La verità: un concetto fumoso, indefinito e indefinibile.
La verità è al centro della narrazione dell’ultimo film apparso nelle sale cinematografiche di Ridley Scott. Ambientato nella Francia medievale, “The last duel” narra la storia di Jean de Carrouges e di Jacques Le Gris, due scudieri del Re che da amici fraterni divengono nemici giurati. Le tensioni tra loro sono, infine, acuite dallo stupro che Le Gris compie ai danni della moglie di Carrouges, Lady Marguerite. La donna viene aggredita e, denunciato il fatto, il suo fato resta avvinto al giudizio di Dio, ad un duello all’ultimo sangue che vedrà contrapporsi il suo sposo e il violentatore. Se il marito della giovane vincerà la sfida, lei sarà salva. Se perirà nello scontro, lei sarà considerata colpevole e finirà per essere bruciata viva.
Un triste destino, dunque, quello che caratterizza l’avvenire di Marguerite che, oltre ad aver sofferto a causa della violenza sessuale, si ritrova a non essere creduta e ad essere criticata ed osteggiata dai suoi amici e conoscenti.
La vicenda in questione è descritta tramite tre punti di vista differenti. Dapprima, si rappresentano i fatti con gli occhi di Carrouges. In secondo luogo, con la voce di Le Gris. Da ultimo, è presentata allo spettatore la versione più attendibile, l’unica che conta davvero: quella della donna stuprata. Non a caso, l’ultima parte è appellata come “la verità”.
L’opera mette chiaramente in luce come tutti i personaggi abbiano una loro personale visione dei fatti intercorsi tra loro. Ognuno di essi, infatti, interpreta a proprio modo il valore di uno sguardo e di un bacio, di una carezza, di uno strattone e delle grida di dolore.
Ciò che, però, rileva maggiormente ai nostri fini, oltre alla magistrale messa in scena sotto l’abile mano di Scott, è la figura femminile, che emerge con forza in questa narrazione.
L’interpretazione di Jodie Comer, la donna stuprata al centro del film, porta gli spettatori a riflettere sugli stereotipi che agitavano la società medievale quando si trattava di violenza contro il sesso femminile e su come essi resistano, in parte, ancora oggi.
Non è un caso che diversi siano gli spunti che la pellicola offre in tal senso.
Basti pensare al fatto che Le Gris, in compagnia di Marguerite, sia convinto che la giovane sia interessata a lui, solamente perché lei gli sorride e gli si rivolge con cordialità, discorrendo con lui anche di opere cavalleresche celebri nel Trecento. Una volta che osserviamo le medesime scene adottando il punto di vista della sposa di Carrouges, ci si può rendere conto facilmente che la reale intenzione della donna sia solo quella di favorire una riconciliazione tra il marito e il vecchio amico.
Le considerazioni, poi, inerenti al bell’aspetto di Le Gris espresse dalla signora di Carrouges rientrano nell’alveo di innocui pettegolezzi, sussurrati a bassa voce con le amiche. Le intenzioni della giovane, infatti, non accennano mai al tradimento dello sposo, per quanto quest’ultimo sia rude e poco amorevole nei suoi confronti. La fedeltà e la determinazione di Marguerite sono esemplari per l’epoca e, mentre lei ridacchia con le sue conoscenti su altri uomini, non è nemmeno sfiorata dall’idea che le sue parole, di lì a poco, potrebbero essere usate contro di lei, distorte e modificate nel loro significato.
Quando, poi, si compie lo stupro, lei commette “l’errore” di aprire la porta della sua dimora al proprio aggressore, ingenua e ignara delle sue reali intenzioni. Le Gris, dunque, una volta violentata una spaventata Marguerite, che ha tentato di fuggire, la rassicura, interpretando la sua ritrosia come una recita e una finzione, volta a farle mantenere formalmente i contorni di signora. La conclusione dello stupratore è che, in realtà, la donna volesse consumare quel rapporto.
Tale circostanza non può dirsi integrata, considerati i plurimi tentativi di scappare, oltre alle urla e alle grida di disperazione di Marguerite.
Uno dei momenti più drammatici, poi, è certamente quello della confessione al marito dell’accaduto. Dopo, infatti, aver vissuto un’esperienza dura e provante, Marguerite è accusata dallo sposo in un primo momento di aver provocato, con i suoi comportamenti ed atteggiamenti, lo stupro. Carrouges, poi, esprime il proprio rammarico, ma solo per il suo onore ferito. Egli lamenta, non a caso, non tanto il dolore che deve aver provato la sua giovane sposa, ma il danno che deriva al suo patrimonio e al suo prestigio. Arriva, infatti, a paragonare l’offesa recata da Le Gris a sua moglie alla sottrazione, operata dal suo vecchio amico, di alcune terre e del ruolo di capitano di Bellême, che pure gli spetterebbero.
Il disonore, poi, cala con tutta la sua forza sulla figura di Marguerite, che viene da più parti criticata per aver alzato la testa e aver denunciato il fatto. La spiegazione che viene fornita per questi rimbrotti è che è usanza comune che gli uomini esercitino il loro potere e la loro forza sulle donne, usandole a proprio piacimento. Ciò che il sesso femminile deve fare, quindi, è sopportare in silenzio e “andare avanti”, sopravvivendo. Questa è la sorte che la suocera di Marguerite le consiglia di accettare, piuttosto che imbarcarsi in una lunga e rovinosa causa contro Le Gris.
La donna, però, agisce con coraggio e decide di non restare in silenzio e di non farsi intimorire.
Quando, poi, diviene madre del suo primogenito, a pochi giorni dal fatale duello che deciderà la sorte di suo marito e sua, Marguerite è assalita dai dubbi. Arriva ad affermare, infatti, che “ad un figlio serve l’amore di sua madre più di quanto a sua madre serva il giusto”. La paura di morire e di lasciare il neonato orfano la sconvolge e la consuma nel profondo, terrorizzata all’idea di abbandonare il piccolo ad un mondo fin troppo crudele.
La conclusione della vicenda è positiva e vede la vittoria di Carrouges, poi osannato dalla folla, che lo accoglie come un eroe, quasi dimenticandosi della moglie, che resta un semplice orpello al suo fianco.
Ciò che stupisce di questo film è la sua straordinaria attualità. Nonostante, infatti, sia ambientato in un’epoca lontana, profondamente diversa da quella in cui viviamo oggi, molte sono le somiglianze con storie di cronaca che ben conosciamo.
Spesso e volentieri, a seguito di una violenza sessuale ai danni di donne, le considerazioni che si ritrovano sui giornali assomigliano a quelle definite dalla pellicola di Scott. Quante volte, infatti, si è sentito dire che uno stupro sia originato dalla provocazione ad opera del gentil sesso? Quante volte si criticano le giovani che indossano abiti troppo corti o scollati o che si trovano a vagare per le città di notte da sole? Quante volte si usano espressioni come “se l’è cercata” o “doveva stare più attenta” o “lo voleva anche lei”?
E quante volte ancora dovremo udire queste parole? Quante volte ancora il Medioevo dovrà parlare alle nostre coscienze e alla nostra attualità?
Diverse cose sono cambiate dall’epoca di Jean, Jacques e Marguerite, ma molti stereotipi sono rimasti immutati. Le parole di una donna che è vittima di uno stupro valgono poco e niente e sono continuamente reinterpretate e riviste, analizzate fin nel minimo dettaglio per trovare l’errore o la contraddizione.
Perché siamo ancora a questo punto? Forse perché in Italia i pregiudizi nei confronti del genere femminile sono duri a morire, intrecciati con forza nel tessuto sociale del nostro Paese. In molti sono ancora convinti che non sempre le donne siano le vittime di una violenza e faticano a credere alle descrizioni di uno stupro.
Ciò accade, forse, perché spesso è meglio non vedere. Forse perché è più comodo pensare che vi siano stati mutamenti sensibili nella mentalità dei nostri giorni, senza considerare che l’educazione ad una vera parità tra uomini e donne e al rispetto della figura femminile faticano a farsi strada nelle menti delle nuove generazioni.
Ciò è ben testimoniato dall’importanza che un documento come la Convenzione di Istanbul riveste oggi per l’ordinamento italiano e il sistema comunitario. In esso, infatti, si sancisce la necessità per tutti gli Stati membri dell’Unione di adottare specifiche ed apposite misure per contrastare la violenza di genere e per implementare delle politiche antidiscriminatorie, in modo da garantire una reale e concreta eguaglianza tra uomini e donne. Da qui deriva l’assoluto rilievo dell’iniziativa della Commissione, accolta dal Parlamento europeo, di proporre dei concreti strumenti per raggiungere gli obiettivi enunciati nel trattato di Istanbul, al fine di evitare che alcuni Paesi disattendano le promesse contenute nella carta internazionale.
Basti pensare, poi, che nel settembre 2021 i deputati del Parlamento europeo hanno invitato la Commissione a delineare una base giuridica per annoverare la violenza di genere tra i reati comunitari, con lo scopo di equipararla a crimini come il terrorismo, la tratta degli esseri umani, la criminalità informatica, lo sfruttamento sessuale e il riciclaggio di denaro. Una tale iniziativa consentirebbe di stabilire definizioni e standard giuridici comuni, nonché di fissare sanzioni penali minime in tutta l’Unione.
Questa proposta fa seguito a quella dello scorso febbraio, in cui il Parlamento ha chiesto una direttiva europea per prevenire e combattere la violenza di genere in ogni sua forma. In tale occasione, era stata sottolineata anche la necessità di un “protocollo europeo sulla violenza di genere in tempi di crisi” per difendere, in particolare, le vittime di violenza domestica. Non a caso, le istituzioni europee hanno affermato che i servizi di protezione per le vittime, come le linee di assistenza telefonica, gli alloggi sicuri e l’assistenza sanitaria, dovrebbero essere riconosciuti come “servizi essenziali” in ogni paese dell’UE.
Da queste considerazioni si comprende, dunque, perché la figura di Marguerite risulti ancora più importante per noi donne del XXI secolo. È una vera femminista, non perché partecipa a marce per i diritti del gentil sesso o inneggia alla fine della discriminazione di genere. È una femminista di tutto punto perché lotta per la sua dignità ed integrità, per ciò in cui crede e per ciò che ritiene giusto. Lo fa con forza e coraggio, non per vanteria o desiderio di celebrità.
Preferisce restare, in conclusione, in disparte. Anche se ha ottenuto giustizia, decide di dedicarsi alla famiglia e di essere dimenticata.
Ma il suo gesto non è rimasto celato, infine.
E colei che doveva essere dimenticata deve, invece, passare alla storia ed ispirare le donne di oggi. La sua vicenda deve insegnare a ciascuna di noi che piegare il capo di fronte alle avversità non ci salverà. E che l’onore – di donna e di essere umano senziente – viene prima di ogni cosa.
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