La Polonia, l’Unione e l’articolo 7 TUE

Una « bomba atomica » istituzionale o l’espressione dell’inefficacia del controllo del rispetto dello Stato di diritto all’interno degli Stati membri ?

, di Rémy Mével, Tradotto da Alice Stradi

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La Polonia, l'Unione e l'articolo 7 TUE
Andrzej Duda, attuale presidente della Repubblica polacca, il 31 maggio 2015 durante un incontro per la campagna elettorale. CC - Wikimedia Commons

Una riforma del sistema giuridico nazionale di ampio respiro, criticata con veemenza dalle istituzioni europee che la considerano contraria alla democrazia, è stata portata avanti dal Governo polacco negli ultimi mesi. Il nuovo Primo Ministro, Mateusz Morawiecki, successore di Beata Szydło, sostiene questo progetto. Il Presidente della Repubblica polacca, Andrzej Duda, ha, dal canto suo, approvato due leggi sulla scia di questa riforma lo scorso 20 dicembre; lo stesso giorno, Frans Timmermans, vice-Presidente della Commissione europea incaricato delle questioni legate allo Stato di diritto, ha annunciato l’attivazione del meccanismo preventivo dell’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea (TUE), condannando in questo modo un «rischio di grave violazione» dei valori dell’Unione.

Una riforma controversa – la riduzione delle garanzie dello Stato di diritto in favore di un Parlamento forte

Si tratta di una riforma trasversale, che indebolisce soprattutto la magistratura, considerata come una «casta» dall’esecutivo polacco. L’abbassamento delle garanzie costituzionali è concretamente accompagnato da un accrescimento del potere del Parlamento; spetterà a quest’ultimo, per esempio, scegliere i membri di una Commissione giudiziaria speciale che sostituirà la Corte suprema polacca ed eleggere direttamente i membri del Consiglio Nazionale della Magistratura.  [1]

La Commissione europea conclude che il sistema giudiziario è sottomesso al «controllo politico della maggioranza al potere» [2] - ovvero del partito attualmente al Governo, Diritto e Giustizia (PiS). Una tale violazione del principio della separazione del potere legislativo e giudiziario è considerata un attacco allo Stato di diritto, una violazione dell’articolo 2 TUE.

Un meccanismo preventivo soprattutto dichiarativo

Questa riforma ha quindi indotto Frans Timmermans, il 20 dicembre 2017, a invocare ufficialmente l’applicazione del meccanismo preventivo dell’articolo 7-1 TUE da parte della Commissione. La procedura che conduce a questo meccanismo passa inizialmente dalla proposta motivata «di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea», col voto del Consiglio dei Ministri dopo l’ottenimento dell’approvazione del Parlamento. Se il Consiglio decide che «esiste un rischio chiaro di violazione grave dei valori [dell’Unione] da parte di uno Stato membro», il meccanismo viene attivato.

La procedura è quindi attualmente solo agli inizi. Secondo Frans Timmermans, il Parlamento europeo dovrebbe pronunciarsi a favore dell’applicazione del meccanismo preventivo, viste le sue ultime prese di posizione in merito alla questione. I quattro quinti dei suffragi necessari per l’attivazione dell’articolo 7-1 TUE saranno tuttavia più difficili da ottenere al Consiglio. Alcuni, in effetti, sottolineano già la contraddizione tra le minacce di sanzioni contro la Polonia e, per esempio, i guanti con cui viene trattata l’Ungheria [3], e alcuni Stati membri potrebbero chiaramente preferire delle istituzioni timorate piuttosto che realmente garanti dello Stato di diritto.

Frans Timmermans ha tuttavia presentato una posizione meno perentoria durante la sua dichiarazione del 20 dicembre, prima di tutto rifiutando di chiamare questa procedura “arma nucleare”, poi affermando di aver chiesto alle istituzioni di «analizzare la situazione» e il rischio di violazione dello Stato di diritto, per tentare per l’ennesima volta di «iniziare un dialogo» con Varsavia. Timmermans ha dato tre mesi all’esecutivo polacco per rivedere le sue posizioni, mentre il Presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha invitato Mateusz Morawiecki a Bruxelles il 9 gennaio, al fine di provare di nuovo a dialogare con lui.

Il meccanismo sanzionatorio e l’unanimità impossibile

Per passare al secondo meccanismo, detto “sanzionatorio”, il Consiglio europeo deve decidere all’unanimità, con l’accordo del Parlamento europeo, dell’«esistenza di una violazione grave e persistente, da parte di uno Stato membro, dei valori [dell’Unione]». La sanzione che sospende il diritto di voto dello Stato in questione al Consiglio potrà essere attuata soltanto in seguito a questa decisione. Il minimo sostegno all’interno del Consiglio europeo per lo Stato membro sotto accusa rende quindi impossibile l’applicazione delle sanzioni. Il vice-Premier ungherese, Zsolt Semjén, ha messo fine alle speranze di consenso al voto dichiarando, il 20 dicembre, «inaccettabile che Bruxelles faccia pressione su Stati sovrani». [4]

La solidarietà tra Stati membri che cercano di modificare l’equilibrio dei poteri dello Stato di diritto o di sbarazzarsi dei valori dell’Unione sembrerebbe quindi porre fine alle possibilità di controllo offerte dall’Unione.

Una posizione temeraria

La situazione paradossale nella quale le istituzioni europee si sono infilate potrebbe essere portatrice di un rischio di sconfitta facile e cocente. Il costo in termini di reputazione dell’inerzia, così come il trionfo di PiS nel ruolo di campione della libertà della Polonia contro le istituzioni europee, percepite come opprimenti, costituirebbero due problemi considerevoli. Ci si può interrogare sull’efficacia del meccanismo preventivo, puramente dichiarativo, in un contesto così ostile a un voto unanime contro la riforma polacca. Il meccanismo sanzionatorio pare impraticabile, e la posizione della Commissione sembra temeraria.

Da questo punto di vista, la possibilità di condizionare l’accesso della Polonia ai fondi di coesione si fa strada, soprattutto partendo dal presupposto che questo paese ne è uno dei beneficiari principali. Non esiste, a oggi, che un modo di sospendere l’accesso di uno Stato membro ai fondi di coesione: la procedura di deficit pubblico eccessivo definita dall’articolo 126 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e il protocollo sulla procedura applicabile in caso di deficit eccessivo, per attivare la quale il Consiglio si deve pronunciare alla maggioranza qualificata. [5] Questa procedura, tuttavia, non è adatta alla situazione attuale, che verte sulla garanzia dello Stato di diritto e non sulla gestione del budget degli Stati membri.

Nathalie Loiseau, Ministra francese delle questioni europee, spiega che «un paese che si allontana dallo Stato di diritto deve prendere una decisione: o è un paese sovrano, o chiede a Bruxelles di essere sostenuto con i miliardi provenienti dal fondo di coesione». [6] Definire la sospensione dei fondi di coesione come nuova possibilità di sanzione dovrebbe aumentare il margine di azione delle istituzioni, a condizione che questo nuovo meccanismo non sia sottoposto al voto all’unanimità al Consiglio europeo. La negoziazione del prossimo quadro finanziario pluriennale 2020-2026, che sarà effettuata nella primavera del 2018, comprenderà sicuramente queste questioni, e la Francia e la Germania dovrebbero sostenere insieme una posizione simile a quella di Nathalie Loiseau. [7]

L’articolo 7 TUE, ennesima illustrazione di un modello istituzionale inesistente

In un’Unione nella quale uno Stato membro può ridurre le garanzie dello Stato di diritto correndo un rischio politico infimo, l’assenza di misure coercitive vere e proprie influisce negativamente e direttamente sui diritti dei suoi cittadini. Le modalità in cui il meccanismo di sanzione viene adottato dal Consiglio europeo rendono molto incerta la sorte di una dichiarazione che potrebbe facilmente concludersi in un nulla di fatto. La denominazione di “arma nucleare” attribuita all’articolo 7 TUE nasconde in realtà un meccanismo zoppo, difficile da mettere in pratica e molto incline a fomentare l’euroscetticismo negli Stati in cui l’Unione viene vista come un’organizzazione che confisca la sovranità nazionale. La sospensione dei diritti di voto al Consiglio, in effetti, è un’azione molto violenta sul piano simbolico, dato che toglie voce politica al Governo di uno Stato membro. La scelta di una sospensione dei fondi di coesione può sembrare più appropriata, a condizione che il meccanismo in questione possa essere votato più facilmente della sanzione dell’articolo 7-2 TUE.

Tra il sostegno dell’Ungheria di Viktor Orbán alla Polonia e i negoziati infruttuosi, a oggi l’unico risultato è una perfetta esemplificazione della diatriba tra ideologia intergovernativa e federalismo europeo. «Sono fermamente convinto del fatto che gli Stati sovrani – e l’Europa deve essere un’Europa di Stati sovrani – abbiano il diritto assoluto di riformare i propri sistemi giudiziari», spiega Mateusz Morawiecki. Il problema è che in nell’Europa delle nazioni, la posizione delle istituzioni europee sullo Stato di diritto non può che essere traballante, posta davanti alla sovranità degli Stati. Si tratta di una questione di modello istituzionale: se l’Unione ha davvero vocazione a essere garante dello Stato di diritto, bisogna andare nella direzione federale. Il controllo istituzionale potrà allora diventare efficace e liberarsi dalla condizione di incertezza e scarsa credibilità derivanti dal bisogno di raggiungere sistematicamente un accordo unanime dei Governi nazionali, sempre che gli Stati membri decidano di andare in questa direzione.

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