Introduttori degli ordini nuovi

, di Antonio Longo

Introduttori degli ordini nuovi

Ed esaminando le azioni, e vita loro, non si vedrà che quelli avessino altro dalla fortuna, che l’occasione, la quale dette loro materia di potervi introdurre quella forma che a lor parse; e senza quella occasione la virtù dell’animo loro si saria spenta, e senza quella virtù l’occasione sarebbe venuta invano (...).

E debbesi considerare come non è cosa più difficile a trattare, nè più dubbia a riuscire, nè più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. Perchè l’introduttore ha per nimici tutti coloro che degli ordini vecchi fanno bene; e tepidi difensori tutti quelli che degli ordini nuovi farebbono bene; la qual tepidezza nasce, parte per paura degli avversari, che hanno le leggi in beneficio loro, parte dalla incredulità degli uomini, i quali non credono in verità le cose nuove, se non ne veggono nata esperienza ferma. Donde nasce che qualunque volta quelli che sono nimici, hanno occasione di assaltare, lo fanno parzialmente, e quelli altri difendono tepidamente, in modo che insieme con loro si periclita. È necessario pertanto, volendo discorrere bene questa parte, esaminare se questi innovatori stanno per lor medesimi, o se dipendano da altri; cioè, se per condurre l’opera loro bisogna che preghino, ovvero possono forzare. Nel primo caso capitano sempre male, e non conducono cosa alcuna; ma quando dipendono da loro proprii, e possono forzare, allora è che rade volte periclitano. Di qui nacque che tutti li Profeti armati vinsono, e li disarmati rovinarono.

Nel Capitolo VI de Il Principe Nicolò Machiavelli indica quei grandi personaggi della storia impegnati a fondare un nuovo ordine (Mosé, Ciro, Teseo, Romolo…) e individua nella loro azione il combinarsi dei due elementi che ne determinarono il successo: l’occasione e la virtù. Essi devono incrociarsi in un dato momento politico: sfruttare l’occasione è possibile se c’è la capacità di coglierla (virtù), così come, a sua volta, senza la virtù l’occasione passerebbe invano e non si determinerebbe alcun risultato positivo. Così, dice Machiavelli, Mosé poté convincere il popolo di Israele a seguirlo grazie al fatto che questo era “stiavo et oppresso dalli Egizii”. Allo stesso modo, possiamo dire oggi che la caduta del Muro di Berlino fu l’occasione che la virtù di Kohl seppe cogliere per far nascere l’euro.

Questo Capitolo fu tanto caro a Spinelli, che vide nella combinazione di ‘occasione’ e ‘virtù’ una prima lezione cui informare la sua azione politica (basti pensare all’iniziativa condotta nei primi anni ’50 attorno alla questione della difesa europea).

Ma il Capitolo contiene anche una seconda lezione, assai significativa, che caratterizza il processo di unificazione europea, che presenta sia elementi di continuità (come una costruzione che procede per passi successivi) sia di discontinuità, allorché emerge un problema che determina una crisi dell’assetto politico esistente e richiede l’introduzione di nuove istituzioni e poteri per governare il processo e risolvere la crisi.

È proprio nei momenti in cui si cerca di operare questo passaggio, dal vecchio al nuovo ordine, che si manifesta ciò che dice Machiavelli e cioè che la cosa più difficile in politica è proprio “farsi capo ad introdurre nuovi ordini perché l’introduttore ha per nimici tutti coloro che degli ordini vecchi fanno bene; e tepidi difensori tutti quelli che degli ordini nuovi farebbono bene”.

Infatti, i difensori del vecchio ordine hanno, dalla loro parte, sia il potere costituito - con le sue leggi, la sua forza di condizionamento sul comportamento delle persone - sia un fattore psicologico potentissimo: cioè, il fatto che si è portati a credere in una cosa solo quando la vede affermarsi compiutamente («l’incredulità degli uomini, i quali non credono in verità le cose nuove, se non ne veggono nata esperienza ferma»).

Succede così che i ‘conservatori’ difendono strenuamente, partigianamente (parzialmente) il vecchio ordine perché lo conoscono bene, da sempre lo utilizzano («le forze reazionarie hanno uomini e quadri abili ed educati al comando»), è la base del loro consenso politico e sanno utilizzare tutto l’armamentario a loro disposizione («nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati, si proclameranno amanti della libertà, della pace, del benessere generale, delle classi più povere») fino a quello più sottile e potente: il sentimento patriottico prima, il nazionalismo poi («Il punto sul quale cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale. Potranno far presa sul sentimento popolare più diffuso ... più facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento patriottico»). Queste ultime citazioni sono tratte dal Manifesto e mostrano la perfetta continuità di pensiero sul tema della natura del potere tra il grande fiorentino e gli uomini di Ventotene.

All’opposto, gli ‘innovatori’, cioè coloro che invece trarrebbero vantaggio dal nuovo ordine, sono tiepidi difensori, un po’ perché hanno paura degli avversari (che hanno le leggi dalla propria parte), ma anche perchè non sono certi che il nuovo ordine possa realizzarsi e sono quindi dubbiosi e timorosi. Essi possono vincere solo ad una condizione, se cioè possono contare sulle proprie forze, non su quelle degli altri («se stanno per lor medesimi, o se dipendano da altri; cioè, se per condurre l’opera loro bisogna che preghino, ovvero possono forzare»). Se devono ‘pregare’ sono destinati alla sconfitta, se possono ‘forzare’ allora è che rade volte periclitano. Così, anche oggi, si può dire che :«tutti li Profeti armati vinsono, e li disarmati rovinarono».

Come sottolineò Mario Albertini, “Il lettore noterà come ogni parola di questo testo dia un volto preciso a tutto ciò che è in gioco nel problema europeo: condotta dei politici, condotta delle forze sociali, peso delle istituzioni.” (1)

Negli ultimi anni abbiamo avuto esempi concreti in cui, sul tema dell’unificazione europea, si è manifestato lo scontro tra gli strenui difensori del vecchio ordine nazionale ed i “tepidi difensori” del nuovo ordine europeo. All’epoca del referendum francese sulla Costituzione europea (2005) chi si opponeva lo faceva con passione, utilizzando gli strumenti e le argomentazioni tipiche sia della ‘destra’ (la nazione come quadro esclusivo della vita politica, la sovranità e la democrazia come fatti solo nazionali) sia della ‘sinistra’ (la democrazia coincide con la République, la globalizzazione e l’Europa portano via il lavoro e riducono le tutele sociali). Al contrario gli “europeisti” erano timidi difensori della Costituzione. Anziché battersi per l’idea-forza che sarebbe nato, tra gli Europei, un legame non più solo economico, ma anche “costituzionale” (cosa che avrebbe consentito di battersi subito dopo per nuovi progetti), andavano dicendo che la Costituzione era poca cosa, che non faceva paura, che non si poteva far di più e che bisognava accontentarsi. Con simili “tepidi difensori” non si poteva che perdere.

Allo stesso modo oggi vediamo le forze politiche che si professano europeiste balbettare qualcosa “di Europa”, nascondersi per paura di fronteggiare i nazionalisti, dire che sono per l’unità, ma questa Europa sarebbe da cambiare, senza però dire come e soprattutto senza dire che sono stati loro a farla così debole. Chiedendo solidarietà agli altri “pregano, ma non forzano”, per dirla con Machiavelli. Non hanno l’impeto e il senso dell’urgenza del cambiamento e dell’ordine nuovo da instaurare. I nazionalisti invece combattono con ardore perché sanno come difendere il vecchio ordine, fino a rappresentarsi come la forza eversiva del caos, per dirla con William Butler Yeats «Si sfalda ogni cosa; il centro più non tiene. Anarchia pura si rovescia sul mondo (...) Manca ai migliori ogni convincimento, mentre i peggiori son pieni d’appassionata intensità» (2).

Oggi viviamo una situazione analoga, con il tema dell’immigrazione e della sicurezza ai confini dell’Europa. Nazionalisti molto agguerriti nella difesa di un’immaginaria ‘sovranità’ nazionale ed europeisti timidi e balbettanti.

Se vogliamo battere il nazionalismo (stadio finale del populismo) dobbiamo indicare le soluzioni. Scopriremo che passano attraverso un rafforzamento delle Istituzioni europee, la vera sede in cui può emergere l’interesse generale: un piano europeo per l’Africa basato su una stabilizzazione politica dell’area e investimenti per innescare un suo sviluppo sostenibile; la frontiera esterna dell’Unione affidata ad un corpo europeo, terrestre e marittima, alle dipendenze dell’Alto Rappresentante della PESC; un piano europeo che redistribuisca i rifugiati e stabilisca regole europee per l’immigrazione economica, affidando alla Commissione gli strumenti per garantirne l’esecutività.

Saranno le politiche da farsi che faranno emergere il bisogno del potere (federale) per poterle fare. Sarà allora che gli ‘europeisti’, cesseranno di essere tiepidi difensori dell’Unione e difenderanno l’Europa potenza con la stessa appassionata intensità che oggi anima euroscettici e antieuropei. Sarà allora che “li profeti armati vinsono”.

1) In “Quattro banalità e una conclusione sul Vertice europeo”, Il Federalista, 1961, n. 2, pp. 63 segg. nota 6.

2) Il Nobel per la letteratura (1923), scrisse la poesia sul Secondo Avvento nel 1919 per raccontare l’Europa buia del primo dopoguerra.

Articolo pubblicato su L’Unità Europea (n.3, 2018).

Fonte immagine: Wikipedia.

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