Il Natale rosso e green di Amsterdam, Berlino e Parigi

, di Mirko Giuggiolini

Il Natale rosso e green di Amsterdam, Berlino e Parigi
Tukka, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/license...> , via Wikimedia Commons

Il Natale porta con sé ogni anno un incitamento estremo al consumismo che già pervade le nostre vite e le nostre città, spingendoci a ledere ancor di più all’ambiente, ai diritti di chi lavora e alla dignità umana. Amsterdam, Berlino e Parigi hanno cercato (non riuscendoci propriamente) di rendere il loro Natale più green e più sociale.

Le festività che hanno contrassegnato la fine del 2022, come di consueto accade di anno in anno, hanno visto le nostre città illuminarsi delle luci del Natale - coincidente, giova ricordarlo, anche con l’Ḥǎnukkāh, il Dōngzhì, il Soyal, lo Yaldā, il Kwanzaa e lo Yule - ed essere pervase, in maniera più accentuata rispetto a come di solito avviene nella quotidianità, dallo spirito del consumismo, capace persino di cancellare o comunque di obnubilare il ricordo delle catastrofi climatiche degli ultimi mesi (dall’alluvione che vi fu in Germania nel 2021, con le sue 180 vittime, alla siccità della ‘scorsa estate) e di disperdere il significato di ogni lotta per i diritti sociali e di chi lavora.

In nome del Natale, e quindi della gioia e della felicità, si sono infatti riempite le case e le strade di alberi, palline e decorazioni di plastica che, nell’indifferenza del malessere che poi proverà la nostra madre Terra (e di conseguenza anche noi), se non l’anno prossimo, quello dopo verranno gettate nella spazzatura e destinate ad unirsi alla grande quantità di plastica che già affolla i nostri mari e i nostri ecosistemi terrestri; si sono acquistati, per regalo, vestiti low-cost dai grandi produttori, contribuendo quindi agli sprechi - perché, si sa, vestiti del genere o si rompono in poco tempo o vengono buttati - e all’alimentazione del circuito della fast fashion, che trova le sue fondamenta nello sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori nelle zone povere del mondo; poi, sempre all’insegna della gioia e dell’allegria, son state cucinate tonnellate di cibo poi buttato perché in eccesso, ridendo in faccia a chi non può mangiare oltre la sazietà per sfizio perché non può proprio mangiare, e ribadendo ancora una volta quel sentimento di superiorità che in quanto esseri umani proviamo nei confronti degli animali, tanto da prenderci la libertà di stordire dei maiali - dunque, degli esseri viventi che non esistono passivamente nel mondo ma che, proprio come noi, si relazionano con questo e con ciò che lo abita - con delle scosse elettriche per poi appenderli a testa in giù, sgozzarli e mangiarli sulle nostre migliori tovaglie rosse in pizzo, o, ancora, di violentare sessualmente con dei macchinari delle mucche così da inseminarle artificialmente e poter produrre il latte da destinare, per tramite dei formaggi, ai nostri ricchi antipasti.

Ad ogni modo, è bene sottolineare che, nonostante la grande forza seduttiva - o forse coercitiva - del consumismo, alcune persone hanno cercato di opporre resistenza al degrado natalizio che puntualmente di anno in anno chiede di essere invitato nelle nostre città e nelle nostre case; e se da un lato c’è chi ha scelto di agire nella propria dimensione personale riutilizzando gli addobbi degli anni passati o comprandone di nuovi ma ecosostenibili, regalando oggetti pre-loved o fabbricati artigianalmente e destinati ad avere una vita più lunga di qualche mese, o ancora donando gli avanzi dei propri pasti alle mense caritatevoli locali o cucinando pietanze vegane, dall’altro grandi istituzioni, con i loro rispettivi leader, hanno tentato di adottare delle politiche tali da ottenere un Natale maggiormente aderente a quello che è il significato che la tradizione cristiana assegna alla festa, in particolare per quel che riguarda l’umiltà e l’espressione dell’amore (per il prossimo e, come ci ricorda Papa Francesco con la sua enciclica “Laudato Si’”, per la Terra); è il caso, oltre al tentativo un po’ goffo del sindaco di Roma Roberto Gualtieri con il suo albero di Natale a pannelli solari, delle sindache di Amsterdam, Berlino e Parigi; le capitali d’Europa, in occasione delle ultime feste, si sono infatti tinte di rosso e green. O, quantomeno, hanno assunto un’apparenza meno ipocrita - non poi di così tanto - rispetto alla generalità delle città occidentali.

Una misura adottata da tutte e tre le amministrazioni comunali appena menzionate, presente anche negli anni passati e in tutto l’anno al di là del periodo delle festività invernali, è quella dell’istituzione di centri locali, sparsi di quartiere in quartiere, per il deposito e il successivo smaltimento degli alberi di Natale non artificiali. Sono infatti di discreta quantità le famiglie, le persone in generale, che ad ogni inverno scelgono di acquistare un piccolo abete vero e di tenerlo nella propria sala o nel proprio androne decorato di palline e luci, in sostituzione del morto e non sostenibile albero in plastica. Gli abeti domestici talvolta sono abeti veri, con tanto di radici, coltivati in vivai specializzati nella produzione di alberi natalizi; più di frequente, sono cime o rami degli alti e antichi abeti che abitano le nostre foreste. In entrambi i casi, l’acquisto di un abete di Natale vivo può rivelarsi una scelta ecosostenibile: sia perché non comporta l’utilizzo di plastica o altri materiali inquinanti (a patto, naturalmente, che ciò valga anche nella fase del disboscamento o della coltivazione), che perché da un lato anima le nostre case e i nostri ambienti di verde e di macchine di ossigeno, e dall’altro dona una destinazione agli scarti delle operazioni di manutenzione dei boschi - necessarie affinché questi si mantengano vivi, in sicurezza per l’ambiente e gli esseri viventi e in buono stato. Spesso, per chi sceglie un albero di Natale vivo, si presenta il problema dello smaltimento: non ogni famiglia o ogni persona ha a disposizione un terreno dove poterlo piantare, non tutti gli alberi venduti hanno delle radici, i centri di raccolta rifiuti non sono predisposti per riceverli, e depositarli in strada o nei parchi e nelle foreste, oltre a rappresentare uno spreco, può anche essere fonte di pericolo. Dunque, per consentire a chi sceglie di acquistare un abete vivo di poter smaltire questo correttamente, Amsterdam, Parigi e Berlino hanno predisposto per ogni quartiere dei centri di deposito e smaltimento; nella capitale neerlandese, questi ammontano a mille. In Germania, successivamente alla loro raccolta, gli alberi verranno triturati e utilizzati nelle centrali a biomasse per generare energia; in Francia, il legno triturato verrà impiegato nelle zone verdi delle città e del Paese per ostacolare la crescita incontrollata delle piante, limitare l’evaporazione dell’acqua e favorire lo sviluppo di microrganismi sotterranei dotati della potenzialità di migliorare la vita del suolo. Tuttavia, se da un lato si presta attenzione all’ambiente in questo senso, dall’altro non sembra esser stata attuata alcuna misura per limitare o scoraggiare l’acquisto degli alberi in plastica - seppur, va detto, tutti e tre i Paesi in esame abbiano un discreto sistema di riciclo e smaltimento dei rifiuti.

Un’ulteriore scelta ecologica - e non solo - adottata da Amsterdam e Berlino - questa volta senza la partecipazione di Parigi - riguarda i fuochi d’artificio; entrambe le città hanno scelto di ribadire il divieto del loro utilizzo, già attuato negli anni precedenti. La misura di Berlino si dimostra molto più leggera rispetto a quella della corrispondente neerlandese; il divieto si applica infatti solamente in alcune zone della città (fra cui Alexanderplatz), non contempla i petardi semplici e i piccoli fuochi d’artificio, e sembra esser stato messo in campo prevalentemente solo per ragioni di sicurezza pubblica. La misura attuata da Amsterdam è invece più radicale: non è consentito l’acquisto a privati di fuochi d’artificio, ad eccezione di quelli piccoli e domestici, e gli spettacoli pubblici sono ridotti al minimo, con, come alternativa, la proiezione di video di spettacoli pirotecnici, a volte con sottofondo musicale, in dei maxi-schermi distribuiti in varie zone della città. Il ban ai fuochi d’artificio è una misura che va a rispondere a tre esigenze, di tre caratteri diversi: una di carattere più strettamente urbano, un’altra ambientale e un’altra ancora sociale. Al di là delle questioni di sicurezza, i fuochi d’artificio, quando rumorosi, rappresentano infatti un elemento di disturbo e fastidio per molte persone, in particolare - secondo quanto sostenuto dal Comune - per la maggioranza degli amsterdamiani; sono capaci di scuotere e far agitare gli animali, sia quelli domestici che quelli che abitano le nostre città al di fuori delle nostre case, da un lato mettendo a rischio la loro salute e dall’altro suscitando in loro irascibilità e violenza, che possono poi riversarsi in comportamenti lesivi delle persone o dell’ambiente circostante; infine, costituiscono un grande disagio per coloro che risultano essere particolarmente sensibili ai rumori forti, fra cui le persone che soffrono di disturbo da stress post-traumatico, che possono certamente essere esentate dal soffrire a causa di un costume dannoso e superficiale in favore di maggiore comprensione, da parte della società tutta, per la loro condizione. Parigi ha scelto di preservare lo spettacolo pirotecnico degli Champs-Élysées, ma quantomeno, a differenza di Amsterdam che sembra non aver mosso passi in questa direzione, ha deciso di ridurre il tempo di esposizione delle luminarie natalizie in favore del risparmio energetico a fronte della crisi in corso. La capitale tedesca ha, dal canto suo, adottato timidamente solo la scelta di non finanziare l’illuminazione in occasione delle feste con i proventi delle tasse - ma, di contro, con le donazioni.

Tutte e tre le città in esame sono accomunate dall’avere delle amministrazioni comunali socialiste che, all’avvicinarsi di questo Natale, non hanno mancato di impegnarsi sul fronte sociale. Il sostegno alla residenzialità e al diritto alla casa è un punto comune. Amsterdam ha deciso di riformare il sistema di assegnazione delle abitazioni in social housing (un sistema di affitto di immobili a basso costo, in alcuni casi anche di proprietà di privati che ricevono sussidi pubblici, per famiglie e persone con redditi bassi, equiparabile al nostro sistema di case popolari); se prima l’unico criterio di assegnazione era la lunghezza del tempo di permanenza in lista d’attesa, a partire da gennaio verrà introdotto un sistema a punti che andrà a vantaggio di chi si trova in situazioni più urgenti. Allo stesso modo, per rendere gli affitti più accessibili ed abbordabili, il Comune ha scelto di obbligare i proprietari di case vuote ma sul mercato degli affitti a dare queste in affitto nel minor tempo possibile e al prezzo più equo, così da ridurre il numero delle abitazioni vuote e prevedendo, in caso di inadempienza a tale obbligo, delle sanzioni. Berlino ha scelto di proseguire su una linea simile a quella della capitale neerlandese, prorogando fino alla fine del 2023 l’accordo già stipulato in precedenza con le società immobiliari statali al fine di mantenere convenienti i prezzi degli affitti e di costruire nuovi edifici da destinare alla residenzialità pubblica. Parigi, nel suo recente piano di bilancio per il 2023, ha deciso di stanziare 952 milioni di euro per gli investimenti riguardanti la casa e lo sviluppo del territorio - 50 milioni in più rispetto all’anno precedente - di cui 280 milioni da impiegare per il rafforzamento, anche qui, del social housing, con l’obiettivo di inserire all’interno del circuito di affitti agevolati, entro il 2025, il 25 % degli alloggi presenti in città.

Al di là del diritto alla casa, il Natale rosso di Amsterdam - di quella sinistra di respiro europeo con una forte vocazione, quantomeno nella prassi, per la tutela dell’ambiente - ha visto l’incremento delle aree verdi protette della città fino alla copertura di 72 km² (oltre il 30 % della superficie totale dell’area urbana), in contrasto all’urbanizzazione selvaggia e per preservare spazi liberi per le persone e gli animali, e la predisposizione di un sussidio pubblico dai 1000 € ai 1800 € una tantum per gli ultimi tre mesi del 2022 (con la recentemente sbloccata possibilità di richiedere un anticipo parziale dell’importo del 2023) al fine di sostenere le famiglie e le persone in difficoltà nel fronteggiare il rincaro delle spese energetiche. Berlino ha approvato nell’ultimo periodo una legge che, entrando in vigore a partire dal 1° gennaio, imporrà a chiunque costruirà un nuovo edificio in città - sia esso con finalità residenziali, commerciali o industriali - di ricoprire con dei pannelli solari almeno il 30 % della superficie del tetto e, sempre sulla linea di inviare stimoli per uno stile di vita sostenibile, ha ridotto il costo dell’abbonamento mensile ai trasporti pubblici urbani di 57 €, abbassandolo dai precedenti 86 € agli attuali 27 €. Parigi, dal canto suo, ha previsto quale pronostico per il nuovo anno la gratuità del trasporto pubblico per le studentesse e gli studenti delle scuole medie e superiori, con un rimborso integrale dell’abbonamento al servizio, oltre ad una complessiva strategia di investimenti massicci per l’estensione della rete ferroviaria e di autobus, la costruzione di nuove piste ciclabili e l’incoraggiamento della mobilità leggera, dunque in bicicletta o in monopattino (anche attraverso i nuovi servizi di sharing mobility); similmente alle altre due città in esame, anche la capitale francese ha pianificato una spinta in più sul fronte sociale, portando a 452 milioni di € l’ammontare dei fondi stanziati per il revenu de solidarité active - un reddito di base erogato dal Comune (con delle caratteristiche in condivisione con il nostro reddito di cittadinanza) volto a sostenere chi non ha redditi o percepisce uno stipendio basso e finalizzato a ridurre l’emarginazione sociale e il tasso di disoccupazione - e incrementando i finanziamenti per l’assistenza sociale all’infanzia e alle persone con disabilità.

A fronte dell’ipocrisia che ogni volta pervade le festività invernali, a discapito del messaggio che queste si prefigurano di trasmettere (in qualunque tradizione e qualunque cultura, poiché ovunque vengono celebrate la luce, la gioia e la felicità, e un mondo di disuguaglianze, disparità e sofferenze per gli esseri umani e non e per la nostra madre Terra, quale quello contemporaneo tale anche a causa delle celebrazioni natalizie, non contiene questi elementi) le politiche adottate da Amsterdam, Berlino e Parigi appaiono come eccessivamente moderate; si è scelto di non proibire totalmente i fuochi d’artificio, di non scoraggiare il consumo della plastica negli addobbi, di non incentivare acquisti responsabili, di mantenere le luci natalizie nonostante l’inquinamento e la crisi energetica (a discapito di metodi ecosostenibili che si sarebbero potuti utilizzare, quali i batteri bioluminescenti) e, nonostante le barbarie che si verificano negli allevamenti intensivi, neanche di stimolare l’acquisto di carni provenienti da piccoli allevamenti biologici locali o il ricorso ad alternative quali la carne sintetica. Ancora una volta trova conferma la fastidiosa timidezza del revisionismo socialdemocratico; abbassare il prezzo dei trasporti pubblici o renderli gratuiti solo per alcuni, come avvenuto a Parigi e Berlino, senza garantirne l’utilizzo libero e senza costi a chiunque; costringere i costruttori di edifici a ricoprire solo il 30 % dei loro tetti di pannelli solari, quando sui tetti non ci va nessuno e si potrebbero riempire al 100 % (cosa opportuna vista la già assenza di sole a Berlino) o, ancora, aumentare i fondi per il reddito di base ma considerare questo solo una misura d’emergenza per chi si trova in difficoltà e non stabilizzarlo ed estenderlo a tutta la popolazione al fine di aumentare la ricchezza e il benessere di tutti.

Ad ogni modo, il già citato revisionismo socialdemocratico amsterdamiano, berlinese e parigino, mediante le misure già menzionate oltre che con altre qui non riportate, si sta incamminando - con la lentezza che lo caratterizza - verso la piena sostenibilità ambientale e sociale, contrastando, seppur a piccoli passi, l’estremo consumismo ormai tristemente implicito nel Natale e, più in generale, nella nostra società, e che ci spinge a vedere qualunque cosa, dalla Terra agli esseri umani e non solo, come un bene di consumo.

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