Se per gioco dovessimo chiedere di associare delle competenze all’Unione europea, a quanti verrebbe in mente il settore dello sport? Sicuramente a pochi, eppure proprio il settore dello sport e le sue regolamentazioni ricadono fra le competenze UE. La scarsa conoscenza del ruolo dell’UE in questo settore può essere spiegata almeno in parte dal fatto che le responsabilità europee in materia sportiva sono state acquisite solo nel 2009.
Infatti, è solo con il Trattato di Lisbona che viene introdotto un nuovo piano d’azione dell’Unione europea che, diversamente dai Trattati precedenti, prevede al suo interno anche le competenze giuridiche riguardanti la regolarizzazione dello sport. Una delle prime iniziative globali previste dall’Unione in tale ambito è il “Libro Bianco sullo Sport”, tra i cui obiettivi possiamo citare: il rafforzamento del ruolo sociale dello sport, la promozione della salute pubblica attraverso l’attività fisica, il rilancio delle attività di volontariato, il potenziamento della dimensione economica dello sport, la libera circolazione dei giocatori, la lotta contro il doping, la corruzione e il riciclaggio di denaro e il controllo dei diritti dei media.
Tra i diversi obiettivi del Libro Bianco sullo Sport risulta centrale la tematica della lotta contro il doping. La motivazione predominante nell’utilizzo di sostanze proibite nell’ambito sportivo è legata al desiderio di migliorare le proprie prestazioni, ma c’è di più. Diversi studi indicano che coloro che ricorrono a tali sostanze hanno anche altre ragioni, queste spaziano dalle considerazioni estetiche, al rafforzamento della fiducia in sé stessi, sino all’esperienza di euforia derivante dall’utilizzo di sostanze vietate. Pertanto, il problema del doping nel contesto sportivo dovrebbe essere compreso e affrontato di conseguenza. Le sostanze dopanti vengono percepite dai consumatori come una pozione magica che in un battibaleno favorisce prestazioni al di sopra delle proprie possibilità. Le ragioni più evidenti che ne motivano l’illegalità sono gli effetti avversi sulla salute nel breve o nel lungo termine come malattie cardiovascolari e patologie all’apparato riproduttivo, ma soprattutto la compromissione dei principi di lealtà sportiva e di fair play sui i quali si basa la competizione sportiva.
La Convenzione di Strasburgo del 1989 rappresenta lo strumento principe del diritto internazionale pubblico che ha contribuito alla formulazione delle politiche nazionali contro il doping e alla promozione della cooperazione tra i governi. Tramite la suddetta convenzione, il Comitato dell’Unione europea ha manifestato un interesse attivo nel rispondere adeguatamente alla problematica del doping, invitando in maniera diretta gli Stati membri ad adottare adeguate disposizioni per limitare la presenza e monitorarne l’uso, la circolazione, il possesso, l’importazione, la distribuzione e la commercializzazione di agenti e metodi illeciti per migliorare le prestazioni degli atleti in contesto sportivo. Questo impegno avviene in stretta collaborazione con le organizzazioni sportive (come CIO, UEFA, agenzie antidoping nazionali e internazionali) con l’obiettivo di condurre campagne educative e informative.
Durante la prima Conferenza mondiale sul doping nello sport, svoltasi nel 1999, viene adottata la Dichiarazione di Losanna e vede la partecipazione di rappresentanti governativi, di organizzazioni non governative, del CIO, delle federazioni sportive internazionali, nonché di diversi atleti. Nella Dichiarazione di Losanna si sostiene che l’uso di sostanze dopanti violi i principi etici e medici dello sport, comprometta l’integrità delle competizioni e costituisca una trasgressione alle regole stabilite dal Comitato Olimpico, mettendo in pericolo la salute degli atleti. In tale sede, si è assistito alla creazione del Codice mondiale antidoping come base comune per la lotta al doping, ed è stata istituita l’Agenzia Mondiale Antidoping detta anche WADA (World Anti-Doping Agency), organismo indipendente dal CIO. A livello internazionale, è stato stabilito che ciascun paese dovesse istituire la propria organizzazione nazionale antidoping.
L’agenzia mondiale antidoping prevede diverse sanzioni in caso di positività di un atleta: avvertimento, sospensione temporanea o permanente, sanzioni amministrative o pecuniarie. Le linee guida previste dalla WADA attraverso il Codice Sportivo Antidoping prevedono che le situazioni che conducono alla penalizzazione di un atleta variano da un periodo di inattività non minore a 12 mesi e possono estendersi fino a quattro cicli stagionali. Nel caso di positività dell’atleta, la WADA presenta la documentazione delle proprie indagini alla commissione medica del CIO e alla federazione internazionale pertinente, la quale si occupa di infliggere la sanzione. I termini di squalifica variano se il farmaco sia stato assunto in maniera volontaria oppure involontaria.
Il Libro Bianco sullo Sport della Commissione europea mira quindi a delineare la direzione strategica riguardante il ruolo dello sport in ambito europeo, attribuendogli il riconoscimento di fenomeno sociale ed economico di rilevanza che apporta un sostanziale contributo agli obiettivi strategici di solidarietà e prosperità promossi dall’Unione europea. Attraverso di esso la Commissione europea ha suggerito un approccio più efficacemente coordinato nella battaglia contro l’uso di sostanze dopanti, specialmente attraverso la definizione di posizioni comuni in collaborazione con il Consiglio d’Europa (Convenzione di Strasburgo contro il doping), la WADA (Agenzia Mondiale Antidoping) e l’UNESCO (Carta internazionale per l’educazione fisica, l’attività fisica e lo sport), nonché tramite lo scambio di informazioni e buone prassi tra le autorità governative, le organizzazioni antidoping e i laboratori nazionali.
Il piano operativo iniziale dell’Unione Europea per le attività sportive, approvato il 20 maggio 2011, ha identificato la lotta contro l’uso di sostanze dopanti come una delle questioni di massima importanza e ha costituito un comitato di specialisti dedicato alla lotta antidoping. Inoltre, l’UE ha rivolto l’invito agli Stati membri affinché promuovano e partecipino all’ideazione di programmi educativi, iniziative informative e altre azioni preventive relative all’uso di sostanze dopanti. Tali programmi necessitano di essere implementati attraverso il coinvolgimento del mondo sportivo, del settore del fitness, del sistema educativo e del campo sanitario.
A tal proposito, la recente vicenda giudiziaria di Paul Pogba mette in luce l’efficace collaborazione dell’Unione Europea con organizzazioni internazionali come WADA e CIO nello sforzo di combattere il fenomeno del doping. Negli ultimi mesi le maggiori testate giornalistiche sportive hanno dato grande risalto al caso del calciatore. Il centrocampista, al controllo antidoping lo scorso 20 agosto dopo Udinese-Juventus, fu trovato positivo al testosterone. La sentenza su tale caso verrà emessa dal Tribunale Nazionale Antidoping, nel rispetto delle regole previste dall’UE.
L’immensa popolarità del calcio, in Europa e nel mondo, oltre alla legacy individuale del calciatore lo collocano in una posizione particolare; tuttavia, nonostante la sua celebrità e la pletora di ammiratori (soprattutto tra i più giovani), non sarà facile superare indenne questo procedimento disciplinare.
Per un continuo trionfo di tale battaglia i suddetti partenariati tra organizzazioni sportive e federazioni potrebbero considerare l’implementazione di nuove tecnologie e approcci innovativi per identificare e prevenire il fenomeno del doping.
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