Il piano di ripresa per l’Europa

, di Antonio Longo

Il piano di ripresa per l'Europa

In due mesi la faccia dell’Europa è cambiata. Il coronavirus ha prodotto il “miracolo” di svegliare l’Unione Europea: di fronte al “nemico comune” che ha messo in ginocchio l’economia europea e mondiale le istituzioni europee, questa volta, hanno reagito prontamente. Di fronte alla crisi del 2007 ci hanno messo cinque anni per reagire e alla fine hanno varato il Fondo Salva-Stati, il famoso MES, fatto di prestiti sottoposti a condizionalità stringenti.

Questa volta ci hanno messo due mesi e la Commissione ha varato un Piano ‘rivoluzionario’ (Recovery Plan for Europe) che apre la porta all’emissione di un debito comune europeo per finanziare la ripresa economica, all’insegna della sostenibilità ambientale collegate alle riforme interne. “Le proposte più coraggiose sono anche quelle più sicure – ha detto Ursula von der Leyen -, è per questo che oggi proponiamo il Fondo ‘Next Generation UE’ da 750 miliardi”, che si aggiungerà ad un Quadro finanziario pluriennale che è stato riveduto a 1.100 miliardi, arrivando così ad un totale di 1.850 miliardi.

A questi fondi si sommeranno i 540 miliardi delle misure già approvate, ossia MES light, Sure per la disoccupazione e fondi BEI. Lo sforzo complessivo dell’Ue per la ripresa sarà quindi da 2.400 miliardi. I 750 miliardi vengono suddivisi tra contributi (grants) e prestiti (loans): all’Italia, quale Paese tra i più colpiti, dovrebbero toccare 83 dei primi e 91 miliardi dei secondi. Dietro questa montagna di risorse c’è, però, un’azione e una filosofia politica precisa, che è bene tener presente. Innanzitutto, le somme saranno raccolte sui mercati con il lancio di titoli europei di debito emessi dalla Commissione europea con la garanzia del bilancio europeo pluriennale. Questo, a ben vedere, è un atto di “piena sovranità europea” perché significa che la Commissione, emettendo debito, s’impegna per conto dell’Unione, a rimborsarlo, sia pur a lunga scadenza. Il primo banco di prova sarà dunque dato dal mercato: se l’operazione avrà successo (il rating tripla A per la UE dovrebbe garantirlo) vorrà dire che il mercato (che è fatto anche dai cittadini che comprano il debito pubblico) riconosce i titoli di debito UE come titoli “sovrani” e che la Commissione è il “governo dell’Unione”. Il passaggio reale di sovranità è qui. Il secondo elemento è che le risorse raccolte saranno rimborsate a lunga scadenza (dopo il 2028), il che significa che c’è il tempo per metter mano ad una riforma delle fonti d’entrata del bilancio europeo, ad oggi basato prevalentemente sui contributi degli Stati. Si tratta, infatti, di passare ad un bilancio dell’Unione sempre meno dipendente dagli Stati e sempre più dotato di vere e proprie risorse proprie, frutto di una tassazione europea. La Commissione le ha già individuate: carbon tax per combattere l’inquinamento, web tax per colpire i giganti del web, corporate tax per uniformare il trattamento fiscale delle imprese e combattere i paradisi fiscali. Il terzo elemento importante è che anche le risorse erogate come contributi agli Stati (meglio, alle aree e ai settori più colpiti) “non sono gratis”, ma sono legate a progetti di riforme e di investimenti approvati e controllati dalla Commissione. Tradotto in termini nostrani ciò significa che le imprese devono affrontare rapidamente il tema della transizione verso un’economia sostenibile, con strategie produttive innovative; che il territorio deve essere parte decisiva di questa transizione (dall’abitazione ai trasporti, ai servizi di base); che il sistema clientelare e corruttivo non è più compatibile con lo sviluppo; che l’amministrazione pubblica deve diventare più efficiente, la giustizia più certa e più rapida.

Le resistenze non mancheranno, all’interno, per lasciare immutati vecchi assetti sociali e politici. E in Europa, per mantenere vecchi sistemi di gelosie e di interessi nazionali. Ma, “siamo tutti nella stessa barca”, come ha detto una europarlamentare olandese intervenuta nel dibattito seguito alla presentazione del “Recovery Plan for Europe”. Il piano di ripresa europea può essere allora l’occasione per l’Italia (e per gli altri Paesi) per costruire una nuova società europea capace di affrontare le sfide epocali che ci troviamo già di fronte: l’ambiente, la sanità, gli squilibri sociali che determinano guerre, fame e migrazioni. E per avere una voce in questo cambiamento epocale che sta vivendo il mondo.

Il seguente articolo è stato pubblicato nella rubrica «Opinione», come lettera al direttore, sull’edizione cartacea del 3 giugno 2020 del quotidiano «La Prealpina».

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