La questione umanitaria al centro dell’esitazione dei Paesi europei a riallacciare i rapporti con il regime di Bashar al-Assad

, di Alexis Cudey, Trad. di Stefania Ledda

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La questione umanitaria al centro dell'esitazione dei Paesi europei a riallacciare i rapporti con il regime di Bashar al-Assad
Fonte: Commissione Europea Il sistema europeo di protezione civile è stato creato in riferimento alla Turchia ma i dibattiti concernenti l’invio di materiale e di personale in Siria sono ancora in corso.

All’inizio di febbraio la Turchia e la Siria sono state colpite da un terremoto che ha provocato più di 50.000 morti, di cui circa 6.000 in Siria. Dopo il sisma, il regime siriano ha tentato di trasformare la catastrofe del 6 febbraio in un’opportunità politica, chiedendo l’abbandono delle sanzioni applicate al Paese e quindi di facilitare la gestione della crisi umanitaria. Da parte sua, l’Unione Europea ha alleggerito le sanzioni contro il regime di Bashar al-Assad al fine di accelerare la distribuzione degli aiuti umanitari. Ma le sanzioni rendono delicato l’invio di aiuti in un Paese il cui regime cerca di reintegrarsi nella comunità internazionale.

Un alleggerimento delle sanzioni reso necessario dall’emergenza umanitaria

In seguito al devastante sisma che il 6 febbraio ha colpito sia la Turchia che la Siria, l’Unione Europea ha allentato le sanzioni contro il regime di Damasco seguendo lo stesso approccio degli Stati Uniti. Si tratta di un punto sul quale le nazioni occidentali non avevano mai voluto transigere, nemmeno durante la pandemia da Covid-19, quando le sanzioni americane ostacolavano l’importazione di materiale medico. In un comunicato di giovedì 23 febbraio il Consiglio Europeo annunciava l’alleggerimento delle restrizioni applicate << in risposta alla violenta repressione esercitata contro la popolazione da parte del regime siriano >> durante l’insurrezione del 2011. Questa sollevazione popolare si è poi trasformata in una guerra civile sanguinosa, che ha causato la morte di più di 306.000 civili, secondo un rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani pubblicato nel giugno 2022. Nel maggio dello stesso anno il Consiglio Europeo ha prorogato di un anno le sanzioni contro il regime di Damasco. Quindi, le sanzioni dell’Unione Europea e degli Stati Uniti hanno paralizzato l’economia siriana ed escluso Bashar al-Assad dalla comunità internazionale. Dopo un decennio, la Siria si trova isolata e sembra poter contare esclusivamente su alleati irremovibili come l’Iran e la Russia. La guerra civile ha fatto cadere in povertà quasi il 90% della popolazione siriana e ha provocato milioni di partenze verso l’estero. Lo scorso ottobre l’UNICEF ha stimato che più di 13 milioni di persone si trovavano nell’estremo bisogno di ricevere assistenza umanitaria, di questi più di 8,5 milioni sono bambini. Durante una visita in un quartiere devastato di Aleppo, il Presidente siriano si era scagliato contro l’Occidente, accusato di << dare priorità alla politica piuttosto che alla situazione umanitaria >>. In breve, la comunità internazionale ha criticato la lentezza della reazione del regime siriano, che ha a sua volta condannato il peso schiacciante delle sanzioni occidentali. Alla fine, quasi come da tradizione, il regime siriano e la comunità internazionale si passano la palla della responsabilità della tragica sorte che il popolo siriano vive da dodici anni.

Un primo passo europeo verso la normalizzazione delle relazioni con Damasco?

In seno al coro europeo si sono fatte sentire diverse voci. << I ventisette si trovano sulla stessa linea degli Stati Uniti. D’altronde, sono state fatte alcune concessioni agli Stati membri più desiderosi di andare incontro a una normalizzazione dei rapporti con Damasco, come l’Italia, l’Austria e la Grecia >>, spiega una fonte occidentale incaricata del dossier siriano. Nonostante l’imposizione delle sanzioni, gli Stati europei restano i principali donatori di aiuti umanitari destinati alla crisi siriana. Dopo dodici anni gli aiuti forniti dall’Unione Europea hanno superato i 27,4 miliardi di euro. Oltre al contributo finanziario, ogni anno dal 2017 l’UE organizza a Bruxelles, insieme alle Nazioni Unite, una conferenza chiamata <>. Infine, più recentemente, e mediante il meccanismo europeo della protezione civile (MEPC), 10 Paesi europei (Germania, Austria, Bulgaria, Cipro, Finlandia, Grecia, Italia, Norvegia, Romania e Slovenia) hanno inviato rifornimenti d’emergenza in Siria per permetterle di affrontare le conseguenze dirette dei terremoti.

Interrompere l’isolamento diplomatico: la posta in gioco del regime di Bashar al-Assad

Nonostante il suo cinismo, il regime di Damasco vede in questo episodio una finestra d’opportunità unica per porre fine al suo isolamento diplomatico. La riabilitazione della Siria avverrà prima di tutto a livello regionale. Infatti, il regime del Presidente siriano si trova emarginato da alcuni Paesi arabi da quando la Siria è stata esclusa dalla Lega araba nel novembre 2011. Quindi, Damasco ha perso il suo posto in ragione della brutale repressione dei movimenti di contestazione del 2011, inizialmente pacifici.

Ma alcuni Paesi, consapevoli dell’importanza strategica della Siria per il mantenimento dell’equilibrio regionale, già nutrivano la speranza di una normalizzazione delle relazioni, come testimoniato dall’appello lanciato due anni fa dal re Abdallah di Giordania al Capo di Stato siriano.

Nello scenario regionale una normalizzazione della figura di Bashar al-Assad è in corso all’interno dell’arena araba e inaugurata, qualche ora dopo il dramma, dall’appello del Presidente egiziano per fare le sue condoglianze al Presidente siriano. Questo primo scambio tra i due uomini politici dal 2014, ossia l’anno dell’ascesa al potere di Abdel Fattah al-Sisi, è stato accompagnato da una stretta di mano con Sameh Choukri, il Ministro egiziano degli Affari Esteri, durante un inedito incontro a Damasco il 27 febbraio scorso. A ciò si aggiungono gli incontri successivi con i capi della diplomazia armena, giordana e poi emiratina: dei veri e propri terremoti diplomatici per la regione dopo un decennio di ignominia. Allo stesso modo, un incontro, molto in vista in Oman e avvenuto il 20 febbraio, è stato questa volta con un Capo di Stato, il sultano Haïtham bin Tariq Al Saïd, conosciuto per il suo ruolo di mediatore nella regione. Questo riavvicinamento si inscrive in un processo già avviato alcuni anni fa dal regime di Damasco, ma questa volta legittimato dal terremoto dello scorso febbraio.

Si assiste dunque all’ininterrotta erogazione degli aiuti umanitari da parte dei vicini arabi, ostili alla Siria fino a poco tempo fa. In tal senso, gli Emirati Arabi Uniti, ossia il primo Paese del Golfo ad aver ristabilito i rapporti con il regime per ricondurre la Siria nel girone arabo di fronte all’Iran, hanno già promesso aiuti umanitari per almeno 50 milioni di dollari e inviato aerei destinati agli aiuti. Anche il Libano, che ha affermato di voler mantenere una politica di distanziamento rispetto al conflitto siriano, ha inviato una delegazione a Damasco in occasione della prima visita ufficiale di alto livello dall’inizio della guerra civile. Allo stesso modo, anche l’Arabia Saudita, la quale aveva interrotto i rapporti con Damasco nel 2012, ha promesso aiuti umanitari. Infine, il Qatar, accusato di finanziare l’opposizione armata al regime siriano e che non ha ancora ripristinato le relazioni con esso, ha velocemente aderito alla promessa di partecipare agli aiuti. Quindi, questi contributi umanitari potrebbero aprire la strada a termine a un impegno diplomatico più lungo con i Paesi più vicini alla Siria, il che sarebbe percepito come un eclatante successo diplomatico dell’inamovibile raïs damasceno.

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