giorno Giugno 28, 2021 da GaWC Research Bullettin 409: https://www.lboro.ac.uk/gawc/rb/rb409.html.

Teale, C. (2018). State vs. city government: A relationship at an ’all-time low’? . Smart cities dive.

U.N. Habitat. (2019). Smart city Rwanda Masterplan. Tratto il giorno Giugno 26, 2021 da Sito Web U.N. Habitat: https://unhabitat.org/sites/default/files/documents/2019-05/rwanda_smart_city-master_plan.pdf

van der Pluijm, R., & Melissen, J. (2017). City Diplomacy: the expanding role of cities in international politics. The Hague: Netherland Institute of International Relations Clingendael.

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