L’impatto del Covid-19 sui campi profughi

, di Giorgia Palladini

L'impatto del Covid-19 sui campi profughi

Sotto la spinta dell’emergenza sanitaria scatenata dalla pandemia globale per il Covid-19, le metropoli del mondo hanno – chi più chi meno rapidamente – proceduto al lockdown totale. Le strade si sono svuotate e le persone sono state incoraggiate a rimanere nelle loro abitazioni, con una conseguente modifica radicale di ritmi e stili di vita. In tale situazione di chiusura forzata, una nuova preoccupazione giunge tanto dai numerosi teatri di guerra e conflitti intestini nei vari paesi, quanto dai campi destinati a profughi e richiedenti asilo; luoghi che non sono ovviamente esenti dalla minaccia del virus e ai quali è necessario prestare la massima attenzione.

A tal proposito, il 27 marzo, il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha lanciato un appello affinché si procedesse ad un tempestivo cessate il fuoco globale al fine di contribuire al contenimento della pandemia e contrastarne per quanto possibile la diffusione nelle zone più fragili del mondo, dal momento che nei paesi in guerra i sistemi sanitari sono già al collasso e vi è una sostanziale carenza di personale medico e attrezzature sanitarie. Sorprendentemente, questa non è rimasta una esortazione inascoltata ed è stata recepita da molti paesi in conflitto come ad esempio lo Yemen – già devastato da una lunga guerra civile – la Siria, le Filippine ed il Camerun [1], che hanno proceduto ad attuare una tregua dalle ostilità.

A seguito di questi e altri conflitti l’UNHCR ha stimato che nel mondo vi sono oltre 70 milioni di persone costrette alla fuga, di queste quasi 26 milioni sono rifugiati, 41 milioni sono sfollati interni e 3,5 milioni sono richiedenti asilo [2]; di questi, i soggetti maggiormente vulnerabili sono le donne, i minori ed i feriti, risulta evidente dunque che i rifugiati rappresentano una delle fasce più vulnerabili per il rischio di contagio, tanto per le ardue condizioni di vita cui sono costretti, quanto per il difficile accesso a servizi sanitari e a strumenti di prevenzione.

In un comunicato congiunto UNHCR, IOM, OHCHR e OMS hanno evidenziato le estreme fragilità dei luoghi di accoglienza, i quali rappresentano, in questa situazione, una vera e propria bomba ad orologeria pronta ad esplodere, dal momento che forniscono le condizioni favorevoli per una rapida diffusione del virus. La situazione nei campi è infatti estremamente precaria, come si legge nel comunicato: «i tre quarti dei rifugiati di tutto il mondo e numerosi migranti sono accolti in regioni in via di sviluppo, in cui la capacità dei sistemi sanitari è già al collasso e necessita di ulteriori risorse» [3]. Negli insediamenti vi sono problemi di sovraffollamento, nella maggior parte dei casi non è presente un accesso diretto a fonti di acqua potabile, i sistemi igienici sono spesso assenti o insufficienti e vi è una importante mancanza di servizi e di personale sanitario. Se a queste condizioni, già gravi, dovesse aggiungersi una crescita di contagi da Covid-19 la situazione potrebbe essere irrecuperabile, determinando una crescita esponenziale delle persone contagiate e una conseguente crescita di decessi.

Inoltre, il documento si sofferma anche sullo stato dei migranti detenuti – ad esempio nei centri di detenzioni libici – in condizioni insalubri ed inumane; in tali ambienti la proliferazione del virus risulterebbe estremamente facilitata e porterebbe a conseguenze letali per ogni soggetto; viene dunque incoraggiato il rilascio immediato dei minori, con le famiglie, e dei prigionieri trattenuti su basi legali insufficienti.

Per poter far fronte all’emergenza sanitaria l’UNHCR ha lanciato la raccolta di 255 milioni di dollari al fine di implementare alcune misure indispensabili come: il rafforzamento delle strutture per erogare acqua e per la distribuzione di sapone; il sostegno ai governi per la prevenzione del contagio, ad esempio distribuendo forniture mediche; la distribuzione di beni di prima necessità; la fornitura di informazioni relative alle misure di prevenzione; e infine la promozione di controlli affinché i diritti delle persone rifugiate vengano rispettati.

Ad oggi l’UNHCR, unitamente ad altre agenzie internazionali, sta provvedendo sia alla dotazione sanitaria che alla messa in atto di strumenti di prevenzione per favorire – per quanto possibile – la limitazione dei contagi nei campi profughi del mondo.

Nei campi per rifugiati rohingya, in Bangladesh, sono stati attivati corsi per il personale sanitario che lavora nelle strutture, inoltre diversi rifugiati volontari collaborano per diffondere nella comunità l’importanza del rispetto delle misure di prevenzione; unitamente a ciò sono state adottate misure ulteriori per garantire a tutti l’accesso a sapone ed acqua, anche con l’installazione di punti per il lavaggio delle mani.

In Brasile è stata realizzata un’area di isolamento sull’isola di Boa Vista per trattare i contagiati, e inoltre sono stati distribuiti kit igienici alle popolazioni indigene.

Nei campi profughi di Zaatri e Azraq, in Giordania, l’accesso è autorizzato previo controllo della temperatura, ed inoltre sono state lanciate campagne di sensibilizzazione per la popolazione al fine di far rispettare le norme igieniche.

In Sudan è stato distribuito sapone, e anche qui è stata promossa una importante campagna di sensibilizzazione in diverse lingue.

Anche in Grecia c’è un impegno massiccio per garantire l’erogazione di acqua, aumentare la distribuzione di articoli per l’igiene, allestire ambienti per l’isolamento e la messa in quarantena. L’organizzazione, inoltre, denuncia da tempo il sovraffollamento e le conseguenti inumane condizioni di vita dei campi nelle isole greche – Lesbo in primis – dove vivono almeno 35 mila persone in strutture che possono accoglierne meno di 6 mila, richiedendo a gran voce un pronto trasferimento dei richiedenti asilo.

Una situazione particolarmente preoccupante è quella della Repubblica Democratica del Congo, già dilaniata dalla guerra civile e da epidemie di Ebola e morbillo. Nei campi per rifugiati sono stati installati punti per il lavaggio delle mani e la distribuzione del sapone, inoltre viene fatto un uso fitto dei mezzi di comunicazione per sensibilizzare l’opinione pubblica. Tuttavia, rimane il fatto che nella RDC il personale medico è carente e in molti luoghi non è presente né un accesso a fonti di acqua puliti né a servizi igienici; inoltre le bande armate continuano a distruggere i centri sanitari, aggravando ulteriormente la situazione complessiva che, con un aumento di contagi da Covid-19, potrebbe presto divenire insostenibile ed avere effetti devastanti sulla popolazione. In Nigeria sono stati registrati 131 casi di contagio, l’attenzione è altissima soprattutto nei campi profughi situati nel nord-est della regione che ospitano sfollati interni. Anche qui, l’ONU e altre organizzazioni hanno provveduto a installare punti per lavarsi le mani, si sta distribuendo sapone e contemporaneamente viene insegnato alle donne come produrne in modo autonomo. Sono inoltre stati sviluppati messaggi per la sensibilizzazione e la prevenzione diffusi tramite video, poster e volantini; e sono stati introdotti controlli serrati per l’individuazione dei sintomi. Ciò che mette in difficoltà gli operatori – anche a causa degli spazi ridotti – sono però i continui arrivi di migranti che non diminuiscono nonostante le restrizioni, e impongono una quarantena di due settimane per chiunque arrivi nei campi.

In Libia troviamo un’ulteriore situazione di difficoltà: sul territorio sono stati registrati 13 casi di contagio e un decesso; nei campi gli sfollati, i rifugiati e i richiedenti asilo vivono in condizioni di sovraffollamento e scarse condizioni igieniche; e a ciò si aggiunge che il conflitto prolungato ha determinato una netta riduzione delle capacità del sistema sanitario libico di far fronte alla pandemia, dal momento che tanto i farmaci quanto le attrezzature mediche sono estremamente carenti. L’UNHCR sta fornendo attrezzature mediche e cliniche da campo al fine di rispondere adeguatamente all’emergenza, inoltre sono state avviate campagne di sensibilizzazione tramite i social media al fine di diffondere consapevolezza dei rischi e delle buone pratiche per evitare l’ampliarsi dei contagi.

A conti fatti, ciò che gli organismi internazionali sperano, e ciò che sarebbe largamente auspicabile, è la realizzazione di un approccio congiunto basato su pratiche inclusive che miri a salvaguardare la salute di tutti, limitando al contempo i rischi di contagio. Sarebbe dunque funzionale istituire luoghi ad hoc per le quarantene, e parallelamente potenziare i controlli sanitari, di cui vi è un disperato bisogno, per questo sono stati lanciati appelli per lo stanziamento di fondi destinati a quei paesi che, come abbiamo visto, necessitano di un aiuto rapido ed importante.

Nello scenario attuale, la situazione di crisi sanitaria che potenze quali gli Stati Uniti, la Cina e l’Europa stanno affrontando rischia, nei contesti più deboli, di mettere in ginocchio l’intera rete di accoglienza su cui milioni di persone fanno affidamento. Le carenze igienico-sanitarie, di personale, di spazi, e soprattutto la mancanza di consapevolezza riguardo alla prevenzione del Covid-19 potrebbero, se non affrontate in modo celere ed adeguato, tradursi in un’emergenza sanitaria di vastissima portata che colpirebbe di rimando tutti gli altri paesi. Un approccio che consenta l’inclusione di tutti e una univoca linea di azione, dunque, sembrerebbero essere la sola risposta valida, alla cui implementazione dovrebbero partecipare attivamente tutti gli Sati, al fine di non lasciare indietro nessuno nel contrasto alla pandemia.

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Note

[1Franco Rasero, Pace mondiale contro il Coronavirus: l’utopia sta diventando realtà. Ostilità sospese in Siria, Yemen, Camerun e Filippine, “Ehabitat”, 27 marzo 2020 (https://www.ehabitat.it/2020/03/27/pace-mondiale-contro-il-coronavirus/).

[2United Nations High Commissioner for Refugees, Statistiche (https://www.unhcr.it/risorse/statistiche).

[3United Nations High Commissioner for Refugees, La risposta al COVID-19 deve proteggere i diritti e la salute di rifugiati, migranti e apolidi, 1 aprile 2020 (https://www.unhcr.it/news/la-risposta-al-covid-19-deve-proteggere-i-diritti-e-la-salute-di-rifugiati-migranti-e-apolidi.html).

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