La Francia e la difesa europea: un nodo ancora da sciogliere

, di Domenico Moro

La Francia e la difesa europea: un nodo ancora da sciogliere

Per varie ragioni, la Francia è lo Stato decisivo per l’istituzione di una difesa europea. Ad oggi, è anche l’unico paese che, come dimostrano i due dibattiti parlamentari qui commentati, discute pubblicamente del tema. Essi contengono un punto fermo che, dato il paese che lo fa proprio, sembra rappresentare una svolta: il primo pilastro della difesa europea è la NATO, mentre il secondo pilastro - nella forma di interventi militari al di fuori dei confini europei, per la gestione di crisi locali -, è l’UE. Fatta salva l’eventualità che ci si trovi di fronte ad una posizione tattica, questo potrebbe significare che si dovrà riflettere sul futuro della difesa europea in termini del tutto nuovi.

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Nella prima parte di quest’anno, in Francia, l’Assemblea nazionale e il Senato hanno discusso il tema della difesa europea. Il 22 maggio scorso, alla Commissione difesa dell’Assemblea nazionale ha avuto luogo l’audizione di Louis Gautier, ex-Segretario generale della difesa, già consigliere di Jospin e oggi di Macron, e uno dei massimi esperti del settore; il 3 luglio è stato invece discusso al Senato il Rapporto della Commissione affari esteri, difesa e forze armate: “Défense européenne: le défi de l’autonomie stratégique”.

Gautier è stato convocato dalla Commissione difesa dopo aver consegnato a Macron il rapporto chiestogli, dal titolo “Défendre notre Europe, vers une Union de sécurité et de défense”. Il rapporto, riservato, non è stato reso pubblico, ma davanti alla Commissione sono stati riportati alcuni dei suoi contenuti. Qui di seguito si richiamano quelli che si ritengono di maggior interesse, in particolare la descrizione del percorso verso l’istituzione di un’”Unione di difesa e sicurezza”.

A questo proposito, Gautier ha individuato tre tappe: la prima è il consolidamento delle iniziative già avviate, come la gestione del Fondo europeo per la difesa e l’operatività dell’accordo franco-tedesco relativo al velivolo di nuova generazione, oltre all’auspicio dell’istituzione di un vero e proprio Consiglio dei ministri della difesa. La seconda tappa, da avviarsi durante la presidenza tedesca e francese del Consiglio europeo - nel 2021 e 2022 -, è la messa in atto di una road map, condivisa, per la gestione delle crisi e la presa in carico dei problemi di sicurezza all’interno dell’UE.

Nel corso della terza tappa, tra il 2022 e il 2027, la Francia potrebbe proporre di fare passi avanti nell’affermazione di ambizioni collettive e nella condivisione e mutualizzazione di capacità operative. In pratica, si tratterebbe di proporre un’”Unione di difesa e di sicurezza, che può comportare una revisione dei trattati, delle riorganizzazioni istituzionali, l’approvazione da parte dei Capi di Stato e di governo di una dottrina di difesa e di sicurezza dell’Unione, la costituzione di una Stato maggiore operativo europeo, la fusione di certe capacità operative, soprattutto nella logistica e il varo di dimostratori del programma SCAF” [il velivolo franco-tedesco di nuova generazione].

Il calendario e le proposte sono stati esposti dopo aver fatto presente che l’istituzione di una difesa europea non costituisce un indebolimento della NATO, in quanto un’Europa divisa sul piano militare è comunque una debolezza per sé stessa e per la NATO. Gautier ha quindi ricordato che gli europei hanno un bisogno urgente di dotarsi di una capacità di pianificazione militare che si può sviluppare sia a livello UE, ma anche attraverso l’accesso alle capacità NATO, con la revisione degli accordi “Berlin plus”, oggi superati. Riconoscendo quindi che l’UE è oggi incapace di far fronte ad una crisi grave (“haute de spectre”) sul proprio suolo o alla sua periferia, Gautier ha introdotto una distinzione tra il ruolo della NATO e quello dell’UE: alla prima dovrebbe competere la missione della difesa collettiva, difesa europea inclusa; l’UE dovrebbe invece occuparsi delle crisi interne più problematiche (attacchi cyber, terrorismo, attacchi alle infrastrutture o reti critiche...) e della periferia. La proposta avanzata da Macron, alla Sorbona, di un’Iniziativa Europea di Intervento, del resto, va in questa direzione. Lo stesso concetto è stato poi ribadito nel corso del dibattito, quando è stato sostenuto che “non è utile che l’UE duplichi ciò che la NATO fa bene. Il ruolo della NATO è di assicurare la missione di difesa collettiva e quindi di favorire la standardizzazione e l’interoperabilità delle capacità alleate”. L’Europa dovrà, piuttosto, essere in grado di compiere missioni meno impegnative (“au bas du spectre”), come la sorveglianza del Mediterraneo o la lotta contro i traffici. Del resto, continua Gautier, se oggi non ci si pone il problema di gestire crisi a bassa intensità, non si vede come domani si potranno mai gestire crisi ad alta intensità.

Il consigliere di Macron propone anche di definire dei paletti (“lignes rouges”) per quanto riguarda la partecipazione alla difesa europea: “dobbiamo, noi francesi, stabilire e accettare le nostre linee rosse nella costruzione della difesa europea, sia che si tratti della forza di dissuasione, della cyber difesa, della protezione degli interessi tecnologici e industriali. Dobbiamo definire quali sono le competenze ed i mezzi che noi accettiamo di mutualizzare e quelli che intendiamo conservare per noi”.

Il dibattito al Senato francese si è invece svolto sulla base di un’indagine condotta da un gruppo di senatori in alcuni paesi dell’UE (Belgio, Germania, Italia, Olanda, Polonia, Regno Unito e Spagna). Esso chiarisce altri aspetti della posizione francese in merito alla NATO ed alla difesa europea. Tenuto conto che la Francia ha sempre manifestato riserve riguardo l’organizzazione militare dell’Alleanza atlantica – almeno fino al vertice di Saint-Malo ed al ritorno della Francia nella NATO nel 2009 -, il documento scioglie ogni dubbio, in quanto sostiene che “la difesa europea riposa oggi su due pilastri che sono la NATO e l’UE”. Infatti, ricordando l’insieme dei pareri raccolti durante l’indagine, “ma anche della maggior parte degli specialisti francesi”, il documento riconosce che “è evidente che la difesa dell’Europa è oggi assicurata per l’essenziale dalla NATO, cioè, concretamente, dagli Stati Uniti”. La Francia, sostiene il Rapporto, ha ragione nel sottolineare i pericoli crescenti per la sicurezza dei cittadini europei, ma “gli altri paesi europei hanno ugualmente ragione quando fanno presente che, a breve termine, l’Europa è incapace di difendersi senza l’aiuto degli Stati Uniti”. Il punto fondamentale è dunque l’approccio che il documento propone per la difesa europea, tenuto conto che “nel breve termine” (non quantificato), non si può fare a meno degli Stati Uniti. A questo proposito, il documento ricorda anche un’affermazione di Wolfgang Ischinger, Presidente della Conferenza di Monaco che, non più tardi di qualche mese fa, è andato anche oltre, affermando che “la sicurezza della Germania e dell’Europa a breve, medio e lungo termine”, dipende dalle capacità militari degli USA.

Come già fatto da Gautier, il Rapporto individua dunque due pilastri della difesa europea, con la NATO come primo pilastro. Se, come viene sostenuto, per “difesa europea” si intende “l’insieme dei mezzi militari suscettibili di essere messi in opera congiuntamente o in maniera coordinata da parte dei paesi del continente, nel quadro dell’UE o al di fuori di questo quadro, è d’obbligo constatare che questa difesa europea oggi non svolge che un ruolo secondario nella difesa collettiva dell’Europa” e la partecipazione americana viene vista come indispensabile, soprattutto per far fronte al livello più elevato delle minacce (“haute de spectre”). L’UE, invece, dovrebbe costituire il secondo pilastro della difesa europea. Ad essa ed agli Stati membri, in un quadro intergovernativo, dovrebbe competere un ruolo complementare a quello della NATO ed occuparsi degli interventi al di fuori dei confini dell’UE, in particolare nella gestione delle crisi e del controllo dei movimenti migratori o della lotta contro i traffici illeciti.

Le perplessità che, da un punto di vista federalista, solleva il Rapporto - anche volendo sorvolare sull’approccio intergovernativo - cominciano quando affronta i problemi più delicati, come l’eventuale impiego dell’arsenale nucleare francese per la difesa del continente, il seggio europeo nel Consiglio di sicurezza dell’ONU e il voto a maggioranza in politica estera. Gli estensori del documento ricordano una domanda che gli interlocutori intervistati hanno posto loro circa la disponibilità della Francia a porre il continente europeo sotto l’ombrello nucleare francese, europeizzandolo, visto che essa parla spesso di “autonomia strategica europea”, senza peraltro definirla con precisione. La risposta che viene data dai senatori è che l’arsenale nucleare è una componente fondamentale della sovranità nazionale e il suo utilizzo deve rimanere una prerogativa esclusiva del Presidente della Repubblica francese. Tuttavia, viene riconosciuto il fatto che aprire il dibattito sulla disponibilità della protezione nucleare francese, per quanto prematuro, “sarebbe una conseguenza logica dell’impegno della Francia a favore dell’autonomia strategica dell’UE”.

Per quanto riguarda le innovazioni istituzionali che comporterebbe la realizzazione di una difesa europea, sia pure nei termini appena visti, il Rapporto interviene sul seggio nel Consiglio di sicurezza dell’ONU e sul voto a maggioranza in politica estera e di sicurezza che qui si riassumono, con un commento conclusivo su entrambi i documenti.

A proposito del seggio all’ONU, viene fatto presente che in seguito alla Brexit, la Francia si troverebbe ad essere l’unico paese UE dotato di un seggio permanente all’ONU e che, di conseguenza, potrebbe essere soggetta a pressioni – peraltro, già manifestatesi in Germania - affinché lo metta a disposizione dell’UE. Si fa però notare, apparentemente con ragione, che in assenza di un’unica politica estera e di difesa, il rappresentante dell’UE si troverebbe nella condizione di “ricorrere troppo spesso all’astensione”. La possibilità di cedere all’UE il seggio francese viene quindi esclusa.

Per quanto riguarda, invece, il passaggio al voto a maggioranza in politica estera e di sicurezza, il Rapporto ricorda che, in teoria, vi sarebbe la possibilità di ricorrere alla cosiddetta “clausola passerella”, la quale consentirebbe, con un voto all’unanimità, di passare al voto a maggioranza qualificata. Questa clausola, però, come viene ricordato, non è applicabile alle decisioni che hanno implicazioni di carattere militare o nel settore della difesa.

In effetti, va qui dato atto che questo rappresenta un forte limite, ma non per questo è giustificabile la posizione del Rapporto secondo cui non sarebbe auspicabile neppure ricorrere alla clausola passerella nei casi previsti dalla proposta della Commissione europea, solo perché un paese europeo potrebbe dissociarsi dalla posizione approvata a maggioranza qualificata. Questa posizione, espressione di un rigido formalismo giuridico, sembra piuttosto un alibi per non procedere in questa direzione. In effetti, sarebbe come sostenere che la Legge fondamentale tedesca non sarebbe dovuta entrare in vigore solo perché la Baviera non l’ha ancora ratificata. Tuttavia, si possono fare anche delle critiche ulteriori.

Innanzitutto, diversamente da quanto fa il Rapporto, seggio europeo nel Consiglio di sicurezza e voto a maggioranza in politica estera e di sicurezza – sia pure nella versione limitata proposta dalla Commissione europea - vanno visti come due facce della stessa medaglia, nel senso che il rappresentante francese al Consiglio di sicurezza potrebbe benissimo essere il portatore della posizione europea, decisa a maggioranza, almeno nei casi previsti dalla proposta della Commissione. Valutare le due misure separatamente, non può che consolidare una posizione nazionalista.

Infine – ed a prescindere dal fatto che in nessuno dei due dibattiti si fa riferimento alla Dichiarazione di Meseberg, con la quale il governo francese e quello tedesco si sono impegnati a portare avanti la richiesta di passare al voto a maggioranza qualificata in politica estera -, i limiti maggiori sono altri, e ben più gravi. Da un lato, in nessun caso viene precisato a cosa la Francia è disposta a rinunciare pur di consentire passi avanti verso una difesa europea; dall’altro lato, se è comprensibile che la NATO possa essere destinata a restare il pilastro della difesa europea, lo è decisamente meno il fatto che gli sforzi che l’UE sta facendo, e deve ancora fare, per una difesa autonoma non siano accompagnati dalla richiesta di una radicale revisione della governance della NATO, soprattutto se essa deve servire ad assicurare la difesa collettiva: il responsabile delle forze armate NATO non può essere sempre un americano.

Fonte immagine: U.S. AIR FORCE

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