La doppia morale dell’europeismo toscano (cartellino rosso a Enrico Rossi)

, di Giulio Saputo

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La doppia morale dell'europeismo toscano (cartellino rosso a Enrico Rossi)

In questa breve riflessione vorrei dimostrarvi come alcuni esempi locali rivelano, con una certa chiarezza, la pericolosa tendenza all’europeismo superficiale della nostra classe politica nazionale.

Proprio in questi giorni di luglio, da ben 15 anni, il seminario di formazione federalista «Luciano Bolis», raccoglieva sul Passo dei Carpinelli (LU) per una settimana una cinquantina di giovani selezionati dagli istituti superiori toscani, con relatori e professori provenienti da tutta Italia e spesso anche dal resto d’Europa. Per i ragazzi era una vacanza-studio completamente gratuita, un modo per avvicinarsi al mondo dell’università e delle istituzioni europee che purtroppo non tutti possono permettersi (visto il costo proibitivo delle summer school).

Purtroppo, dopo un biennio in cui gli organizzatori hanno cercato di portare avanti i lavori con un’opera di volontariato e con dei finanziamenti ridotti, la Regione ha deciso di non dare più il suo supporto finanziario all’iniziativa. Fin qui c’è poco da dire; la crisi economica e la tradizione tutta italiana che la formazione delle prossime generazioni non sia una «priorità politica» hanno fatto il resto.

Allo stesso tempo, il Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi si è dimostrato esperto della tipica doppia morale oramai emblematica nella nostra classe dirigente: rilascia commenti riguardo il mito di Ventotene, cita Altiero Spinelli e si fa portavoce di un nuovo «socialismo europeista» per salvare l’Italia dalla crisi anche ideologica in cui sembra caduta.

Il risultato è paradossale. Da un lato si taglia il supporto all’unico seminario gratuito che si occupa di portare avanti questo sistema di valori in Toscana e dall’altro quegli stessi valori diventano l’immagine di cui si fa portatore il Presidente della Regione? No, non stiamo parlando di schizofrenia né di una presa in giro della tradizione politica europeista e federalista, ma di una mercificazione e della strumentalizzazione di un messaggio a meri fini elettorali che ha provocato una secca risposta da parte del Movimento Federalista Europeo in una lettera ad hoc.

Questo è solo un esempio di quello che sta accadendo in Italia: non ci stiamo più veramente preoccupando del futuro. Le proposte politiche sono ridotte a meri slogan superficiali, l’Europa ad una bandiera da sventolare quando e come serve.

In una società in crisi, messa a dura prova da una forte insicurezza civile e sociale, la politica dovrebbe avere il coraggio di compiere «uno sforzo creativo» dando delle risposte concrete ai cittadini. Intorno a noi vediamo il risorgere di un rinnovato sentimento d’odio, declinato in comportamenti xenofobi, razzisti e fascisti, che viene alimentato e silenziosamente legittimato da questo assordante vuoto politico. Anche le posizioni e le opinioni più estreme, considerate fino a pochi anni fa spettri logori di un Secolo di «ferro e fuoco», tornano a farsi strada nella palude neutrale dell’incertezza sociale e morale della politica.

Non possiamo più permetterci di restare a guardare. Dal passato c’è stata tramandata una lezione importante: «la democrazia, la libertà, la difesa dei diritti dell’uomo devono potersi esprimere congiuntamente a livello europeo, oppure sono condannati a morire» (Luciano Bolis, proprio il federalista a cui era dedicato il Seminario di formazione toscano).

Quando ci renderemo conto che l’Europa non è soltanto un insieme di istituzioni o di idee, ma una battaglia politica da completare con la nostra azione concreta?

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