Il cognome alla nascita? La Corte Costituzionale spiega che d’ora in avanti «la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due». In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori resta valido l’intervento del giudice, in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico.
Sono dunque illegittime tutte le norme che attribuiscono automaticamente il cognome del padre, ma anche la norma che non consentiva ai genitori di attribuire ai figli il solo cognome della madre, pur essendo entrambi d’accordo a riguardo, oppure il doppio cognome.
Se non si sceglie il cognome dei due genitori, vengono inseriti in automatico entrambi i cognomi: così facendo decade il meccanismo patriarcale che fino a ora ha sorretto l’automatizzazione del cognome paterno.
Se la scelta ricade sul doppio cognome, per evitare la moltiplicazione dei doppi cognomi con la generazione che verrà dopo questo provvedimento, dalla seconda generazione in avanti verrà trasmetto solo uno dei due cognomi.
Tale sentenza si applica a tutti i figli nati da coppie sposate o solo conviventi, e anche ai figli adottivi. L’attuale sentenza della Corte Costituzionale non può ancora essere concretizzata nell’immediato. Il solo modo per poterla rendere attuativa è una legge. È tuttavia sufficiente anche una normativa secondaria di attuazione, come ad esempio una circolare del Ministero degli Interni.
In tutto questo, la notizia davvero rilevante è che sarà possibile attribuire anche il solo cognome materno, evento che non ha precedenti in Italia (se si escludono i casi in cui il padre non riconosce la paternità, rendendo così automatico che il figlio prenda il cognome della madre).
Nel 2016, in una sentenza della Corte Costituzionale, i giudici costituzionali avevano già definito “illegittima” l’automatizzazione del cognome paterno, «discriminatoria nei confronti della donna e anche lesiva della dignità dei figli», e definendo “indifferibile”, ovvero tassativo, l’intervento del Parlamento per «disciplinare organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di parità». La (ri)attribuzione del cognome ai figli rappresenta di fatto una delle più importanti pronunce a favore dell’uguaglianza di genere.
Sempre la Corte Costituzionale aveva stabilito che era possibile attribuire ai propri figli il doppio cognome. La differenza con la sentenza di adesso è che allora questo non era automatico e, in caso di disaccordo fra i genitori, veniva dato comunque solo il cognome paterno.
Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si era già espressa a proposito nel 2014, definendo appunto «la preclusione all’assegnazione al figlio del solo cognome materno una forma di discriminazione basata sul sesso, che viola il principio di uguaglianza tra uomo e donna», col preciso scopo di porre fine a questo automatismo legale, ma nessuno dei successivi governi ha preso in mano la questione e legiferato in proposito.
Dal 2017 in Italia era già possibile affiancare il cognome della madre a quello del padre, ma sempre e solo per secondo.
Dopo il 2018, in Parlamento sono stati depositati 11 proposte di legge, che contenevano suggerimenti quasi identici, e in linea generale ricalcavano il testo approvato dalla Camera nel 2014 (frutto dell’unione di più testi, che chiedevano di superare l’assegnazione automatica del cognome paterno alla prole). La proposta era di inserire un nuovo articolo nel Codice civile (art. 143-quater), in base al quale i genitori coniugati potessero attribuire al figlio solo il cognome del padre o solo quello della madre o entrambi, nell’ordine concordato, e se la coppia di genitori avesse avuto altri figli, a questi avrebbe dovuto essere dato lo stesso cognome scelto per il primo figlio.
Quello del cognome paterno è un automatismo così radicato nella cultura italiana che per alcuni il solo pensiero di mutarlo o anche solo metterlo in discussione è quanto di più disdicevole e scongiurabile possa esserci, una vera e propria minaccia per l’integrità del futuro del Paese.
Fabio Rampelli ad esempio, vicepresidente della Camera, sostiene che «conferire il cognome del padre per il figlio è per la donna garanzia di riconoscimento di diritti, compresi quelli legati all’eredità, quindi garanzie patrimoniali». Dunque non possono esistere altri modi per le madri italiane di vedersi garantiti diritti legati al patrimonio e alla maternità, senza che si debba sempre ricorrere al cognome paterno come baluardo per tutti i diritti familiari?
C’è il timore che questa sentenza scateni una guerra tra uomini e donne, tra padri e madri. Quest’ultima asserzione non fa altro che confermare come l’attribuzione automatica del cognome paterno abbia da sempre rappresentato il fondamento della società italiana così come l’abbiamo sempre conosciuta: una società in cui appunto l’identità e il ruolo sociale di un individuo passavano (e passano tutt’ora) attraverso il dato biologico, e che i diritti di un cittadino erano garantiti solo dal benestare del cognome paterno.
E ancora, l’idea che questa sentenza “indebolirebbe” l’istituto familiare così come lo conosciamo. Ciò che forse accadrebbe sarebbe, invece, dissipare una volta per tutte l’effimera idealizzazione di una famiglia possibile solo con l’unione di un uomo e una donna etero cisgender, in cui il padre ne legittima i diritti, vi attribuisce il nome, e ne detiene il possesso, e la donna mantiene il solo ruolo generativo ed educativo dei figli, quando la realtà ci insegna che può esistere (e che anzi esiste già) un ventaglio di possibilità, che invece di essere incoraggiato si tenta di abbattere. Giusto per non dimenticare che nonostante l’inesistenza di divieti che impediscano le unioni civili tra persone dello stesso sesso, l’omogenitorialità e il rapporto tra la prole e il genitore non consanguineo non sono (ancora) specificamente regolamentate dalla legislazione italiana.
Cosa succede nel resto d’Europa?
In Spagna, la normativa sul cognome dei figli è contenuta nell’art. 109 del Codice civile, modificato dalla legge n. 40 del 1999. È risaputo che in Spagna vige la regola del “doppio cognome”, per cui ogni individuo porta il primo cognome di entrambi i genitori, nell’ordine deciso in accordo tra di essi. In caso di disaccordo, al figlio è attribuito il primo cognome del padre, insieme al primo cognome della madre. Una volta maggiorenne, si può proporre istanza per invertire l’ordine dei cognomi.
Per quanto riguarda i figli naturali, se il figlio è riconosciuto da entrambi i genitori, assume il primo elemento del cognome paterno e di quello materno. Se è riconosciuto da un solo genitore, assume i due cognomi di questo. Analogamente avviene per i figli adottati, che assumono i due cognomi dei genitori in caso di adozione da parte di entrambi, mentre assume i due cognomi del genitore adottante, nel caso di adozione da parte di una sola persona.
Disposizioni di dettaglio sono contenute negli artt. 53-56 della legge sul Registro civile del 1957.
In Francia, la disciplina che regola l’attribuzione del cognome di famiglia ai figli è stata modificata progressivamente a partire dal 2002 (legge n. 2002-304 relative “au nom de famille”), attraverso una riforma ancora in fase di attuazione. L’attribuzione non è più collegata allo stato matrimoniale dei genitori (fino al 1° settembre 2003 si trasmetteva il nome del padre per i figli legittimi), ma al fatto che la filiazione è riconosciuta simultaneamente o successivamente alla nascita (art. 311-21 del Codice civile francese). La nuova disciplina attualmente in vigore si applica integralmente ai figli primogeniti e ai successivi figli cadetti nati dopo il 1° gennaio 2005. Nella trasmissione del cognome non esiste più distinzione tra la madre o il padre e il figlio può ricevere il cognome di uno o dell’altro genitore o entrambi i cognomi affiancati.
In caso di riconoscimento simultaneo del figlio, l’attribuzione viene decisa di comune accordo dai genitori che possono scegliere il cognome di uno o dell’altro o entrambi i nomi affiancati secondo l’ordine di loro scelta (per un massimo di un cognome per genitore). I genitori devono presentare una dichiarazione congiunta davanti all’ufficiale di stato civile. In assenza di una dichiarazione congiunta il bambino prende il cognome del padre. La scelta del cognome da parte dei genitori, operata per il figlio primogenito, può essere fatta una sola volta, è irrevocabile e si estende ai figli cadetti della coppia.
In caso di riconoscimento successivo alla nascita del figlio, il bambino prende il cognome del genitore che lo riconosce per primo. I genitori possono domandare, con una dichiarazione congiunta davanti al Cancelliere capo del Tribunale di prima istanza competente per territorio, che il bambino porti (in sostituzione di quello inizialmente attribuito) il cognome dell’altro genitore o i cognomi affiancati di entrambi, nell’ordine da loro stessi scelto. Le nuove regole si applicano, per i nati dopo il 1° gennaio 2005, anche ai figli adottati, assimilati ai figli legittimi, nel caso di adozione da parte di entrambi i coniugi.
In Germania, la disciplina riguardante l’attribuzione del cognome ai figli è contenuta negli artt. 1616-1618 del Codice civile tedesco. La legge non distingue tra i figli nati nel matrimonio e i figli nati fuori del matrimonio. I coniugi possono mantenere il proprio cognome o decidere quale cognome coniugale adottare e assegnare alla prole. Il cognome coniugale può comunque essere preceduto o seguito dal proprio. Se i genitori non portano alcun cognome coniugale e la potestà spetta a entrambi congiuntamente, ai figli viene assegnato il cognome del padre o della madre su intesa dei genitori. La dichiarazione avviene davanti all’ufficiale dello stato civile. Se i genitori non prendono alcuna determinazione entro un mese dalla nascita del figlio, il tribunale della famiglia richiederà a uno dei genitori di scegliere il cognome del bambino. Il tribunale può stabilire un termine entro il quale il genitore può esercitare il suo diritto di determinazione. Se alla scadenza del termine tale scelta non è stata effettuata, il figlio riceve il cognome del genitore cui era stato trasferito il diritto di determinazione (1617). Se i genitori non portano alcun cognome coniugale e la potestà genitoriale spetta a un solo genitore, il figlio riceve il cognome che porta tale genitore al momento della nascita del figlio (1617a).
In conclusione?
Il dibattito sull’attribuzione del doppio cognome o del cognome materno in Italia non aveva dunque avuto successo in Parlamento, ma ha trovato il suo spazio solo presso un tribunale, nonostante i giudici abbiano specificato che sarà poi compito del Parlamento stesso regolare tutti gli aspetti.
Ancora una volta la Corte è arrivata prima del Parlamento, o meglio, ha saputo concretizzare prima. Laddove ormai sono i magistrati e i giudici a mettere in atto le sentenze e a smuovere le acque torbide nelle quali sguazzano burocrazia e moralità; i parlamentari si limitano a un vivace opinionismo che non conduce da nessuna parte, se non all’interminabile propaganda che pare giustificare ogni loro dichiarazione.
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