Leggenda vuole che, al termine di ogni anno, in una remota località della Lapponia, una figura in rosso a metà tra il sacro e il profano si prepari a distribuire ai bambini di tutto il mondo dolci e sorprese o carbone a seconda che, nei dodici mesi precedenti, questi abbiano avuto un comportamento buono o cattivo. È un peccato che si tratti solo di una storia per infanti, così come è un peccato che la famosa lista dei buoni e dei cattivi si limiti proprio a loro. Un reminder sulla condotta avuta nel corso dell’anno risulterebbe utile anche ad adulti, organizzazioni o addirittura Paesi.
Ora, andare a osservare cosa hanno combinato in questo 2021 i sette e passa miliardi di abitanti della Terra è un’impresa piuttosto ardua, ma analizzare sommariamente le azioni positive e negative di alcuni dei più importanti Stati si può fare. E lo facciamo in questo articolo.
La lista dei buoni
Di sicuro non ci sarà carbone per il Portogallo, non solo quest’anno, ma per tutti quelli a venire. Infatti, con la chiusura prima dell’impianto di Sines e poi di quello di Pego, i lusitani hanno abbandonato definitivamente i combustibili fossili per la produzione di energia elettrica, seguendo l’esempio di Belgio, Austria e Svezia. Il Portogallo ha dimostrato di prendere in maniera seria e pragmatica il processo di transizione ecologica decidendo di puntare sulle rinnovabili. Il gas, oggi acquistato dall’estero (particolarmente da Spagna, Francia e Germania), rimarrà a Lisbona una fonte residuale fino al momento in cui non ci sarà la possibilità di sbarazzarsi anche di esso senza compromettere l’energia elettrica del Paese. In quest’ottica, il Next Generation EU farà molto comodo.
Tra i Paesi “buoni” figura anche la Germania. Qui non si va tanto ad analizzare il lato pratico, come nel caso precedente, quanto quello dell’impegno, del coraggio e dell’ambizione. C’erano forti preoccupazioni sulla composizione e sul programma del primo Governo privo della guida di Angela Merkel dal 2005 a questa parte, eppure i tedeschi hanno sorpreso tutti, non solo arrivando all’intesa tra partiti con mesi di anticipo su quanto previsto, ma tracciando la strada per un futuro più equo, democratico e progressista.
Dall’aumento del salario minimo alla legalizzazione delle droghe leggere, dalla politica migratoria ammorbidita al contrasto alla crisi abitativa, fino allo sviluppo del trasporto su rotaia e delle auto elettriche, sono tanti i punti su cui la compagine formata da socialdemocratici, verdi e liberaldemocratici, sotto l’occhio vigile di Olaf Scholz, ha promesso di lavorare intensamente con il documento “Osare per il progresso”. La lettera di intenti non si limita a delineare la linea politica interna al Paese, ma chiarisce la posizione della nuova maggioranza anche a livello europeo, con un’ulteriore spinta verso l’adozione del meccanismo degli Spitzenkandidaten per le elezioni dell’Europarlamento e con la solida volontà di trasformare l’attuale Unione europea in uno Stato federale. Insomma, con tutto il necessario per meritare, in questi giorni, chili di Christstollen.
La lista dei cattivi
Tanto ci sono i buoni quanto ci sono quei Paesi che hanno deciso di occupare il tempo curandosi molto di loro - forse - ma sicuramente poco degli altri. Non può che spiccare, tra il gruppetto di Nazioni a cui portare del carbone, chiaramente vegetale, la Polonia di Morawiecki, della cui lista delle cattive azioni si potrebbe tranquillamente parlare fino a fine 2022. Risaltano, tra i tanti segni rossi della Polonia ‘21, le numerose violazioni dello Stato di diritto, portate in luce più volte dagli organismi europei e non solo, ma anche la sua abilità unica nel prendere le decisioni sbagliate. Tra queste, l’aver instaurato le famigerate zone LGBTQ+ free e l’aver fatto non poco rodere nella sua tomba silenziosa il grande Montesquieu, oltraggiando la divisione dei poteri fondamentali dello Stato - esecutivo, legislativo, giudiziario - con una controversa legge che porterebbe la Corte costituzionale del Paese dell’Europa orientale sotto la sfera governativa.
Insieme a un altro grande della politica europea, ovvero Viktor Mihály Orbán - a cui va la lista delle cattive azioni per l’Ungheria - la Polonia condivide la totale incapacità di gestire la crisi migratoria, tanto quella al confine sud-est dell’Europa quanto quella al confine con la Bielorussia, su cui torniamo però dopo. Ungheria e Polonia si sono distinte per il trattamento inumano, sia da parte delle forze governative che delle milizie. Insieme ad altri eroici difensori dei valori europei - mai capito se quelli cristiani o quelli della birreria sotto casa - la coalizione del bene continua sulla via lastricata di pessime intenzioni che va verso l’Inferno.
Non meno infernale è il trattamento che la polizia croata ha riservato ai migranti sulla rotta balcanica. C’è poco altro da dire a riguardo. Pure Zagabria è sulla lista dei cattivi.
Dato che siamo nel mood del guardare a Est, è impossibile non buttare un occhio anche a tre vicini dell’Unione Europea: la Bielorussia di Aljaksandr Lukašėnka, la Russia di Vladimir Vladimirovič Putin e la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan. Sì, ci piace usare i nomi completi delle persone qui su Eurobull.
La risonanza mediatica che ha avuto la Bielorussia quest’anno è stata eclatante, inizialmente per le proteste di piazza, poi per il guanto di velluto usato con i rivoltosi e con gli oppositori politici - in strada e non. Il Paese di Lukašėnka ha alzato il livello di infamia usando i migranti come arma, prima letteralmente incitando il loro arrivo da Paesi come l’Iraq e poi spingendoli, come strumento di pressione, verso il confine polacco - ben consci di quanto i propri vicini meridionali potessero essere particolarmente felici alla vista di visi diversi. Non meno eclatante è stato il caso di Kryscina Cimanoŭskaja, l’atleta bielorussa che, ai Giochi Olimpici di agosto, dopo essere stata iscritta a sua insaputa a una gara per cui non era preparata, si è ritrovata gentilmente scortata da funzionari bielorussi di nuovo verso casa dinanzi le sue critiche al suo allenatore e al comitato olimpico della nazione. Una storia finita con la richiesta di asilo alla Polonia, accolta.
Più a est abbiamo l’orso russo che, mai andato in letargo, continua con le sue politiche africane-mediorientali che vedono un ritorno ai tempi d’oro del mercenariato e dei grandi mercanti in cerca di risorse. Al contempo, sempre in ambito di politica estera, risuonano ancora allegramente i droni russi e turchi che si son lanciati gli uni contro gli altri come strumenti di Armenia e Azerbaijan durante il breve conflitto dell’anno scorso. Nessuna delle due Nazioni, né la Turchia né la Russia, ha fatto nulla per contenere il conflitto - alimentando piuttosto lo scontro tra i rispettivi satelliti. Oltre a questa piccola notazione, la Russia ha anche recentemente optato per aumentare le proprie truppe al confine con l’Ucraina, facendo supporre ai più la possibilità di un nuovo intervento armato nella vicina Kiev. Per altri - tra cui uno dei due scriventi - è un probabile show di muscoli per far sedere tanto Biden che l’Europa a un tavolo di nuove trattative. Qualunque sia, è una di quelle azioni da bulli che, condonata sul piano geopolitico, non lo è su quello di Babbo Natale.
Rimane infine la Turchia, su cui potremmo sprecare papiri e pergamene sulla quantità di idiozie compiute nel corso del 2021. Tra i tanti, spicca il caso Sofa Gate - esatto, Recep, qui non si dimentica niente - un elegantissimo gesto con cui il Presidente turco è riuscito a dimostrare quanto tenga in considerazione le donne, all’estero e non. Altra chicca è stato il processo contro Osman Kavala, oppositore del democraticamente eletto Presidente turco, finito sotto processo e più sospettato per le intenzioni che per le azioni. Insomma, anche nella cara vecchia Istanbul le cose non girano esattamente per il verso giusto. Le politiche neo-ottomane di Erdoğan rafforzano la struttura esterna del Paese, ma lasciano un guscio all’interno in cui sono radicate chiazze sempre maggiori di malcontento, migranti bloccati, economia in crisi e un futuro sempre meno roseo.
La lista degli altri
Vi sono poi gli Stati rientranti in una sorta di “zona grigia”, quelli che hanno passato questo 2021 come fossero sulle montagne russe, alternando successi a cocenti sconfitte e delusioni. Se si trattasse di una pagella di fine anno scolastico, questi sarebbero rinviati a settembre. Ma siamo in inverno e, come canta Michael Bublé, in questo periodo c’è un aut aut, naughty or nice. Dove posizionarli? Non sapendo che peso attribuire a determinati comportamenti, noi li lasceremo ne “gli altri” sperando di poterli rivalutare in modo del tutto positivo l’anno venturo.
È oltreoceano che si incontra il Paese più difficile da inserire su una lista o sull’altra. Gli Stati Uniti, sul finire del 2020, hanno dato il benservito a Donald Trump in favore del democratico Joe Biden. Tuttavia, già dai primi giorni di quest’anno, si è potuto osservare come la folle mania per l’imprenditore aleggi ancora insistentemente nel cuore di alcuni americani. Era il 6 gennaio quando un gruppo di esaltati, sostenitori di The Donald, prese d’assalto Capitol Hill con l’intento di sovvertire il risultato delle elezioni. Un attacco alla democrazia senza precedenti, che non può non rientrare negli highlights a livello globale dell’anno appena trascorso. Allo stesso modo, rientra negli highlights il ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan, che, pur ponendo fine alla guerra più lunga della storia americana, ha dato il via libera ai talebani di riprendere il controllo del Paese.
Certo, Biden ha fatto ciò che i suoi predecessori avevano solo promesso e che avrebbe dovuto essere un tassello positivo del suo mandato, ma la fretta e la poca pianificazione ha ribaltato l’esito della vicenda facendo storcere il naso ad americani e non. Sulle relazioni a livello geopolitico, se sono state rilanciate quelle con l’Unione europea, tenute congelate negli ultimi quattro anni, sono repentinamente peggiorate quelle con la Cina; il deficit commerciale verso il gigante orientale è tornato a crescere, e le tensioni nel Pacifico si sono accumulate al punto da ipotizzare un boicottaggio della squadra della Land of Free agli imminenti Giochi olimpici invernali che si svolgeranno a Pechino. Necessario poi segnalare che sulle migrazioni il volto degli States non è cambiato, anzi, paradossalmente la Presidenza Trump sembra essere stata meno severa di quanto lo sia stata finora quella Biden, e che sulle vaccinazioni si procede a rilento, anche a causa di uno scetticismo diffuso e mal contrastato. Può bastare il rientro del primo Paese al mondo negli accordi di Parigi sul clima, grande nota positiva del 2021 americano, a non far trovare loro carbone sotto l’abete?
Situazioni incerte si presentano anche in Europa. È il caso della Francia, Paese che può farsi vanto di essere tra i promotori della Conferenza sul futuro dell’Europa ma che, su altri piani, si è dimostrata svogliata e poco capace. Esemplare è quanto accade, soprattutto in questo periodo, a Calais, sul canale della Manica, dove migliaia di migranti, accampati nella speranza di poter presto ricongiungersi con i familiari nel Regno Unito o proprio in Francia, lamentano trattamenti disumani. L’operato delle forze dell’ordine, oltre alla malagestione del Governo e alla difficoltà di questo nel rapportarsi con il Regno Unito, li porta spesso allo sfinimento e, di conseguenza, ad affidarsi a traversate improvvisate in cui rischiano la vita. Ma è anche il caso dell’Italia, il Paese che quest’anno ha sbaragliato la concorrenza mondiale nel campo dello sport, della musica, addirittura della cucina, e che si ritrova come Presidente del Consiglio l’uomo, a detta del quotidiano americano Politico, più potente d’Europa, si è messo da solo troppe volte il bastone tra le ruote per entrare a far parte della lista dei buoni. Certo, gli è stata riconosciuta in lungo e in largo una lodevole gestione della pandemia e delle vaccinazioni, ha incredibilmente ridotto al suo interno le liti tra partiti, si è fatto promotore di accordi internazionali di rilievo, come il Trattato del Quirinale con la suddetta Francia, ma sui diritti? Ci sono state e ancora ci saranno opinioni contrastanti sul testo del famoso Ddl Zan, che prevedeva mezzi di contrasto alla discriminazione di sesso, genere e orientamento sessuale, ma una cosa è certa: si trattava di un’iniziativa di buonsenso e di stimolo al quieto vivere. La scena ripresa da ogni angolo del mondo che mostra un gran numero di parlamentari esultare in aula come ultras al gol della propria squadra del cuore una volta bocciata la proposta non può che fulminare almeno uno dei fari che hanno illuminato il 2021 del Bel Paese. E pensare che si è rischiato il bis quando, un po’ in sordina, all’interno di una commissione parlamentare c’è stato il tentativo di invalidare la raccolta firme di un referendum, quello sulla legalizzazione della cannabis. Di tali sbavature non si può non tener conto.
A proposito di Europa, che dire della a noi cara Unione? Anche in un anno di crisi come questo, Bruxelles è stata capace di brillare, con l’avvio della Conferenza sul futuro dell’Europa e con una voce forte e concreta nel contrasto alla crisi climatica. Dall’altro lato, ha mostrato indecisione e debolezze in più occasioni. Non si possono non evidenziare gli alti e bassi che ha avuto il piano vaccinale, cominciato con lo spauracchio di non incidere in tutti i ventisette Stati membri, la poco efficace strategia sanzionatoria nei confronti dei Paesi violanti i principi dello Stato di diritto, per cui era previsto che venisse messo un freno ai fondi del Next Generation EU, nonché la scarsa attenzione e le dichiarazioni fuori luogo sul tema dei muri volti ad arginare l’ingresso dei migranti. Insomma, pure stavolta non è possibile elogiarla in toto. I limiti dell’Unione sono chiari, ed è principalmente a causa di questi che si è trovata a compiere o a non compiere una serie di azioni per cui compare oggi in questa lista.
A Natale puoi…
Dice così una fastidiosa pubblicità che popola le giornate italiane a ridosso delle vacanze natalizie. A Natale si può, far cosa? Prendere atto sicuramente dell’anno finito, il 2021, che non è stato l’inizio della pandemia, l’anno delle belle speranze e dell’andrà tutto bene, ma un anno complicato, costellato tanto di vittorie quanto di chiare sconfitte, specie su temi importanti, come la pace, l’ecologia e un po’ in generale il rispetto basilare dei diritti umani, delle minoranze e dei migranti tra i tanti.
A Natale si può, forse, decidere che il 2022 possa essere un anno denso di eventi positivi. Positivi nel senso che tra una Conferenza sul futuro dell’Europa in corso d’opera e i progetti del Next Generation EU che dovranno compiere concretamente i primi passi, vi è la chance di costruire un po’ di solide basi per un 2023 ancora migliore, e così a catena, verso il futuro.
Per aspirare al futuro bisogna criticamente guardare al passato, chiedersi cosa abbia funzionato e cosa invece abbia fallito. In Europa, il bilancio è facile da fare. Lo Stato nazionale ha vinto, tanto, rispetto a vecchi sistemi - come quello feudale - ma non regge le sfide del futuro. Discorsi di attori politici quali Le Pen o Meloni, per citare due donne baluardi dei sacri valori della patria, possono funzionare nel relativamente semplice mondo post-globalizzazione economica-digitale. Ma il XXI secolo non è quel momento storico-culturale. Non è un’epoca di confini, perché non si può pensare e ragionare con i confini e i limes in un’epoca in cui lo spazio è la frontiera da conquistare e la tecnologia permette connessioni globali istantanee. Per aspirare al futuro bisogna pensare ambiziosamente (qualcuno dirà utopicamente) al presente, porre l’attenzione su ciò che accade in Africa, sul caos che vive il Medio Oriente, sui dissidi tra grandi potenze, su sopravvivenza ed evoluzione. E bisogna farlo compatti e coesi.
Così, il futuro vedrà sulla lista dei buoni la dicitura Pianeta Terra.
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