Il cielo: un campo di battaglia altamente strategico
La conferenza ha riunito, a margine del Salone Internazionale dell’aeronautica e dello spazio di Paris-Le Bourget, esperti della difesa antiaerea e politici francesi tra cui il Ministro della Difesa, Sébastien Lecornu, e lo stesso Emmanuel Macron, per rispondere alla domanda: come garantire la difesa aerea dell’Europa? Ancora una volta, l’ombra del conflitto ucraino aleggia sulle teste degli oratori. Di fronte agli immensi sforzi compiuti dalla Russia per distruggere i sistemi di difesa ucraini e ai colossali mezzi utilizzati dall’Ucraina per rendere il cielo tanto pericoloso per l’aviazione quanto il terreno per la fanteria e i veicoli corazzati, gli Stati europei stanno prendendo atto dell’importanza assunta dai missili balistici e terra-aria nei conflitti contemporanei.
Michel Goya, esperto di storia militare e lui stesso ex militare, ha dimostrato negli ultimi mesi, su più livelli, fino a che punto l’aviazione era sorprendentemente assente da questo conflitto e proprio a causa di questa evoluzione. Del resto, i militari ucraini sono perfettamente consapevoli della loro inferiorità nel settore dell’aviazione. È senza dubbio da questo stato delle cose che derivano le incessanti richieste dell’Ucraina di ottenere aerei dalle potenze occidentali. Per compensarla, la strategia scelta è quindi quella di trasformare il cielo in un campo di battaglia per dissuadere l’aeronautica russa dall’utilizzo della sua potenza di fuoco, con il supporto di equipaggiamenti occidentali, tra cui il famosissimo sistema missilistico MM-104 Patriot ma anche il sistema franco-italiano SAMP/T. Così indebolito, l’esercito russo risponde lanciando massicci attacchi missilistici che l’esercito ucraino sta tentando di rendere i più inutili possibili, schierando sistemi in grado di intercettare i proiettili. Ci si chiede allora se ordinare degli aerei sia davvero utile nel contesto di un combattimento a colpi di missile. In ogni caso, l’Europa sta prendendo coscienza del rischio balistico rappresentato dall’aumento dell’importanza attribuita ai missili. La conferenza del 19 giugno 2023 si concentrava proprio su come proteggersi da tali armi.
Un "progetto europeo” francese ostacolato
All’apertura della conferenza, il Ministro Lecornu ha ricordato, in linea con il discorso di Emmanuel Macron, che l’Unione Europea deve dotarsi di capacità autonome di difesa strategica allo scopo di non dipendere dagli Stati Uniti o dalla NATO in un momento in cui tutte le maggiori potenze stanno investendo considerevolmente sulla difesa antiaerea. Per fare ciò, la Francia propone una linea semplice: utilizzare il tessuto industriale europeo per dotare l’Unione Europea di attrezzature militari ad alte prestazioni e adattate al contesto. Con attrezzature europee si intendono soprattutto attrezzature francesi: perché, in realtà, la Francia sta già offrendo i propri missili Mistral. Al termine della conferenza, Belgio, Cipro, Estonia, Ungheria e Francia hanno firmato un contratto di acquisto di gruppo di missili Mistral, prodotti dalla società MBDA. Questa si aggiunge a una lista di altre iniziative nel settore della difesa antiaerea avviate o co-avviate dalla Francia, come il sistema missilistico MAMBA in partenariato con l’Italia. La Francia sta quindi tentando di riunire sempre più Paesi europei attorno al suo progetto di difesa autonoma.
Ma queste iniziative si scontrano con un’altra e altrettanto importante guidata dalla Germania: lo «European Skyshield“, ovvero lo»scudo antimissile europeo«. Questo progetto ha le sue origini in una lettera di intenti firmata dai 14 Paesi alleati della NATO e dalla Finlandia sulla base di una»iniziativa europea per la difesa del cielo”. Due grandi Paesi europei non hanno siglato: la Polonia, che preferisce istituire un proprio sistema, e la Francia. Il progetto tedesco consiste nella costruzione di uno scudo di difesa antiaerea sul modello della "Cupola di Ferro” israeliano, nel quadro dell’Alleanza Atlantica e non in quello dell’UE. Sulla carta, questo scudo deve combinare 3 sistemi missilistici: l’IRIS-T tedesco - potenzialmente sostituito da un sistema norvegese a causa dell’obsolescenza del sistema tedesco -, il PATRIOT americano e l’americano-israeliano US Arrow-3. Ma questo solamente sulla carta poiché, al momento, questo scudo non ha ancora superato le fasi amministrative di autorizzazione all’esportazione. A sua volta, la Germania sta tentando di radunare tutti attorno al suo progetto antiaereo. L’ opposizione tra i due grandi Paesi europei si aggiunge alla lista di quelle già dichiarate in materia di difesa.
La strategia militare: il pomo della discordia del motore franco-tedesco
Il dossier costituisce un punto caldo delle relazioni tra i due vicini renani. Pensiamo, ad esempio, allo stato di avanzamento dei precedenti progetti europei di difesa: lo SCAF (Système de Combat Aérien du Futur) e l’MGCS (Main Ground Combat System). Pensiamo anche alla svolta della divisione che ha costituito il discorso di Praga del Cancelliere Olaf Scholz del 20 agosto 2022: questi tafferugli hanno la conseguenza di far saltare il progetto di difesa comune tanto caro a Emmanuel Macron. Ma le ragioni di queste prese di posizione non sono nuove. Tutti sanno dell’atlantismo manifestato dalla Germania. Lo stesso giorno della conferenza sulla difesa aerea dell’Europa, Olaf Scholz teneva una conferenza stampa con il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, durante la quale ha ribadito che la NATO rappresentava il principale strumento di difesa europeo. Anzi, la Germania aumenterà il suo bilancio della difesa per raggiungere il 2% del suo PIL.
Non dimentichiamo nemmeno che la Germania ha optato per l’acquisto di F-35 americani per sostituire i suoi vecchi aerei Tornado, invece di aerei europei. È invece cosa meno nota il fatto che si sia anche ritirata dal programma di pattugliamento aereo MAWS (Maritime Airborne Warfare System) e che non parteciperà allo sviluppo dell’elicottero da combattimento Tigre MK3 franco-spagnolo. Tutti questi programmi sono stati sostituiti da attrezzature di fabbricazione americana per la Bundeswehr (forze armate della Repubblica Federale di Germania). I segnali non vanno quindi nella direzione di un’adesione della Germania a una difesa veramente europea, dalla produzione all’utilizzo delle attrezzature. D’altra parte, la Francia intende mantenere il suo rango di prima potenza militare dell’Unione Europea, una posizione che rischia di esserle contestata dai pesanti investimenti militari della Germania e dallo sviluppo dell’esercito polacco. Essa pone dunque la sua dottrina di dissuasione, basata principalmente sulle armi nucleari, come modello da costruire attraverso capacità comuni al livello dell’Unione Europea. Intende inoltre fare della sua industria, e di quella europea, la punta di diamante dell’autonomia strategica europea. Se un combattente si avventura da solo, l’altro risponderà con una cavalcata solitaria a sua volta.
Una discordia dannosa per la costituzione di una difesa comune europea
Questo atteggiamento ridondante alla fine danneggia la causa della difesa comune europea. L’ostacolo principale è in definitiva la presenza della NATO in Europa e il ruolo troppo importante assunto dagli Stati Uniti all’interno dell’organizzazione. E se fosse invece possibile una difesa europea? Dopotutto, il modello di una difesa multilaterale esiste già e riguarda il continente europeo molto più del Nord America: si chiama NATO. Qualche riluttanza indica che la problematica riguarda il modo in cui formare un comando che integri tutte le parti interessate a questa difesa. Ricordiamo che la NATO è dotato di un organismo che, d’altronde, è stato oggetto di numerose tensioni, soprattutto da parte francese. La questione dell’onnipresenza degli Stati Uniti è intimamente legata alla questione industriale. Nonostante la Cina dovesse rappresentare la principale preoccupazione dello zio Sam, la guerra in Ucraina lo ha costretto a girare di nuovo la testa verso il vecchio continente. Le iniziative tedesche restano quindi delle garanzie del mantenimento del ruolo degli Stati Uniti nella difesa europea.
Tuttavia, degli strumenti industriali e giuridici sono disponibili nell’Unione Europea al fine di andare avanti con la questione. Per quanto i suoi detrattori si lamentino della mancanza di cooperazione da parte degli industriali, che cercano di sfruttare la situazione a proprio vantaggio, la volontà politica non sta imboccando la giusta direzione. E l’argomento dell’urgenza non può essere valido in alcun caso. In effetti, se l’urgenza c’è, le attrezzature europee esistono già e spetta agli Stati modernizzarle partecipando insieme in stretta cooperazione. Il denaro investito nell’acquisto di attrezzature non europee potrebbe essere utilizzato come sussidio alla difesa europea.
La NATO fa rima con la difesa comune dell’Europa?
Infine, concludiamo con un’osservazione. Un programma specifico per la difesa comune dell’Europa potrebbe certamente somigliare a un duplicato della NATO. Tuttavia, l’organizzazione atlantica è molto più europea che altro. Senza respingere totalmente gli Stati Uniti, o lasciare da parte il Canada, un’iniziativa più pertinente potrebbe consistere nel rivedere la copia del trattato atlantico per concentrare gli sforzi sull’Europa, tra europei. Di conseguenza, una riorganizzazione potrebbe costringere tutti gli Stati europei a investire nella propria autonomia strategica. Inoltre, ciò integrerebbe gli Stati che non sono parte dell’Unione Europea, il che porterebbe ad abbandonare l’idea di una difesa specifica per l’Unione, poiché è possibile riflettere sull’idea di disperdere gli sforzi tra un’organizzazione già ben consolidata, solida nonostante tutto e organizzata, ovvero la NATO, e una futura amministrazione di difesa propria dell’Unione Europea ma che includerebbe tutto sommato le stesse prerogative.
L’unica differenza tra i due sarebbe di carattere giuridico: la NATO non è un’alleanza offensiva, mentre un’organizzazione di difesa comune dell’Unione Europea potrebbe acquisire forza di proiezione al fine di condurre operazioni offensive esterne. In questo caso, quali sarebbero i legami tra la NATO e un’organizzazione di difesa dell’Unione Europea? Sulla base delle relazioni tra l’organizzazione atlantica e i programmi già esistenti nell’Unione Europea (PSDC, AED, ecc.), si può concludere che sarebbero orientati verso uno sforzo di complementarità. Al momento, le istituzioni dell’UE sono obbligate a lasciare agli Stati membri la scelta della loro bussola strategica di difesa. Se questi ultimi ritengono che essa non riesca a vedersi senza la NATO, così sia. E questo è il caso di molti Paesi europei, membri o meno dell’UE.
Il politico si nasconde così dietro l’ipocrita argomentazione della mancanza di mezzi ed efficacia dei programmi di difesa europei, senza tuttavia fare gli sforzi necessari per porvi rimedio. Quindi, è forse qui che le barriere possono essere abbattute, vale a dire che se gli Stati membri riescono ad avere fiducia nelle capacità europee, essi si rivolgeranno a loro piuttosto che alla NATO. Il rischio è quello di ritrovarsi divisi tra un’organizzazione che include la maggior parte dei Paesi europei - e tra questi, delle significative potenze militari, la NATO, - e una potenziale organizzazione di difesa specifica dell’Unione europea in quanto organismo di cooperazione con la NATO, senza includere ulteriormente gli Stati non membri dell’UE. Ma una suddivisione del continente in più organizzazioni di difesa non costituisce una soluzione necessariamente duratura.
In definitiva, la difesa europea resta una chimera per molti degli attori coinvolti. Iniziative così sparse non possono far progredire quella mentalità che rimane fissa sul sentimento di divisione e di individualismo in Europa. Eppure, le evoluzioni del mondo non possono che invitare gli Stati europei a dotarsi realmente di capacità autonome. Gli Stati Uniti, certamente lontani dallo smantellamento, non saranno in grado di mantenere da soli una parte in opposizione alle future grandi potenze come la Cina, aggressiva e ambiziosa. Quindi, hanno tutto l’interesse a vedere alleati europei dotati di capacità di difesa in maniera durevole e solida. Inoltre, bisogna chiedersi quale sarebbe la posizione dell’Europa se dovesse scoppiare un conflitto tra Cina e Stati Uniti, ad esempio, in merito a Taiwan. Una forza deterrente credibile non sarebbe uno degli strumenti essenziali per pesare l’equilibrio mondiale? È questo l’intero paradosso di questa situazione. Colma di contraddizioni com’è, la difesa europea è comunque una prospettiva inevitabile e vitale.
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