L’Unione delle Unioni: una necessità di integrazione regionale in Europa

, di Naman Karl-Thomas Habtom, tradotto da Benedetta Viola

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L'Unione delle Unioni: una necessità di integrazione regionale in Europa
I primi ministri del «Nordic Council», fotografati nel 2014. Da sinistra a destra: Erna Solberg (Norvegia), Algirdas Butkevičius (Lituania), Laimdota Straujuma (Lettonia), Sigmundur Davíð Gunnlaugsson (Islanda), Alexander Stubb (Finlandia), Anne Sulling, (Ministro estone per le imprese e il commercio), Helle Thorning-Schmidt (Danimarca), Stefan Löfven (Svezia). Fonte: Frankie Fouganthin, via Wikimedia Commons.

Appartenere all’Unione Europea spesso significa identificarsi anche con i più remoti angoli di questo continente; tuttavia, i legami tra i vari Paesi sono diversi. Le affinità politico-economiche e socio-culturali tra i cittadini dell’Unione sono determinate soprattutto dalla posizione geografica: per questo motivo è normale che i problemi e, soprattutto, le relative soluzioni, abbiano origine da questa stessa situazione. L’Unione Europea trarrebbe vantaggio se i problemi venissero affrontati sempre più a livello regionale, con la creazione di “mini-unioni” che andrebbero a ottimizzare e affiancare il lavoro delle istituzioni europee.

La libertà di circolazione si realizza prevalentemente nel contesto dei pensionati che si trasferiscono in luoghi dal clima più mite; nei lavoratori migranti con l’obiettivo di stabilirsi in altri Paesi lontani dal proprio, oppure negli studenti all’estero. Questa prospettiva si rivela limitata, dal momento che offre solo alcuni volti della libertà di circolazione. Un elemento chiave in uno dei quattro pilastri della UE è la posizione dei frontalieri: tali lavoratori pendolari, dai camionisti ai colletti bianchi, sono di vitale importanza per il funzionamento delle aree di confine tra Pirenei, Alpi e Renania. Anche se molti frontalieri percorrono distanze minori dei loro connazionali all’interno del proprio Paese, essi attraversano continuamente i confini. Perciò, è necessario trattare i territori transnazionali contigui per quello che sono: Euroregioni.

Le soluzioni hanno senso solo in presenza di problemi e, nel caso delle zone di frontiera, ve ne sono molti. L’accesso alla pensione e a mutui ipotecari è spesso drasticamente ridotto, per un cittadino che riceve lo stipendio da uno Stato dove non ha la residenza. Istituire un sistema pensionistico regionale, oppure un’indennità di disoccupazione, in grado di offrire maggiore scioltezza e libertà d’azione ai beneficiari, migliorerebbe la qualità della vita di molte persone. Inoltre, per quanto riguarda i giovani, se le università accettassero documenti in lingua straniera e gli iter delle domande di iscrizione fossero transnazionali, sarebbe tutto più semplice per gli studenti. Alternative come quelle proposte sono teoricamente ipotizzabili tanto per il settore pubblico, quanto per il privato.

Queste nozioni potrebbero sembrare a molti puramente astratte, ma la verità è che sono già state sperimentate. I Paesi nordici godono di uno dei sistemi regionali più integrato al mondo, se non il più integrato in assoluto. La legislazione armonizzata, attuata grazie al Consiglio Nordico dei Ministri, fa sì che i cittadini del Nord Europa possano sfruttare al meglio ciò che la regione offre. Un successo del genere, su più livelli, richiede inevitabilmente una progettazione pluridecennale, ma è comunque realizzabile. L’investimento su infrastrutture di vasta scala, come il ponte Øresund che collega Copenaghen a Malmö attraverso uno stretto, insieme alla coerenza tecnologica e a procedure amministrative pressoché identiche (ad esempio, quelle riguardanti la registrazione in questura e la registrazione automatica degli elettori), possono concorrere alla nascita di un’area transnazionale priva di confini, senza risultare in netti contrasti. L’ordine pubblico ne può trarre vantaggio in determinate situazioni: si pensi alla polizia finlandese e svedese in servizio nei territori l’una dell’altra, qualora le proprie autorità nazionali si trovino momentaneamente lontane.

La conservazione dei diritti culturali e linguistici delle minoranze storiche è un altro obiettivo il cui raggiungimento valga la pena incoraggiare. Attraverso l’integrazione regionale, i diritti delle minoranze potrebbero essere nuovamente affermati senza che i più si trovino obbligati a emigrare o incorrano in grosse spese. Un’azione mirata allevierebbe le tensioni interne che tuttora lacerano molti territori, come l’Irlanda o l’Ungheria.

Come si possono circoscrivere queste “mini-unioni”? Utilizzando quattro criteri essenziali: a) la geografia, b) la storia, c) la lingua e d) l’interdipendenza economica.

Naturalmente, gli sforzi dovranno essere compartecipati (con l’ovvia eccezione delle isole e dei territori oltreoceano) per trovare un’effettiva realizzazione. La storia, se condivisa, spesso riflette un’integrazione di carattere storico dove una potenziale struttura sottostante potrebbe essere approfondita. Allo stesso modo le relazioni linguistiche, le quali si manifestano sotto forma di prassi giuridiche o sforzi educativi comuni, rendono una possibile integrazione ancora più realizzabile, senza richiedere la formazione specifica di un’intera nuova generazione di dipendenti pubblici. E infine, servirà l’economia in veste di collante per le “mini-unioni”, che rifletterà la realtà di ogni giorno e il bisogno di completarsi insieme agli altri.

La Scandinavia, i Paesi del Benelux, il gruppo di Visegrad o le repubbliche baltiche hanno il potenziale per muoversi in questa direzione. I requisiti più importanti sono ambizione e volontà politica, anche se è proprio qui che, forse, l’idea potrebbe rivelarsi poco fattibile: la creazione di “mini-unioni” ridurrebbe inevitabilmente il potere esercitato dagli stessi politici che dovrebbero promuoverne la nascita, rendendo una possibile integrazione difficilmente prevedibile.

In ogni caso, non si tratta di un ostacolo insormontabile. I leader nazionali e i governi devono prendere l’iniziativa, mentre alla UE spetterebbe agevolare la creazione di queste “mini-unioni” integrative, permettendo loro di coesistere all’interno del progetto europeo. Senza dare loro una possibilità di esistere, l’intero sistema diventerebbe più debole.

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