L’Europa è più forte per colpa di Trump

, di Cesare Ceccato

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L'Europa è più forte per colpa di Trump

Alle recenti elezioni statunitensi, il candidato democratico Joe Biden ha sconfitto il Presidente in carica Donald Trump. Il populista newyorchese si vede quindi costretto a lasciare la Casa Bianca dopo quattro anni di politiche di chiusura verso l’estero che, paradossalmente, hanno portato forza e maturità all’Unione europea.

Joe Biden è stato eletto nuovo Presidente degli Stati Uniti. Un po’ a sorpresa, l’ex Senatore del Delaware, insieme a Kamala Harris, ha convinto i cittadini americani a interrompere l’era Trump dopo un unico mandato. La notizia è stata accolta con favore da gran parte dei leader europei, tra i primi a commentare, Ursula von der Leyen, Angela Merkel ed Emmanuel Macron che, congratulandosi con il neopresidente, gli hanno subito fatto presente le battaglie globali da combattere “fianco a fianco”, Paolo Gentiloni che, in modo leggermente meno imparziale, ha dichiarato a Twitter di starsi “abbracciando da solo” e David Sassoli, secondo cui ora può tornare l’asse America-Europa. Sì, perché negli ultimi quattro anni, la politica estera di Trump e quella dell’Unione europea, a causa delle forti differenze ideologiche, sono andate quasi sempre a cozzare. Ma se da un lato, l’estremo isolazionismo e la diffidenza verso le istituzioni internazionali del Tycoon hanno lanciato in orbita i partiti sovranisti nostrani (Lega, Fratelli d’Italia, Alternative für Deutschland, Rassemblement National, Vox e PiS), dall’altro, ha insegnato all’Unione europea a camminare con le proprie gambe.

Quando, a inizio 2017, Donald Trump si insediò alla Casa Bianca, le domande su come sarebbe stata la sua presidenza erano tante. D’altronde, la campagna elettorale, come è accaduto spesso nelle importanti elezioni che hanno caratterizzato gli ultimi vent’anni, si focalizzò molto più sullo screditare l’avversario che sull’effettiva politica proposta dai candidati, con l’aggravante dell’estremo populismo messo in scena dal repubblicano che parlava di un muro con il Messico, di bandire l’ingresso negli States ai musulmani e di chiudere l’accesso a internet in certe zone del Paese. Come avrebbe gestito la politica estera? Quali questioni avrebbe posto come di importanza dominante? Avrebbe cambiato le relazioni con i Paesi alleati? E come si sarebbe comportato con la Russia, la Cina e i Paesi arabi? In Europa si tremava, la crisi finanziaria era ancora una ferita aperta e due nuove sfide si stavano sempre di più accentuando, il flusso migratorio proveniente dal Nord Africa, dove la cosiddetta Primavera Araba non aveva dato gli esiti sperati, e la minaccia del terrorismo, che era tornato a fare capolino nel vecchio continente con attacchi coordinati che non si vedevano da almeno dieci anni; la speranza era quella di contare in un aiuto da oltre oceano.

Nei primi giorni di presidenza, Trump fece subito intuire la sua sfiducia verso le comunità tra Stati ritirando l’adesione americana al Partenariato Trans-Pacifico, progetto finalizzato a promuovere innovazione e sviluppo in una schiera di Paesi dell’area Asio-Oceanica, dichiarando di preferire agire per via di accordi bilaterali. Ulteriore strappo con l’estero avvenne al G7 di Taormina di maggio 2017, concentrato su lotta al terrorismo, innovazione tecnologica ed emergenza climatica, sentita in Europa al punto che in quei mesi furono organizzate grandi manifestazioni sotto il nome di #All4theGreen anticipando di più di un anno la nascita del Fridays for Future, Trump quasi non intervenne, solo una volta tornato a Washington D.C. voltò la faccia al mondo intero annunciando il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi sulla riduzione dell’emissione di gas serra. Il colpo di grazia sulla non cooperazione del Paese a stelle e strisce con il resto del globo avvenne a ottobre 2017, quando annunciò l’uscita degli Stati Uniti dall’UNESCO.

Se le politiche adottate fecero storcere il naso, lo stesso effetto produsse il modo di fare politica del miliardario newyorchese, arrogante e per nulla diplomatico, proprio come in campagna elettorale, ai dubbi sollevati dall’Unione europea, rispose con la minaccia di iniziare una nuova guerra commerciale. Tra la Casa Bianca e Bruxelles non c’era solo un’incompatibilità pratica, ma anche “filosofica”. Ovviamente, rompere del tutto i rapporti con il più grande Paese al mondo, nonché più vecchio alleato europeo, sarebbe stata pura follia, ma la collaborazione fu costretta ad allentarsi e ciò portò all’inatteso risultato citato in precedenza: la maturità dell’Europa.

Per via della sua struttura, della sua storia e della pluralità di Nazioni rappresentate, l’Unione europea non può essere definita una solida concorrente al “Gioco dei Troni” a cui da decenni partecipano Stati Uniti, Cina e Russia, ma non si può negare che negli ultimi anni, sebbene ostacolata da diversi fattori tra cui la contrarietà di alcuni suoi Stati membri, Gruppo di Visegrad in primis, si sia innegabilmente comportata da potenza. Già non sono cose di poco conto l’avvio della PESCO, il progetto per rendersi climaticamente neutra entro il 2050 e il programma di rafforzamento digitale, ma il punto che più di tutti può far comprendere quanto l’Unione abbia iniziato a emanciparsi è il modo, sempre diplomatico ma diretto e senza timore, con cui oggi si esprime per mezzo delle sue istituzioni, ad esempio nel confronto con Trump davanti alla sua minaccia di imporre dei dazi all’Europa, o nella collaborazione con la NATO, difendendo sempre i suoi valori e i suoi principi quando messi in discussione. E ancora, non si può non parlare della risposta energica di Bruxelles alla pandemia che ha colpito il mondo in questo 2020, seria e previdente già da gennaio, quando si verificò in Francia il primo caso europeo. Fino a oggi, non è passata una settimana senza che l’Europa sia intervenuta con stanziamenti di risorse, sostegni ai vari settori lavorativi, finanziamenti alla ricerca per un vaccino e aiuti umanitari economici e non. Va comunque detto che la solidarietà in questo contesto è stata globale, impossibile dimenticare come Cuba, non certo uno degli Stati più ricchi al mondo, sia stato tra i primi Paesi a inviare i propri medici oltre confine per dare una mano ad altri sistemi sanitari. Tutt’altra cosa si può dire degli Stati Uniti che hanno prima etichettato il virus come un “problema cinese”, sottovalutandolo, poi sono entrati nel caos, complice anche il rapporto non sempre sereno tra il Presidente Trump e l’immunologo a capo della task force statunitense per la gestione dell’emergenza Anthony Fauci. Tra informazioni talvolta superficiali, talvolta completamente false, disordini, lo strappo con l’Organizzazione mondiale della sanità e un po’ di immancabile populismo, il diktat della Casa Bianca (fortunatamente) non è stato seguito da nessun altro Paese, e, forse, ha inciso più di quanto prospettato sull’esito delle elezioni.

Con Joe Biden alla scrivania della Sala Ovale, è ipotizzabile che gli Stati Uniti riprendano il percorso iniziato da Barack Obama, di cui Biden era vicepresidente, e quindi un rapporto amichevole e stabile con l’Europa, cosa ottima per il futuro. Grazie a una più facile collaborazione transoceanica, essere autosufficienti e leader nelle sfide globali non sarà più necessario, tuttavia, se l’Europa vuole assumere un ruolo da protagonista nel panorama geopolitico, è bene che il coraggio e la responsabilità messi in mostra negli ultimi quattro anni non vengano meno. L’Unione europea non deve dimenticare ciò che Trump, pur non volendo, le ha insegnato, di poter essere forte e indipendente.

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