Il Manifesto dei Federalisti Europei (1957)

, di Giulio Saputo

Il Manifesto dei Federalisti Europei (1957)

Riportiamo di seguito un estratto del “Manifesto dei federalisti europei”, scritto da Altiero Spinelli e pubblicato a Parma nel 1957.

Sul retroterra teorico contenuto in questo manifesto sarà organizzato il “nuovo corso” dell’azione dei federalisti e la grande campagna transnazionale nota come Congresso del Popolo europeo (CPE). Oltre ad una forte critica al rilancio del processo di integrazione europea proposto dai governi in chiave funzionalista con l’approvazione dei Trattati di Roma, si delinea una strategia radicale in favore di un’Assemblea costituente eletta direttamente dal popolo europeo.

Introduzione

La divisione in stati nazionali sovrani pesa come una maledizione sull’Europa. Lo sviluppo moderno delle forze produttive, l’intensificarsi dei traffici, l’accelerarsi dei mezzi di comunicazione e di trasporto, il diffondersi di forme simili di civiltà, l’approfondimento del senso di solidarietà umana – esigono ormai da molto tempo l’instaurazione in Europa di una legge e di un governo superiori alle leggi ed ai governi degli stati nazionali. Ma questi sono sovrani. Decidono ed agiscono senza riconoscere nessuna legge e nessun potere superiore al loro. Sono tenuti a provvedere alla tutela degli interessi propri e dei propri cittadini senza avere né il dovere né la possibilità di preoccuparsi degli interessi di altri stati e di altri popoli. Tutte le limitazioni ed i controlli che il progresso democratico è venuto imponendo ai poteri pubblici, concernono esclusivamente la vita interna dei singoli stati; i rapporti fra stati sono e continuano ad essere governati dalla legge della giungla. Atteggiamenti ed atti di egoismo e di prepotenza, che sono considerati come delittuosi se compiuti da privati o da comunità minori, diventano lodevoli se effettuati da stati sovrani. Per non aver saputo finora mettere fine a questo regime politico, gli Europei sono stati e continuano ad essere colpiti da sventure immense e senza fine; l’avvenire loro, dei loro figli, delle loro patrie, della loro stessa civiltà plurimillenaria diventa ogni giorno più incerto. (…)

Capitolo III. “La Federazione, espressione del popolo europeo”

- “Gli stati nazionali contro il popolo europeo”

(…) Il destino non di questa o quella nazione, ma degli Europei tutti, dipende ormai dal modo come la politica estera e militare, economica e sociale sono amministrate non in questo o quel paese, ma nell’Europa nel suo complesso. Decisioni e leggi valevoli per tutti gli Europei devono essere stabilite da un governo che agisca a nome di tutti gli Europei, che impegni tutti gli Europei, che sia sottoposto al controllo democratico di tutti gli Europei. Costoro sono capaci di darsi un tale governo democratico comune e di farlo agire in modo coerente, perché, attraverso la molteplicità e la varietà delle loro nazioni, rendono omaggio agli stessi supremi valori spirituali e politici, e sono animati tutti dall’ambizione di dare un avvenire alla loro comune civiltà, posseggono cioè quel comune spirito creatore senza il quale non è possibile vivere uniti. Sentirsi eredi di una civiltà comune, avere un destino comune, aver bisogno di istituzioni politiche libere per amministrare affari comuni, ciò significa che gli Europei sono arrivati ad un punto della loro storia in cui devono diventare un popolo: il popolo europeo. Gli stati nazionali sono ancora strumenti utili, nella misura in cui conservano e sviluppano quella feconda diversità delle esperienze nazionali che costituisce una delle grandi ricchezze della civiltà europea. Ma la loro pretesa di provvedere sovranamente, ciascuno per proprio conto, alla condotta di affari che in realtà non possono più essere amministrati da loro nell’interesse profondo e permanente di tutti gli Europei, è divenuta abusiva e va considerata come una vera e propria usurpazione a danno del popolo europeo. Malgrado le più raffinate forme democratiche di cui molti stati nazionali si ammantano, essi negano di fatto agli Europei il diritto di esprimersi come popolo europeo, mediante istituzioni democratiche europee, per amministrare, nell’interesse di tutti, affari pubblici che sono ormai diventati europei. L’umanità tende oggi ad organizzarsi in grandi comunità politiche di dimensioni continentali, fondate ciascuna su una comune civiltà, talvolta assai giovane. (…) Gli Europei si trovano innanzi ad un bivio decisivo della loro storia; devono scegliere fra diventare anch’essi un popolo, per essere, sotto questa forma, continuatori della più feconda delle civiltà umane, o conservare l’antiquato regime delle sovranità nazionali e trasformarsi in appendici politiche, culturali ed economiche di altre civiltà, di altri popoli. (…)

- “La Federazione”

La Federazione, gli Stati Uniti d’Europa, sono la sola risposta che gli Europei possono dare alla sfida che la storia lancia loro. Federare l’Europa significa infatti rispondere all’appello del passato che l’ha ripartita in popoli nazionali, ed all’appello dell’avvenire che le chiede di diventare un solo popolo europeo. Federare l’Europa significa unire i popoli liberi d’Europa con un patto irrevocabile, in base al quale gli affari pubblici propri delle singole nazioni sono amministrati dai rispettivi stati nazionali secondo il genio particolare di ciascuna nazione, mentre gli affari pubblici di interesse comune sono amministrati da un governo comune. La federazione non è una lega di stati federati. Né il suo potere si esercita su questi, né il potere di questi si esercita su di essa. L’una e gli altri hanno una competenza limitata a determinati campo della vita pubblica. Ma entro questi limiti l’una e gli altri restano pienamente sovrani, essendo ciascuno dotato delle istituzioni e dei mezzi necessari per prendere decisioni e per eseguirle, senza dipendere gli uni dagli altri. Fondamento comune della comunità federale e degli stati federati è il cittadino. La federazione è l’organizzazione politico-giuridica dei cittadini di tutta l’Europa, così come lo stato-nazionale è l’organizzazione politico-giuridica dei cittadini delle singole nazioni. Ognuno è insieme cittadino del proprio stato nazionale e della federazione. (…) In entrambi elegge direttamente e liberamente i suoi rappresentanti; da entrambi esige direttamente che i suoi diritti siano rispettati e che la giustizia gli sia assicurata, paga ad entrambi direttamente le imposte necessarie per l’esecuzione dei rispettivi servizi pubblici; obbedisce direttamente alle leggi di entrambi. Egli è il punto di unione di due comunità politiche – quella federale e quella nazionale – le cui sovranità sono separate e parallele. Solo in tal modo si può assicurare la contemporanea indipendenza degli stati nazionali e della federazione, la vita libera e ordinata delle nazioni e del popolo europeo. Affinché questo organismo possa funzionare come espressione del popolo europeo, la Costituzione degli Stati Uniti d’Europa, mentre lascia gli stati nazionali liberi di conservare e modificare le proprie istituzioni, deve stabilire esplicitamente quali funzioni pubbliche siano trasferite dagli stati nazionali alla federazione, quali siano le istituzioni di questa, quali le garanzie giuridiche contro il pericolo di usurpazione di poteri sia da parte delle autorità europee che da parte delle autorità nazionali. Le funzioni che vanno trasferite dagli stati nazione alla federazione risultano della natura stessa della crisi mortale che travaglia il vecchio regime europeo. Si tratta del potere di decidere e di agire per tutto quanto concerne la creazione di una comune economia, l’instaurazione di una comune giustizia e sicurezza sociale, i rapporti con gli altri popoli del mondo, la difesa comune contro il pericolo di aggressione. E poiché il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo costituisce il valore supremo di qualsiasi comunità politica che sia basata sugli ideali della civiltà europea, anche la tutela giuridica delle libertà di tutti gli europei deve essere di competenza dell’autorità federale. Tutto ciò che va al di là di queste materie deve restare di competenza dei singoli stati. (…)

Capitolo IV. “Gli avversari del popolo europeo”

Trasformare gli Europei da congerie di nazioni condannate ad una impotente vegetazione nazionale, in popolo europeo dotato dei suoi propri strumenti di azione politica, non significa dare loro solo vuote ed inerti istituzioni comuni che possano essere riempite di qualsiasi contenuto. Creare gli Stati Uniti d’Europa significa creare istituzioni vive e piene, atte a distruggere gli aspetti abusivi delle sovranità nazionali ed a costituire una moderna società europea; significa creare istituzioni attraverso le quali si esprima, con necessità, con continuità, con forza, la volontà degli Europei di diventare popolo europeo. Offrendo non ad una piccola minoranza, ma a tutti gli Europei la possibilità pratica di pensare, di organizzarsi e di agire politicamente come tali, ponendo con chiarezza i problemi europei e stabilendo il metodo con cui affrontarli, la federazione sovvertirà profondamente gli equilibri politici, economici, sociali, amministrativi del vecchio regime degli stati nazionali, e cambierà radicalmente la posizione che ha l’Europa oggi nel mondo. Per tutto un lungo periodo l’opera della federazione non sarà e non potrà essere di ordinaria amministrazione, e se sarà un’opera di conservazione e di rinascita dei valori fondamentali della civiltà europea, non sarà e non potrà essere in alcun modo un’opera di conservazione di tutto quel che esiste oggi in Europa. Sarà una profonda rivoluzione, effettuata con metodi democratici. Alcuni costumi, sentimenti, interessi nazionali andranno distrutti, altri fioriranno. Accanto a loro si affermeranno abitudini, sentimenti, interessi europei. Profondamente consapevoli del contenuto di rinnovamento che avrà l’azione del popolo europeo, tutte le forze politiche interessate alla conservazione della situazione europea attuale si oppongono con tenacia e con abilità alla nascita della federazione europea. Avversari del popolo europeo si trovano sia nel quadro mondiale che in quello nazionale degli stati d’Europa. (…)

- “Il nazionalismo dei partiti democratici e dei loro governi”

E’ sembrato per qualche anno che l’Europa potesse nascere per volontà ed opera di alcuni governi nazionali. Ma l’Europa cui questi governi pensavano era veramente un’Europa impossibile. La volevano unita, ma insieme non volevano rinunziare ai numerosi privilegi cristallizzati nel quadro delle sovranità nazionali. Ne presentivano il carattere rivoluzionario e la concepivano tuttavia come un’opera dominata da un pavido desiderio di conservazione dei singoli stati così com’erano. Avevano perciò paura dell’apparizione del popolo europeo e della democrazia europea e volevano mantenere nelle loro mani quel che pur dichiaravano di esser disposti a mettere in comune. Così si spiegano le loro esitazioni e reticenze, il loro rifiuto di pensare con chiarezza, le loro mezze misure, la loro eterna tendenza a indietreggiare dopo ogni timido passo in avanti. (…) I partiti democratici nazionali ed i loro governi si sono ormai ripiegati su quella che è la loro naturale missione, la sola cui si erano in realtà dedicati anche negli anni in cui sembrava che volessero promuovere l’unità sopranazionale europea. Accudiscono all’ordinaria amministrazione degli stati nazionali, dando a credere a sé ed ai loro popoli di poter fare l’impossibile, di poter cioè consolidare le strutture democratiche esistenti con un’adeguata politica di riforme. Una cattiva coscienza serpeggia tuttavia nelle loro file, poiché sentono che stanno costruendo su sabbie mobili. (…)

Capitolo V. “Le false soluzioni europee”

Le principali fra queste false soluzioni sono le seguenti:

a) La soluzione del risanamento nazionale è la più corrente nel seno dei partiti nazionali e seduce fortemente l’opinione pubblica ogni volta che coloro che la proclamano sono in procinto di andare al governo. Si afferma con solennità la bellezza e la bontà dell’unità europea, ma la si pone come un ideale lontano, che per essere veramente desiderabile e possibile presuppone che il risanamento della vita nazionale sia compiuto o quanto meno molto avanzato in ciascuno dei paesi d’Europa. Questo modo di pensare permette di coprire con una simpatica veste europea quella qualsiasi politica nazionale che si auspica per il proprio paese. In realtà, a parte qualche misura di dettaglio che questa o quella congiuntura favorevole permette di prendere, le strutture nazionali sbarrano la strada a qualsiasi vera e profonda azione di rinnovamento nazionale nel campo della politica economica e sociale, estera e militare. I più ambiziosi rinnovatori nazionali sono condannati, non appena assumono il potere, a mettersi al servizio dei profittatori delle sovranità nazionali e del loro desiderio di conservazione e di immobilità. Il giorno in cui si potrebbe passare all’unificazione europea resta sempre ugualmente lontano e irraggiungibile.

b) La soluzione dei trattati internazionali è la più praticata dai governi. Pur conservando le loro sovranità, gli stati si impegnano con i metodi diplomatici normali (accordi intergovernativi, trattati di alleanze, di amicizia, di cooperazione, di commercio, etc) ad agire tutti in maniera analoga, in modo da affrontare allo stesso modo e nello stesso tempo i problemi riconosciuti di interesse comune. (…) In realtà la labilità inerente a qualsiasi trattato internazionale non permette di affrontare in comune, metodicamente, problemi comuni se non per periodi corti, in circostanze eccezionali di grave pericolo comune, di coincidenza assoluta di interessi nazionali diversi o di preponderanza enorme di uno degli stati alleati.

c) La soluzione delle istituzioni internazionali è la specialità dei governi ispirati da ideali internazionalisti. Consiste nel creare assisi internazionali permanenti i cui posti sono occupati da rappresentanti degli stati membri. Il campo delle questioni da discutere in queste organizzazioni può essere anche assai vasto. Gli organi che ne discutono possono essere di tipo diplomatico (comitati di ministri, di ambasciatori, di esperti) o di tipo quasi parlamentare (…). In ogni caso queste assisi non emettono che raccomandazioni, e gli stati conservano tutto il potere di accettarle o rifiutarle. L’illusione è che l’abitudine a sedere e discutere insieme in istituzioni dai nomi prestigiosi come Società delle Nazioni, Nazioni Unite, Consiglio d’Europa, Unione Europea Occidentale, educhi a poco a poco gli stati ad obbedire ad un’istanza superiore benché essa sia sfornita di qualsiasi potere. In realtà queste istituzioni, non avendo capacità di decidere, sono del tutto impotenti, e l’impotenza trasforma in vuote chiacchiere i dibattiti che si svolgono nel loro seno. Nessuna volontà comune può sprigionarsi da istituzione che, per definizione, non possono agire.

d) La soluzione del funzionalismo e delle cosidette autorità specializzate, è predicata soprattutto da tecnici di amministrazioni pubbliche, i quali si sono resi conto della crisi degli stati nazionali, ma non della propria ignoranza dei fondamentali problemi della politica. In qualche settore ben delimitato gli stati possono affidare ad un organo tecnico sopranazionale non dotato di poteri di costrizione, il compito di eseguire un mandato che essi stessi hanno definito con minuziosa precisione in un trattato. (…) Sviluppando queste autorità le une dopo le altre, si crede che il campo tutt’intero degli affari che devono essere messi in comune finirà per essere coperto, e che l’Europa sarà unita senza avere mai dovuto affrontare direttamente il problema della limitazione delle sovranità nazionali. (…) I settori da sottoporre ad una autorità sopranazionale non possono essere determinati arbitrariamente, ma devono essere complessi abbastanza coerenti di affari pubblici che si deve decidere se mantenere sotto il controllo degli stati nazionali o trasferire sotto il controllo di autorità sopranazionali. Il mercato comune del carbone e dell’acciaio non può consolidarsi se l’armonizzazione delle economie nel loro complesso resta nelle mani degli stati; il mercato comune di tutti i fattori produttivi non può nemmeno nascere se la politica monetaria ed economica generale non è sottratta alla competenza degli stati; l’esercito comune non ha senso se è a disposizione di politiche estere autonome (…). Per queste ragioni ogni volta che un progetto di autorità specializzata è stato elaborato, esso è sempre stato concepito come un organo tecnico, esecutore di un mandato preciso degli stati, i quali si guardano sempre bene dal conferirgli un potere di costrizione. L’autorità specializzata deve contentarsi della promessa che gli stati le fanno di rispettare le sue decisioni. Priva com’è di forza propria, essa non può diventare un centro di raccolta progressiva di interessi, di sentimenti, di volontà europee, mentre permette a tutti gli interessi e sentimenti nazionali di raggrupparsi intorno ai rispettivi stati, soli detentori della forza reale; cade perciò nella paralisi e si dissolve non appena vien meno negli stati la volontà di mantenerla in vita. (…)

e) La soluzione del libero scambio e quella dei cartelli internazionali, sono sostenute, talvolta alternativamente e talvolta congiuntamente, da gruppi capitalistici i quali credono che l’insieme delle loro relazioni d’affari possa sostituirsi alla politica. Lasciando sviluppare liberamente i traffici fra le nazioni, sia sotto forma della concorrenza che sotto quella dei monopoli internazionali, si pensa di stabilire una così stretta interdipendenza fra le nazioni che la loro unione finirà per diventare una necessità assoluta. L’unità, difficile a raggiungersi attraverso gli stati e la politica, si realizzerebbe spontaneamente attraverso l’unificazione dei mercati. In realtà qualsiasi mercato ben lungi dal surrogare, presuppone un potere politico, il quale stabilisca le regole giuridiche e politiche generali del suo funzionamento e le faccia rispettare. Se questo potere non è unico, ma è diviso fra parecchi stati sovrani, il mercato è labilissimo e funziona solo finché questi sono disposti ad avere le stesse leggi, la stessa moneta e le stesse politiche economiche. La storia europea dell’ultimo secolo è la dimostrazione dell’incapacità del libero mercato e dei cartelli internazionali di resistere all’opera di disgregazione esercitata da stati sovrani.

f) La soluzione delle Internazionali, è sostenuta soprattutto da quei militanti di partiti nazionali che hanno in qualche modo compreso la necessità dell’unità europea, e pensano che i loro partiti possono essere importanti fattori nella sua costruzione. Poiché i partiti socialisti, liberali, democratico-cristiani hanno ideologie sopranazionali, si pensa sovente nel loro seno che sia possibile arrivare ad una unità d’azione fra tendenze analoghe di vari paesi. (…) In realtà l’ideologia dei partiti democratici europei è una soprastruttura propagandistica, che non altera in alcun modo la loro natura di partiti nazionali, impegnati essenzialmente a promuovere la politica nazionale dei loro stati. Accade così che le internazionali ed i movimenti europei sorti dai partiti nazionali, non osando mettere in evidenza la contraddizione fra le loro apparenze ideologiche e la loro realtà politica, non solo formulano sempre le loro richieste in termini estremamente vaghi, ma sono condannati ad assistere al regolare tradimento dei loro partiti e dei loro uomini ogni volta che essi, arrivando a posti di responsabilità governativa, sono costretti a metter da parte le apparenze ed a mostrare la loro vera natura di servitori dello stato nazione e delle sue aspirazioni profonde.

Capitolo VI. “La lotta dei federalisti per il popolo europeo”

- “I federalisti ed i partiti nazionali”

(…) Contro tutti coloro che in Europa vedono solo le nazioni con le loro permanenti ed insormontabili differenze, i federalisti affermano l’esistenza del popolo europeo, erede di una comune civiltà, legato ad un destino di comune rinascita o di comune decadenza, capace di affrontare i suoi problemi comuni con comuni istituzioni democratiche, prigioniero del sistema degli stati nazionali sovrani, i quali gli tolgono la possibilità di esprimersi e di agire, impedendo la nascita di una democrazia europea. E’ stata spesso sollevata la questione se i federalisti europei siano o debbano essere un partito. Essi sono assai più che un partito, almeno nel senso che questa parola ha ormai nel linguaggio politico europeo. Tutti i partiti esistenti oggi in Europa, siano essi governativi o di opposizione, democratici o antidemocratici, servono a mobilitare forze nazionali, nel quadro nazionale, al servizio della vita nazionale. Se parlano d’Europa, la concepiscono semplicemente come un capitolo della politica estera nazionale, e continuano ad elaborare programmi nazionali di politica economica e sociale, estera e militare, senza essere mai nemmeno sfiorati dal dubbio che i governi, cui vorrebbero imporre tali programmi, non sono più atti a gestire questi affari pubblici. (…) I federalisti non mirano ad entrare nei governi nazionali ed a servirli, e non si propongono perciò di mettersi in concorrenza con i partiti nazionali su questo terreno. Voglio suscitare nell’animo degli Europei la rivolta contro le pretese divenute abusive degli stati nazionali e la coscienza di una legittimità democratica europea. (…) La loro opposizione, essendo diretta non contro questa o quella politica di questo o quel governo nazionale, ma contro il sistema stesso degli stati sovrani, è più radicale di qualsiasi altra opposizione che accetta il quadro nazionale. Per condurre con successo la loro azione, i federalisti non possono perciò darsi la forma organizzativa tradizionale dei partiti esistenti, cioè la forma di un’organizzazione che aspira a conquistare il governo nazionale. (…) Ma nella lotta per la costruzione della federazione non riconoscono alcuna competenza ai partiti nazionali, e devono darsi un’organizzazione politica propria, che sia conforme allo scopo che vogliono raggiungere. I federalisti vengono da ogni nazione, da ogni professione, da ogni partito, da ogni famiglia spirituale, morale, religiosa e politica che riconosca il valore della libertà umana. Non esigono la rottura di nessuno di questi legami. A differenza dei partiti ideologici non si propongono di indicare uno scopo finale dell’umanità. Vogliono solo costruire strumenti istituzionali che permettano al popolo europeo di formulare e perseguire i suoi scopi. I federalisti aspirano ad essere costruttori di istituzioni e non capi di anime. Ma, come ogni azione umana, anche la loro esige un’autolimitazione ed una forte concentrazione della volontà. I federalisti sanno che la realtà umana è infinitamente complessa, e che quel che essi vogliono realizzare non è che una parte di questa realtà. Sanno che il loro contributo non riassorbe in sé tutti i valori umani. Sanno che la realtà non è semplice, ma sono decisi a portare ai loro contemporanei questo semplice contributo politico: la federazione europea. Per riuscirvi hanno deciso di armarsi di una forte volontà di semplicità, lasciando ad altri ciò che non riguarda il raggiungimento di questo scopo, combattendo senza tregua contro tutto ciò che vi si oppone, suscitando tutto ciò che può promuoverne la realizzazione. Per rendere possibile questa lotta, i federalisti accettano, anzitutto per sé stessi, di subordinare la loro azione politica nazionale a quella europea, qualsiasi disciplina politica nazionale a quella europea, e persino il loro lealismo di cittadini nazionali al lealismo di cittadini europei.

- “I federalisti ed i governi”

(…) alcuni capi di governi nazionali d’Europa hanno tentato per alcuni anni una politica di unificazione europea, i federalisti europei, pur rendendosi conto degli equivoci e delle reticenze che erano dietro questa politica, avevano calcolato che la gravità della situazione generale e la straordinaria coincidenza di circostanze favorevoli avrebbe facilitato il passaggio dalle parole agli atti, e si erano assegnati il compito di indicar loro il cammino da percorrere. Il prezzo di questo atteggiamento è stato che larga parte dell’opinione pubblica ha confuso lo spirito rinnovatore dei federalisti con quello conservatore che animava i governi filo-europei. I federalisti hanno accettato di pagare questo prezzo, sicuri che, se si fosse giunti alla nascita di una democrazia europea, tutti gli equivoci sarebbero svaniti, e che la vera natura del loro pensiero e della loro azione sarebbe emersa chiara e forte. Sono stati ascoltati in parte e per qualche tempo, perché esprimevano la logica profonda dell’azione tentata da quei governi; ma sono stati ascoltati sbadatamente, con malcelata insofferenza, con avversione profonda per quel che di audace e perciò di urtante conteneva il loro pensiero. Quando la parentesi filo-europea di questi governi si è conclusa con un fallimento, i federalisti hanno di colpo cessato di essere ascoltati, e sono stati considerati i visionari privi di ogni contatto con la realtà. Una parte di essi, divenuta ormai prigioniera di questa tattica, non ha osato rompere un’alleanza politica che non aveva più nessun senso ed ha preferito venir meno alla propria missione, liquidando il proprio pensiero federalista ed accettando una qualsiasi delle false soluzioni europee. Lasciando cadere questi rami morti, i federalisti europei hanno deciso di riprendere la loro libertà d’azione. Dopo aver sperimentato che l’unità europea non si farà finché resterà appannaggio degli esperti, dei diplomatici, dei governi, dei parlamentari e dei partiti nazionali, hanno riconosciuto che gli Stati Uniti d’Europa non possono essere che l’opera del popolo europeo e si sono accinti all’organizzazione di una forza politica popolare europea.

- “L’avanguardia del popolo europeo”

I federalisti sanno di essere l’avanguardia cosciente dell’immensa maggioranza degli Europei. Da qualunque punto di vista considerino gli interessi della civiltà europea, scorgono che la quasi totalità degli Europei hanno tutto da guadagnare dalla realizzazione della Federazione, e che solo assai piccole minoranze sono decisamente ostili ed interessate al mantenimento del vecchio regime delle sovranità nazionali. Alla falsa cultura nazionalista che può prosperare solo se si mantengono le divisioni e gli odi nazionali, si contrappone la grande e gloriosa cultura europea che non ha mai conosciuto frontiere e che è da esse deformata e falsata. Ai ristretti quadri militari, diplomatici e amministrativi delle alte burocrazie nazionali, che sono le vere dominatrici degli apparati statali, si contrappongono le innumerevoli amministrazioni locali, cittadine, regionali e persino nazioni, che sono oppresse dalle pretese centralizzatrici dello stato sovrano. Ai gruppi dirigenti delle organizzazioni politiche, che pensano solo alla loro partecipazione ai governi nazionali, si contrappongono le immense masse dei loro seguaci ed elettori, che credono agli ideali universali predicati da questi partiti. Ai gruppi monopolistici e corporativi, cui lo stato garantisce mercati nazionali riservati, si contrappongono tutti quegli imprenditori e lavoratori che sarebbero avvantaggiati dall’apertura di grandi mercati, e tutti i consumatori che con l’abolizione delle frontiere vedrebbero aumentare il loro livello di vita. Ai profittatori delle tensioni e dei pericoli di guerra derivanti dalle divisioni nazionali, si contrappongono le immense masse di uomini e donne cui l’unità europea darebbe un’accresciuta garanzia di pace. Ai gruppi sociali che occupano in questo o quel paese situazioni privilegiate e che non potrebbero mantenerle ove venisse meno la sovranità nazionale, si contrappongono i gruppi sociali danneggiati da quei privilegi, e quelli condannati a restare in una situazione depressa nel quadro nazionale. Alle vecchie generazioni, abituate ormai a non concepire altra forma di esistenza politica che non sia quella dello stato nazionale, si contrappongono le giovani generazioni per le quali lo stato nazionale è sinonimo di immobilità politica e sociale, di umiliazione ed impotenza internazionale, di chiusura progressiva di orizzonti ideali. Agli interessi di alcune amministrazioni ed imprese egoisticamente legate alla continuazione della politica coloniale del proprio stato nazionale, si contrappongono le aspirazioni dei gruppi più evoluti dei territori d’oltre mare, formati dalla civiltà europea e desiderosi di porre i rapporti fra i loro popoli e l’Europa su una base di uguaglianza di diritti e di solidarietà umana. Tuttavia finché restano inquadrati, deformati, e dominati dalle strutture nazionali, anche i gruppi più interessati all’unità europea non riescono nemmeno a scorgere in che modo essa possa essere realizzata, e continuano vanamente a tentare di perseguire i loro ideali ed i loro interessi nel quadro nazionale. In tutti questi gruppi della società europea i federalisti si propongono di destare la coscienza dell’alternativa fra Europa e vita politica nazionale, e di suscitare la volontà di realizzare quella. A tutti coloro che riconoscono che il momento è venuto di opporre una protesta europea contro le abusive pretese degli stati nazionali, a tutti coloro che rifiutano di accettare che tutta la loro vita politica si svolga nell’ambito nazionale, i federalisti chiedono di unirsi (…).

- “La strategia dell’azione federalista”

La lotta per il popolo europeo non è neanch’essa una serie lineare e progressiva di piccole vittorie parziali. Seguendo il ciclo delle crisi del regime delle sovranità nazionali essa attraversa periodi in cui va contro corrente, perché va contro tutte le apparenze del momento. Essa allora non può realizzare, ma solo estendersi, consolidarsi, levare ogni giorno più alta la voce della sua opposizione. Giunge infine il momento critico in cui la sua forza costruttiva, coincidendo con il disordine crescente del vecchio regime europeo, rende possibile la prima e decisiva capitolazione degli stati nazionali. Se questa non ha luogo, la sconfitta è inevitabile, ed i federalisti non hanno altra scelta che ricominciare da capo, con l’ostinazione che viene dalla certezza che non c’è altra via per l’avvenire dell’Europa fuorché quella della federazione. (…)

Capitolo VII. “Dalla costituzione federale alla società europea”

- “La politica necessaria alla Federazione europea”

I federalisti concentrano oggi tutta la loro azione nella lotta per la Costituzione degli Stati Uniti d’Europa, proprio perché sanno che l’unificazione europea sarà l’opera difficile e paziente di una generazione intera, e che perciò il popolo europeo non potrà realizzarla, se non avrà occhi per vedere e mani per agire. La Costituzione e il governo federale non sono fini a sé stessi; non sono nemmeno il superfluo coronamento di un’opera che potrebbe essere compiuta anche senza di essi; sono lo strumento indispensabile per fare la politica dell’unificazione europea con i metodi della democrazia europea. (…)

- Conclusione. “Le responsabilità europee”

La nostra epoca ha aperto all’umanità due prospettive che non hanno precedenti in tutta la sua lunga storia. Da una parte è infine possibile accingersi a sopprimere ovunque la miseria, l’ignoranza, lo sfruttamento del povero da parte del ricco, del debole da parte del potente; è stato lo spirito europeo a tracciare questa strada. Dall’altra è possibile che l’umanità cessi di esistere del tutto; ed è stato ancora lo spirito europeo a fornire le forme politiche e gli strumenti scientifici atti ad effettuare questo suicidio collettivo. L’Europa non è sola a portare la responsabilità della scelta fra questi due cammini, ma la parte di responsabilità che pesa su di lei è maggiore di quella che pesa su qualsiasi altro popolo. (…)

Appendice

Lettera accompagnatoria alla prima stesura del Manifesto dei federalisti europei

Caro amico,

da parecchio tempo mulina nella testa mia e di alcuni amici l’idea che occorrerebbe formulare in una specie di manifesto le idee fondamentali del federalismo europeo in modo da avere un documento non del tutto effimero, che sia il biglietto di presentazione dei federalisti di tutta Europa. Per preparare il documento di lavoro ho tentato nell’estate scorsa di fare io la prima redazione, che è già tradotta in francese e di cui è in corso la traduzione in tedesco. Prima di rendere definitivo il testo, mi sarebbe assai caro conoscere critiche e giudizi di alcuni amici che più stimo, ed ai quali perciò mando, come a Lei, questa lettera e il progetto di manifesto.

Affinché Lei abbia subito un’idea generale del suo contenuto, mi permetto di indicarle la linea di pensiero che ho cercato di seguire. Nella prefazione definisco in poche parole la maledizione che pesa sull’Europa. Nel Cap. 1 racconto per sommi capi le fasi della crisi del sistema europeo dall’inizio della guerra mondiale a oggi. Nel Cap. 2 indico come la sovranità nazionale non serva oggi più ai popoli europei, ma solo a determinati gruppi di profittatori, e che la permanenza delle sovranità nazionali costituisce un pericolo per la democrazia. Nel Cap. 3 mostro che le situazioni politiche che permettono agli europei di affrontare i problemi comuni insieme, e cioè come popolo europeo sono quelle federali. Nel Cap. 4 indico i nemici principali della prospettiva di un’Europa federata. Nel campo estero l’avversario principale è il governo sovietico, nel campo interno è il nazionalismo che si manifesta come nazionalismo comunista, democratico e dei governi anche quando pretendono di essere europeisti. Nel Cap. 5 faccio un elenco delle false soluzioni più frequentemente proposte dagli uomini politici di oggi. Nel Cap. 6 delineo le linee dell’azione politica dei federalisti, le ragioni per cui la loro richiesta fondamentale è quella dell’elezione diretta di un’Assemblea Costituente Europea, il modo in cui essi possono contare di inserirsi nella realtà come una forza politica. Nel Cap. 7 indico che la federazione non è uno schema istituzionale vuoto ma implica una certa politica federale: la politica dello sviluppo e del consolidamento all’interno e verso l’esterno della federazione e della società europea. Questa politica implicherà uno schieramento politico che contrapporrà in un giuoco democratico il partito del progresso federale e quello della conservazione nazionale. Nel resto del capitolo espongo i dati fondamentali della politica nella creazione delle istituzioni federali europee.

Mi permetto anche di attirare la Sua attenzione su un criterio che è alla base di questo saggio, e che, benché non sia formulato in nessuna parte, occorre aver presente per intendere la ragione di certi silenzi e di certi discorsi. Non ho voluto dare al manifesto un fondamento storico-filosofico. Non ho perciò fatto la filosofia della storia dello stato nazionale. La tentazione era forte di farla; si poteva secondo lo schema dialettico hegeliano-marxista, mostrare prima la necessaria grandezza e poi la necessaria decadenza dello stato nazionale, giustificarlo ed insieme condannarlo, come fa Marx con il capitalismo. Di proposito il manifesto non espone la dialettica dello stato nazionale europeo. Si può essere federalisti sia se si segue il pensiero dialettico che attribuisce un momento positivo a tutto, anche a ciò che si vuole negare; sia se si segue il pensiero illuminista, che rifiuta ogni attenuante dialettica al male che si combatte.

Non ho nemmeno voluto dare al manifesto un fondamento dottrinario, deducendo il federalismo europeo da una astratta o integrale dottrina federalista che rappresenti la società perfetta. Il federalismo europeo è il mezzo per risolvere oggi alcuni gravissimi problemi della convivenza degli Europei fra loro e con il resto del mondo.

Se a questo manifesto mancano sullo sfondo sia la “Storia”, sia la “Mente”, e se esso è perciò del tutto pragmatico, o se si vuole hamiltoniano o machiavellico, ho cercato invece di dare un contenuto denso di storia e di dottrina politica ad ognuna delle affermazioni fondamentali che esso contiene.

Se sia riuscito, è anche da Lei che attendo di saperlo.

Altiero Spinelli

Ricordiamo che un’edizione del Manifesto, a cura di Piero Graglia, è stata recentemente pubblicata dalla casa editrice Ultima Spiaggia (2016).

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