LA CRISI DELL’UE: VERSO UN’EUROPA DEBOLE DI STATI SOVRANI O UN’EUROPA FEDERALE CAPACE DI GARANTIRE BENESSERE E SICUREZZA?

, di Sergio Pistone

LA CRISI DELL'UE: VERSO UN'EUROPA DEBOLE DI STATI SOVRANI O UN'EUROPA FEDERALE CAPACE DI GARANTIRE BENESSERE E SICUREZZA?

Il processo di unificazione europea si trova in una situazione estremamente critica.

Da una parte, nei quasi settant’anni di processo integrativo il lento e graduale avanzamento, che è partito dalla Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, ha permesso di ottenere grandiosi risultati riassumibili:

 nella pacificazione dell’Europa dopo secoli di guerre interstatali, le due ultime delle quali (la 1° e la 2° guerra mondiale) ci hanno portato sull’orlo della fine della civiltà europea; - in un progresso economico-sociale che ha fatto dell’Europa la regione più avanzata del mondo; - in un progresso politico caratterizzato dalla generale diffusione del sistema democratico integrato in modo organico dai diritti di libertà e dai diritti alla solidarietà sociale.

Dall’altra parte, l’unificazione europea è un’opera incompiuta perché non è arrivata a realizzare la federazione europea che nella Dichiarazione Schuman viene indicata come il suo indispensabile traguardo. Ai progressi sul piano dell’integrazione sopranazionale (nel campo monetario di natura pienamente federale) si accompagna in effetti la persistenza dei meccanismi confederali (in ultima analisi il mantenimento da parte dei governi nazionali del monopolio del potere politico, che implica il diritto di veto sulle decisioni comuni) in settori decisivi quali il bilancio (le risorse dell’UE, che sono essenzialmente contributi nazionali, equivalgono a meno dell’1% del PIL europeo, mentre a titolo di esempio quelle degli USA superano il 20%), la politica economica, la politica estera, la sicurezza e la difesa, la revisione del sistema istituzionale.

Il fatto di essere in mezzo al guado comporta oggi per l’Europa il trovarsi di fronte ad un insieme di sfide esistenziali che pongono una drastica alternativa: o un rapido e sostanziale avanzamento verso un’unione politica federale (partendo da una avanguardia di paesi disponibili), il che significa essenzialmente un governo efficace e solidale dell’Unione economica e monetaria e una politica estera, di sicurezza e di difesa veramente unitaria; o altrimenti una fatale decadenza del progetto avviato con la Dichiarazione Schuman.

Le sfide esistenziali con cui si confronta il processo di unificazione sono fondamentalmente quattro.

1. La prima è la sfida della solidarietà.

Gli squilibri economico-sociali (disuguaglianza e disoccupazione) e gli squilibri territoriali (divari di sviluppo fra gli stati membri dell’UE) sono cresciuti a un tale grado da mettere in serio pericolo la sopravvivenza dell’unione economica e monetaria. E’ diventato sempre più urgente il passaggio da un’integrazione essenzialmente negativa (eliminazione degli ostacoli al libero movimento delle merci, delle persone, dei capitali e dei servizi – in sostanza una linea liberistica) ad una integrazione anche positiva, cioè accompagnata da forti politiche sopranazionali capaci di affrontare (assieme alle sfide poste dalla rivoluzione tecnica e scientifica) gli squilibri economici, sociali e territoriali inevitabilmente prodotti da un mercato non adeguatamente governato. Si tratta di ristabilire a livello sopranazionale l’equilibrio fra democrazia e mercato che a livello nazionale è stato messo in crisi dalle dimensioni continentali e per molti aspetti mondiali raggiunte dall’economia e dalla società. Il che richiede istituzioni sopranazionali fornite delle necessarie competenze e risorse e sottoposte al controllo dei cittadini europei.

2. La seconda sfida riguarda la sicurezza.

A questo riguardo vanno anzitutto sottolineate le minacce provenienti dal quadro globale che si possono schematizzare in tre punti:

 la globalizzazione non governata, cioè guidata da una impostazione liberistica, che ha prodotto un grande sviluppo complessivo, ma anche le gravi contraddizioni rappresentate dalla povertà, dai divari di sviluppo, da sempre più gravi crisi economiche e finanziarie, dal ritorno del protezionismo e dalle migrazioni bibliche;

 il crescente disordine internazionale, caratterizzato dalla ripresa della corsa agli armamenti (anche nucleari ,a cui si aggiungono quelli cibernetici che hanno potenzialità distruttive superiori a quelle delle armi ABC), dal dilagare delle guerre (soprattutto, ma non solo, civili e interetniche, connesse all’instabilità cronica di intere regioni), dal terrorismo internazionale, dall’affermarsi, nel complesso, di un pluripolarismo conflittuale, che ha fatto seguito all’inesorabile declino dell’egemonia americana (di cui la politica nazionalistica e destabilizzante di Trump è un’organica manifestazione);

 la minaccia ecologica e in particolare del riscaldamento climatico (chiaramente connessa con l’interdipendenza non governata) che, in mancanza di scelte urgenti e radicali in direzione di un modo di vivere ecologicamente sostenibile, apre prospettive catastrofiche per l’umanità.

Alle minacce di origine globale si sommano i gravissimi pericoli provenienti dalle regioni confinanti con l’Unione europea. Anzitutto va sottolineata la situazione esplosiva del Medio Oriente e dell’Africa che produce, oltre al dilagare delle guerre, spaventosi fenomeni terroristici, migrazioni bibliche ed anche la precarietà delle forniture energetiche. In secondo luogo va ricordata la seria minaccia derivante dalle tendenze neoimperialiste della Russia che sono chiaramente connesse con l’arretratezza socio-economica e il regime autoritario di questo paese.

Per rispondere alle minacce di origine globale e a quelle emergenti dai confini meridionali e orientali dell’UE, oltretutto in un contesto in cui non si può più contare sulla protezione americana, non è più rinviabile la necessità di federalizzare la politica estera, di sicurezza e di difesa europea. Qui va sottolineato che, diventando una potenza capace di agire efficacemente sul piano internazionale, l’Europa potrebbe fornire un contributo determinante alla formazione di un sistema pluripolare strutturalmente cooperativo (fondato su un rafforzamento decisivo e la riforma democratica di un’ONU basata sulle unioni regionali di stati, incominciando con l’attribuire all’UE un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza) che aprirebbe la strada ad un ordine internazionale più giusto, più pacifico e più orientato verso la sostenibilità ecologica. Non va dimenticato che la costruzione della pace nel mondo era indicata nella Dichiarazione Schuman come la missione fondamentale caratterizzante il ruolo internazionale della unità europea e che l’UE - proprio perché è stata un grandioso processo di pacificazione derivato da una esperienza di conflittualità che ha condotto l’Europa sull’orlo dell’autodistruzione – ha una vocazione strutturale ad esportare la sua esperienza integrativa e, quindi, ad operare come “potenza civile”, una potenza cioè che persegue il superamento della politica di potenza, in altre parole politiche strutturali di cooperazione pacifica sul piano internazionale. Questa tendenza strutturale si è concretamente manifestata nel primato dell’UE, nonostante l’incompleta unificazione, per quanto riguarda l’aiuto allo sviluppo e quello alimentare, le missioni di pace e il perseguimento dei diritti umani, il ruolo fondamentale rispetto a iniziative quali il Tribunale penale internazionale e gli accordi diretti a contrastare il riscaldamento globale. Sembra evidente che questa vocazione strutturale dell’Europa potrà manifestarsi in modo incomparabilmente più efficace se alla sua potenza economica si sommerà, con una politica estera, di sicurezza e di difesa unica, il fatto di diventare un attore pienamente globale.

3. La terza sfida riguarda il processo migratorio.

E’ chiaro che l’esistenza di un consistente e durevole flusso migratorio verso l’Europa è un dato oggettivo e sostanzialmente fisiologico connesso, da una parte, con la globalizzazione e i suoi squilibri e, dall’altra parte con lo strutturale declino demografico e, quindi, l’invecchiamento della popolazione del nostro continente che ha un bisogno vitale di migranti per sostenere la sua vitalità economica e il suo avanzato sistema di assistenza sociale. Ciò detto, la drammatica emergenza che si è prodotta negli ultimi anni è rappresentata dal fatto che le dimensioni del flusso migratorio sono diventate insostenibili. Ciò è legato essenzialmente alla acuta instabilità del Medio Oriente e dell’Africa, a cui si aggiunge un ulteriore fattore destinato a incrementare in modo drammatico l’ondata migratoria verso l’UE. Si tratta in particolare dello sviluppo demografico dell’Africa, che oggi ha una popolazione di un miliardo e 150 milioni di individui e che secondo l’ONU nel 2050 saranno raddoppiati. Si tratta di un numero troppo grande rispetto alla capacità di sviluppo di questo continente in mancanza di un grandioso piano di aiuto allo sviluppo da parte dei paesi più ricchi e avanzati. Questo fattore (integrato dalla gravissima instabilità e dalle conseguenze dei cambiamenti climatici in termini di desertificazione e carenza di acqua e produzione alimentare) è chiaramente destinato a forzare l’emigrazione di centinaia di milioni di persone.

Le dimensioni che stanno caratterizzando il flusso migratorio verso l’Europa, va sottolineato, producono situazioni estremamente preoccupanti per il nostro continente. Vanno segnalati in particolare: l’incapacità di affrontare in modo adeguato e solidale il flusso migratorio che sta compromettendo il principio della libera circolazione delle persone all’interno dell’UE sancito dai trattati (in particolare da quello di Schengen), e provocando quindi un arretramento rispetto ad acquisizioni fondamentali del processo di integrazione europea e un pericolosissimo riemergere di contrapposizioni nazionalistiche; le crescenti tensioni sociali dovute all’innesto nelle comunità storiche di nuova popolazione, all’impatto sulle strutture di assistenza sociale e all’abbandono di quartieri implicante la rottura di relazioni comunitarie; la crescente reazione nei confronti degli immigrati che alimenta la forza elettorale di movimenti politici xenofobi e populistici e che tende a mettere in discussione il nostro sistema democratico e di tutela dei diritti umani.

Per rispondere a questa sfida di enormi dimensioni e di estrema complessità, è necessario un grande disegno di governo dell’emigrazione capace di affrontarlo nella sua globalità.

Una componente fondamentale di questo disegno è rappresentato da una organica politica europea di integrazione dei migranti diretta a trasformarli in cittadini con pienezza di diritti e di doveri e da un impegno unitario nella lotta contro l’immigrazione clandestina (tra l’altro con una vera polizia confinaria europea), per ragioni evidenti di efficienza, per evitare disparità di trattamento che sono fonti contenziosi e conflittualità tra gli stati membri, per dare sostegno agli stati membri più deboli ed esposti, nei quali altrimenti tendono ad affermarsi scelte in contrasto con i diritti umani e tendenti ad esasperare i problemi. L’altra componente fondamentale di un valido ed adeguato governo dell’emigrazione è costituita dall’affrontare seriamente i problemi che spingono alla fuga in massa e caotica dalle regioni di provenienza degli emigranti. Si tratta chiaramente da parte dei paesi più avanzati (e quindi dell’Europa) di impegnarsi a fondo per superare le ingiustizie clamorose di una globalizzazione economica che rende universale l’interdipendenza e facilita la mobilità, ma nello stesso tempo produce enormi squilibri. E si tratta altresì di affrontare con determinazione l’instabilità cronica di intere regioni (Medio Oriente e Africa) e il degrado ecologico che spingono immense masse di esseri umani disperati ad abbandonare le loro terre per una esigenza elementare di sopravvivenza. Il criterio ispiratore di una valida politica per governare le spinte ad emigrare è quello del Piano Marshall che contiene un aiuto decisivo sul piano economico e su quello della sicurezza subordinato a un graduale ma effettivo progresso in termini di pacificazione, integrazioni regionali e democratizzazione di questa parte del mondo.

Questo disegno presuppone ovviamente un avanzamento dell’integrazione economica, che renda disponibili risorse ben maggiori di quelle attuali dedicate alla politica di integrazione degli immigrati, e il passaggio ad una politica europea veramente unitaria nel campo delle relazioni internazionali, della sicurezza e della difesa.

4. Alle sfide della solidarietà all’interno dell’UE, della sicurezza e dell’emigrazione si deve aggiungere quella proveniente dalla crescente disaffezione dei cittadini europei nei confronti dell’unificazione europea che si è manifestata nel modo più generale e rilevante nell’avanzata delle tendenze nazionalpopulistiche, le quali, invece che al completamento dell’unificazione europea, mirano alle chiusure nazionali e a un distruttivo sovranismo. Questo fenomeno, che ha avuto la manifestazione più clamorosa nella formazione di un governo nazional-populista in un paese fondatore dell’UE come l’Italia, è chiaramente legato all’incompletezza dell’unificazione europea che alimenta due fattori. Il primo è costituito dall’incapacità dell’UE – che ha le sue radici nel sistema intergovernativo paralizzato dai veti nazionali – di affrontare in modo efficace i problemi più acutamente sentiti dai cittadini, che si riferiscono ai differenti aspetti della sicurezza (economica, sociale, ecologica, internazionale, governo dell’emigrazione, terrorismo). Il secondo fattore consiste nella mancanza di una reale legittimazione democratica delle istituzioni europee, dato che le fondamentali decisioni degli organi dell’UE non sono né efficienti né soggette ad un controllo democratico corrispondente a quello richiesto dai canoni della civiltà politica occidentale. E’ chiaro che questa situazione rinvia all’esigenza drammaticamente urgente di un vero governo europeo democratico ed efficiente.

Come ho detto all’inizio, se si vuole evitare il collasso dell’unificazione europea, l’unica risposta adeguata alle sfide esistenziali con cui si confronta l’UE è un rapido e decisivo avanzamento verso l’unione politica federale, la quale ha in sostanza due pilastri: il governo economico europeo e il governo europeo della sicurezza. Occorre ora anzitutto precisare, sia pur sinteticamente, l’architettura istituzionale di un’unione politica federale. Gli elementi essenziali sono:

 un livello federale, (che superi senza eccezioni sia il principio dell’unanimità che il diritto di secessione), dotato delle necessarie competenze esclusive in tutti i settori in cui l’azione dei singoli stati risulti inadeguata come le reti transeuropee, l’energia, la cooperazione allo sviluppo e l’aiuto umanitario, la politica estera, della sicurezza e della difesa, oltre al mercato unico, alla concorrenza, alla politica monetaria, alla conservazione delle risorse biologiche dei mari e alla politica commerciale; della competenza condivisa in tutti i settori della politica sociale, della politica economica, della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dello spazio;

 l’assemblea parlamentare con pieni poteri legislativi (incluso il potere di iniziativa legislativa in caso di carenza dell’esecutivo) da esercitare congiuntamente a una “Camera degli stati”;

 un vero governo europeo con un numero ristretto di ministri e dotato di poteri limitati ma reali sia in politica interna che in politica estera, legato a un vincolo democratico e fiduciario all’assemblea(in sostanza la Commissione deve diventare l’unico organo esecutivo);

 il Consiglio dei capi di stato e di governo vincolato al suo ruolo di eminente istanza che discute e indica gli orientamenti strategici, sede di dibattiti semestrali sulle grandi priorità politiche;

 un bilancio federale con una dimensione coerente rispetto agli obiettivi comuni, entrate fondate su tributi europei e politiche per garantire beni comuni a dimensione europea;

 la Corte di Giustizia cui sia attribuita anche la competenza di rispondere ai ricorsi specifici in materia di diritti fondamentali e di avviare la procedura di constatazione di rischi di violazione grave da parte di uno stato membro dei valori dell’UE e di constatazione dell’esistenza di queste violazioni;

 la Banca Centrale europea, come organo costituzionale autonomo accanto all’esecutivo, al legislativo e al giudiziario, la cui azione sia coordinata con la politica governativa nel rispetto degli obiettivi dell’unione federale nella ricerca di una crescita sostenibile che punti alla piena occupazione e al progresso sociale.

Occorre quindi sottolineare che l’unione politica federale non può essere realizzata con la partecipazione fin dall’inizio dei 28 stati membri dal momento che alcuni di essi (in particolare il Regno Unito – il quale ha oltretutto optato per la secessione -, gli stati scandinavi e alcuni stati europei orientali) non mostrano in questa fase la minima disponibilità ai trasferimenti di sovranità che la federazione comporta. Pertanto non c’è alternativa all’iniziativa di una avanguardia, come è sempre avvenuto nel processo di unificazione europea ogni volta che veramente importanti passi avanti sul piano politico e istituzionale sono stati all’ordine del giorno. I componenti dell’avanguardia federale si trovano oggi chiaramente nella cerchia degli stati dell’eurozona e di quelli seriamente intenzionali a partecipare all’unione monetaria, in altre parole i paesi che necessitano in modo vitale della federazione e che, aderendo all’unione monetaria, hanno già compiuto un passo molto significativo in tale direzione. In questa prospettiva si impone l’adozione del metodo della integrazione differenziata, che oggi significa concretamente realizzare una federazione nel quadro di una struttura in cui prevale il metodo confederale (l’UE più ampia comprendente tutti gli stati membri). Gli stati non pronti al salto federale manterrebbero ovviamente i diritti acquisiti (anzitutto la partecipazione al mercato unico) e sarebbe loro garantita la possibilità di aderire più avanti al nucleo federale.

Va inoltre precisato che la procedura costituente dovrà avere le seguenti caratteristiche:

 gli stati dell’avanguardia federale dovrebbero decidere, sulla base di una specie di nuova Dichiarazione Schuman, di attuare il processo costituente fra di loro, scegliendo pertanto la via di un nuovo trattato e non quella della revisione del Trattato di Lisbona che richiede l’unanimità;

 la convenzione costituzionale formata da rappresentanti del PE e dei parlamenti nazionali dovrà deliberare a maggioranza;

 la bozza di costituzione approvata da tale convenzione non dovrà essere sottoposta a una conferenza intergovernativa, bensì trasmessa direttamente alle ratifiche nazionali che dovrebbero avvenire tramite un referendum paneuropeo da tenersi simultaneamente nei paesi che hanno partecipato alla redazione del progetto di costituzione, il quale dovrà entrare in vigore fra i paesi ratificanti, a condizione che sia stato accettato da una doppia maggioranza degli stati e dei cittadini.

Concludo ricordando che la condizione preliminare perché si avvii il processo costituente dell’unione politica federale è rappresentato dalla vittoria alle prossime elezioni europee dei partiti europeisti – essi devono presentare agli elettori un programma che contenga come punto fondamentale un decisivo avanzamento in senso federale con il metodo dell’avanguardia – e quindi la sconfitta delle tendenze nazionalpopuliste. Se questo avverrà, si potrà sviluppare nella prossima legislatura europea una iniziativa paragonabile a quella di Spinelli nella prima legislatura del PE eletto direttamente e ciò imprimerà una spinta fondamentale ai governi più avanzati ad attuare il lancio formale (che richiede una decisione dei detentori della sovranità) del processo costituente.

Relazione del Prof. Sergio Pistone all’Università degli Studi di Torino, al convegno “Le elezioni del Parlamento europeo tra europeismo e nazionalpopulismo”.

Fonte immagine: Pixabay.

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