L’Olanda per l’Europa

, di Antonio Longo

L'Olanda per l'Europa

Le elezioni in Olanda confermano l’indicazione chiara che era già emersa in Austria il 4 dicembre 2016. Quando per gli elettori la scelta diventa tra europeismo e nazionalismo, il primo vince ed arretra il secondo. In Austria l’alternativa tra europeismo e nazionalismo era secca perché si trattava di elezioni presidenziali ed il candidato ecologista Alexander van der Bellen s’impose nettamente sull’ultranazionalista Norbert Hofer proprio perché aveva presentato “in modo chiaro ed esplicito il ‘progetto europeo’ unitamente ai valori di libertà, uguaglianza e solidarietà….perché ha detto, senza giri di parole, che voleva un’Austria “europeista” e che vuole difendere l’Unione europea.”.

In Olanda l’alternativa era meno secca perché si trattava di elezioni parlamentari e con un sistema elettorale largamente proporzionale. Ma la battaglia politica ha riprodotto uno schema analogo, l’alternativa tra Europa e Nazione, per di più in un contesto di affluenza alle urne da record (82%) ed ha registrato la vittoria di un centro-destra ‘europeo’ incarnato dal premier uscente Mark Rutte e la sconfitta dell’antieuropeo e nazionalista Gert Wilders, amico di Matteo Salvini e Marine Le Pen. La vittoria delle forze europeiste olandesi conferma dunque l’esito politico emerso in Austria, ma con l’aggiunta di un elemento nuovo. L’alternativa nel processo politico europeo non è più quella tra destra e sinistra, bensì tra coloro che vogliono restare dentro il corso sovrannazionale della storia e coloro che s’illudono di rialzare i vecchi steccati dello stato-nazionale. Lo dimostra la bruciante sconfitta dei laburisti (ancora fermi alla vecchia alternativa destra/sinistra) da una parte, e la forte avanzata dei progressisti (D66) e dei Verdi (entrambi su posizioni europeiste) dall’altra.

I popoli europei cominciano a capire di esser parte di un unico processo storico, quello del passaggio dalla dimensione nazionale della politica e della democrazia a quella europea. E che allora la prima scelta è se star dentro questo processo o uscirne. Questa scelta prescinde dalle considerazioni di tipo sociale o economico: in Olanda, come in altri Paesi del nord Europa ci sono forti movimenti populisti, malgrado la situazione economica sia abbastanza buona. La scelta avviene nel rapporto con l’Europa. È questa la discriminante, perché i popoli cominciano a comprendere che il loro destino è legato all’avanzamento o meno del processo di unificazione, capiscono di esser parte di un destino comune. E scelgono l’Europa. Come è già capitato in Grecia due anni fa: pur di star dentro l’euro hanno accettato i sacrifici economici.

Dunque, la scelta europea fa premio sulle condizioni socio-economiche perché mette in luce un elemento che le sovrasta: quello della sicurezza. In un mondo globalizzato gli Europei cominciano a scoprire di aver bisogno di sicurezza, politica innanzitutto, ma anche militare. Questi ‘beni pubblici’ può assicurarli l’Europa, non la Nazione. E comprendono anche che il bene pubblico ‘sicurezza’ è fondamentale per poter disporre di un altro bene pubblico europeo, che si chiama “sviluppo”. Senza sicurezza non ci può essere sviluppo. Sicurezza vuol dire anche un contesto politico-giuridico che facilita la propensione agli investimenti: legalità, certezza e trasparenza nelle regole, nel mercato del lavoro e via di seguito. L’Europa può garantire questi beni perché rappresenta il quadro politico in cui possono essere forniti con efficacia. Non più con la sola Nazione. I popoli cominciano a comprenderlo e respingono le sirene del populismo. Ma hanno bisogno di poter controllare – come Europei – questi beni pubblici, hanno bisogno di poter decidere come orientarli, verso quali fini. Hanno dunque bisogno della “democrazia”, di una democrazia europea.

Dunque: sicurezza, sviluppo, democrazia. Ma nell’unità europea. Riemerge e riprende forza, allora, l’antica linea di divisione tra progresso e conservazione, tracciata 75 anni fa a Ventotene, tra coloro che “concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale” e “quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale…”. I primi sono i sovranisti che “faranno, sia pur involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo, e risorgere le vecchie assurdità” I secondi sono “i progressisti, che sono tali perché vogliono creare un potere nuovo, cioè una sovranità e una democrazia sovrannazionale, un’autentica nuova rivoluzione, per portare ancor più avanti la frontiera della libertà, della democrazia e della giustizia sociale, per l’Europa e per il Mondo.

Fonte immagine Goodfreephotos

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