Con la caduta del Muro di Berlino (1989) e la successiva dissoluzione dell’URSS (1991), l’Europa ha conosciuto un processo di integrazione e cooperazione più profonda tra i suoi Stati per superare le divisioni che la videro coinvolta durante gli oltre quarant’anni della Guerra Fredda.
Tali episodi si sono tradotti nella necessità di rivedere le relazioni tra gli Stati e hanno portato a un mutamento politico ed economico del continente, aprendo la strada alla nascita di nuove Istituzioni e nuove sfide, attraverso le quali l’Unione europea ha preso forma in un processo iniziato all’indomani della Seconda guerra mondiale con la fondazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA).
Tasselli fondamentali per l’evoluzione dell’UE sono stati i Trattati succedutisi nel tempo, dal primo, quello di Maastricht (1992), che ha sancito la sua formale istituzione, fino al Trattato di Lisbona (2007), che ne ha creato l’attuale struttura.
Il Trattato di Maastricht
La firma del Trattato di Maastricht ha rappresentato il culmine di un processo diplomatico che vide protagoniste la Francia e la Germania appena riunificata. Subito dopo la caduta del Muro di Berlino, tra i Paesi europei dell’ex blocco occidentale si temeva un avvicinamento della Germania riunificata verso l’URSS, tanto che il Presidente francese François Mitterrand avrebbe inizialmente preferito che il Paese rimanesse diviso per ovviare a questa eventualità. Una voce rassicurante arrivò proprio dal Cancelliere federale Helmut Kohl, il quale sosteneva che l’unità tedesca si sarebbe potuta realizzare in sicurezza soltanto in nome dell’unità europea.
Il 19 aprile del 1990, Mitterrand e Kohl proposero una Conferenza intergovernativa (CIG) sull’unione politica al fine di rafforzare le Istituzioni comunitarie e, soprattutto, [per definire e mettere in pratica una politica estera e di sicurezza comune. L’esposizione della loro visione sulla futura unione politica e le misure per raggiungerla anticipò la firma del Trattato di Maastricht.
Nel 1991 gli allora dodici Stati membri delle Comunità europee – la CECA, la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea dell’energia atomica (EURATOM) – si riunivano al vertice europeo tenutosi a Maastricht, città olandese che diede i natali all’Unione europea come la conosciamo oggi. È qui che il 7 febbraio del 1992 veniva firmato il Trattato sull’Unione europea (TUE) o Trattato di Maastricht, entrato in vigore il 1° novembre del 1993. Esso rappresentava il traguardo di un percorso avviato nel 1983 con la Dichiarazione solenne sull’Unione europea, adottata al Consiglio europeo di Stoccarda, in occasione del quale si ribadiva l’idea di accostare un’unione politica alla CEE. A dare impulso ad un modello embrionale di unione politica era stato anche l’Atto Unico Europeo del 1986.
La firma del Trattato di Maastricht ebbe un profondo impatto sul processo di unificazione europea in quanto permise l’avvio dell’integrazione sul piano politico. L’Unione europea così creata istituiva un nuovo assetto istituzionale comunitario basato su tre pilastri: la Comunità europea, la Politica estera e di sicurezza comune (PESC) e la cooperazione di polizia e giudiziaria in ambito penale, che rientra nel settore denominato “Giustizia e Affari Interni” (GAI). Il primo pilastro fondeva le tre Comunità europee raggruppandone attività e procedure operative e decisionali, mentre il secondo copriva diversi ambiti d’azione, tra cui dialoghi politici, aiuti umanitari, sicurezza, prevenzione dei conflitti, gestione delle crisi e disarmo. Infine, il terzo pilastro si rivolgeva a questioni quali asilo e immigrazione, cooperazione di polizia e giudiziaria, lotta contro il crimine organizzato e il terrorismo. Oltre alla definizione dei tre pilastri, il Trattato fissava le norme per il raggiungimento di un’unione economica e valutaria con una moneta condivisa (UEM), ossia il mercato unico europeo, che verrà istituito il 1° gennaio del 1993 e che consentirà a merci, servizi, persone e capitali di circolare liberamente nell’UE [1]. Il Trattato di Maastricht, inoltre, conferiva al Parlamento maggiori poteri nel processo decisionale e introduceva la cittadinanza europea che riconosce diversi diritti in capo alle sue cittadine e ai suoi cittadini – come la libera circolazione e soggiorno all’interno dell’UE o il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali o del Parlamento europeo nello Stato membro in cui si risiede [2].
Il Trattato di Amsterdam
Nel marzo del 1996 si apriva a Torino la CIG per la revisione del Trattato sull’Unione europea, in occasione della quale gli allora quindici Stati membri dell’Unione rivolsero la loro attenzione su come avvicinare l’Europa ai suoi cittadini; sulla creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia; sul rafforzamento della politica di sicurezza estera e comune (PESC); sulla riforma delle istituzioni e del funzionamento dell’UE verso una maggiore democrazia ed una migliore efficienza in vista dell’allargamento ai paesi dell’Europa centro-orientale, Malta e Cipro [3].
Il risultato della Conferenza è stata la stipula del Trattato di Amsterdam, firmato nell’omonima città olandese il 2 ottobre del 1997, ed entrato in vigore il 1° maggio del 1999. Il Trattato modificava alcune disposizioni dei Trattati precedenti: consentiva, in particolare, il rafforzamento della posizione dei diritti umani e l’integrazione dell’acquis di Schengen nell’UE, nonché la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, rafforzando i mezzi per agire in materia di politica estera.
Gli accordi di Schengen – che hanno permesso la creazione della più vasta zona di libera circolazione al mondo attraverso l’eliminazione dei controlli alle frontiere – inizialmente nati al di fuori del contesto comunitario, erano in tal modo integrati nei Trattati europei. Venivano inoltre attribuite maggiori competenze al Parlamento – che acquisiva il diritto di approvare la nomina del Presidente della Commissione – e si sarebbe fatto da ora un più ampio ricorso alla procedura legislativa ordinaria. Infine, il Trattato prevedeva il ricorso alle cooperazioni rafforzate, grazie alle quali alcuni Stati membri avrebbero avuto la possibilità di avviare tra loro forme di integrazione in determinati settori.
I progressi compiuti dal Trattato di Amsterdam sulla riforma delle Istituzioni sono però stati, nel complesso, piuttosto limitati. Conseguentemente, si è deciso di avviare ulteriori negoziati in merito alla questione istituzionale prima di qualsiasi nuovo allargamento, seguendo la dichiarazione di Belgio, Francia e Italia, allegata al Trattato, che riconosceva il rafforzamento delle istituzioni come “condizione indispensabile per la conclusione dei primi negoziati di adesione”.
Il Trattato di Nizza
Il Trattato di Nizza è stato siglato nell’omonima cittadina francese il 26 febbraio del 2001 con entrata in vigore il 1° febbraio del 2003. La novità principale introdotta dal Trattato è stata la proclamazione ufficiale della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, anche nota come Carta di Nizza, redatta tra il dicembre del 1999 e il settembre 2000, che stabiliva i diritti civili, politici, economici e sociali dei cittadini europei. Con questo Trattato, è stato esteso l’ambito della cooperazione rafforzata al settore della politica estera e della sicurezza.
Durante i lavori preparatori al Trattato di Nizza, il Consiglio europeo sviluppò un nuovo piano per incentivare l’occupazione, modernizzare l’economia e rafforzare la coesione sociale in Europa. Si trattava della “strategia di Lisbona”, che aveva come obiettivo quello di trasformare l’UE nello spazio economico più competitivo e dinamico del mondo entro il 2010.
Lo scopo della CIG che ha preparato la strada alla stipulazione del Trattato era quello di riformare le Istituzioni europee per evitare il rischio di paralisi e garantire una maggiore efficienza nel funzionamento dell’UE dal momento che ci si aspettava un allargamento a 27 Paesi negli anni successivi. Il dibattito più acceso riguardava il tema della rappresentanza degli Stati membri nelle Istituzioni allargate. Il fulcro della questione posava sul delicato equilibrio tra gli organismi e l’influenza di ciascun Paese membro all’interno delle Istituzioni, ossia la sua capacità di indirizzare le politiche dell’UE. Se, da un lato, l’obiettivo risiedeva nel mantenere il processo decisionale efficiente anche a seguito dell’aumento del numero degli Stati membri, dall’altro, i Governi miravano a promuovere i propri interessi nazionali. Inoltre, sebbene ci si aspettasse l’ingresso di dodici nuovi Paesi impegnati nei negoziati di adesione, non veniva preso in considerazione l’eventuale ingresso futuro di paesi come la Turchia e gli Stati balcanici. In sintesi, il Trattato di Nizza ha il pregio di aver reso possibile l’allargamento dell’Unione, stabilendo la posizione dei nuovi aderenti all’interno delle Istituzioni europee, ma non ha dato risposta agli interrogatori sul futuro dell’UE.
L’atteso processo di adesione dei Paesi dell’ex blocco orientale all’UE – già avviato con la riunificazione della Germania – avverrà tra il 2004 e il 2007, quando dodici Paesi entreranno a far parte dell’UE, portando il numero dei membri da quindici a ventisette, di cui la maggior parte appartenenti in passato all’URSS o suoi satelliti.
Il Trattato di Lisbona
La questione più travagliata che ha caratterizzato il periodo intercorso tra la stipula del Trattato di Nizza e quello di Lisbona è stata rappresentata dal tentativo di adottare una Costituzione europea, ossia un testo unico che potesse armonizzare e integrare tutti i trattati fondativi dell’UE redatti nel tempo.
Sin dalla nascita dell’Europa comunitaria, i militanti federalisti auspicavano in un inquadramento dell’integrazione economica – concretizzatasi nel 1951 con la creazione della CECA – in una cornice politica e democratica da realizzarsi attraverso l’elaborazione di una costituzione comune. Fu proprio su questo progetto che si mosse nel 1979 il Parlamento europeo, seguendo la volontà del federalista Altiero Spinelli.
Più tardi, il 15 dicembre del 2001, il Consiglio europeo convocava una Convenzione sul futuro dell’UE, in occasione del quale si decise di ragionare sulla stesura di un trattato costituzionale. Ciò a cui si ambiva era un’Unione maggiormente democratica, trasparente ed efficiente che doveva sviluppare una strategia per “avvicinare i cittadini, soprattutto i giovani, al disegno europeo e alle Istituzioni europee”, “organizzare la politica e lo spazio politico europeo in un’Unione allargata” e “trasformare l’Unione in un fattore stabilizzante e modello nel nuovo mondo multipolare”, muovendosi verso una Costituzione per i cittadini europei. Il “Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa” veniva firmato il 29 ottobre 2004 al Consiglio europeo di Roma da parte di venticinque Stati membri. Tuttavia, esso non è mai entrato in vigore a causa della mancata ratifica ai referendum di Francia e Paesi Bassi che ha portato alla sospensione del progetto. Da questo intoppo scaturiva la più grande crisi conosciuta dell’UE, che sarebbe durata due anni.
Nel 2007 – anno del definitivo abbandono del disegno costituzionale – veniva infine raggiunto alla CIG un accordo politico sul testo del Trattato di riforma. Il Trattato di Lisbona è stato firmato il 13 dicembre del 2007 ed è entrato in vigore il 1° dicembre del 2009. Il suo scopo era la modifica del TUE e del Trattato che istituisce la Comunità europea, che diventerà il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Curiosamente, al suo interno non vi sono riferimenti alla Costituzione, anche se il nuovo Trattato nasceva fondamentalmente dal progetto costituzionale del 2004 e diverse innovazioni derivanti da quest’ultimo vi saranno incluse.
Il Trattato di Lisbona ha portato diverse novità: i tre pilastri fondati a Maastricht sono stati accorpati tra loro; è stata riconosciuta personalità giuridica in capo all’UE, sostituendo le Comunità; la Carta dei diritti fondamentali è stata resa giuridicamente vincolante, assumendo quindi lo stesso valore giuridico dei trattati ai sensi dell’art. 6 del TUE, e diventando pienamente vincolante per le istituzioni europee e gli Stati membri. Il Trattato ha previsto inoltre: il rafforzamento dei poteri legislativi e di bilancio del Parlamento europeo; la ridefinizione e l’estensione del voto a maggioranza qualificata all’interno del Consiglio; l’ufficializzazione del Consiglio europeo come istituzione e l’introduzione, in esso, della carica di Presidente; la creazione della figura di Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza; il rafforzamento del ruolo dei Parlamenti nazionali; l’introduzione dell’“iniziativa dei cittadini europei”, strumento che consente loro di rivolgersi alla Commissione per chiedere di presentare atti legislativi o altre misure riguardanti i settori di sua competenza.
Il nuovo Trattato, inoltre, ha definito in con maggiore chiarezza e trasparenza la ripartizione delle competenze fra Stati membri e Istituzioni europee secondo il principio di sussidiarietà, introdotto dal TUE. Tale principio poggia sul riconoscimento di un certo grado di indipendenza nei confronti di un’autorità subordinata rispetto ad un potere superiore. Ciò comporta, di conseguenza, una ripartizione di competenze tra differenti livelli di potere, e rappresenta il perno istituzionale degli Stati a struttura federale. Applicato all’UE, il principio disciplina l’esercizio delle competenze non esclusive: qualora un’azione possa essere efficacemente realizzata da parte dei Paesi membri – analogamente a livello centrale, regionale o locale – è escluso l’intervento dell’UE; in caso contrario, essa è chiamata ad agire a patto che sussistano contemporaneamente due condizioni: gli Stati membri non sono in grado di raggiungere gli obiettivi in misura soddisfacente e l’azione sostitutiva dell’Unione è funzionale al pieno conseguimento dello scopo in questione.
Con il Trattato di Lisbona, la struttura a tre livelli e i relativi settori di competenza introdotte dal TUE permangono: nelle materie di competenza esclusiva – come l’unione doganale o la politica monetaria – solo l’UE può legiferare; i settori di competenza concorrente – tra cui mercato interno, ambiente, energia – prevedono la compartecipazione legislativa dell’UE e dei governi nazionali; infine, per quanto concerne le competenze di sostegno – cultura, turismo, istruzione e altre – sono gli Stati membri a legiferare, con l’assistenza o il coordinamento, se necessari, da parte dell’UE. Con il Trattato di Lisbona, la novità risiede nel fatto che l’intervento regolatore da parte dell’UE nelle materie concorrenti è sottoposto a più rigorose e precise condizioni per essere giustificato.
Quale futuro per l’UE?
Nella sua evoluzione, l’UE ha dovuto riformare le sue istituzioni, ridefinire i suoi settori d’azione e prepararsi al ridimensionamento dei suoi confini. Eventi come la crisi finanziaria, terroristica e migratoria, nonché la Brexit, hanno stimolato un dibattito pubblico che ha portato a interrogarsi sul futuro dell’Unione. Nel 2017, la Commissione Juncker ha presentato il Libro Bianco sul futuro dell’Europa nel quale individuava diversi scenari su come l’UE avrebbe potuto evolversi entro il 2025 e far avanzare la propria integrazione [4].
Con l’elezione a Presidente della Commissione di Ursula von del Leyen il dibattito sul futuro dell’Europa è diventato una priorità politica. Nel maggio del 2022 si è conclusa la Conferenza sul futuro dell’Europa iniziata l’anno precedente, le cui proposte guardavano, tra le altre cose, ad una migliore applicazione del diritto dell’UE e alla modifica dei Trattati. La risoluzione adottata dal Parlamento alla fine lavori elogiava la partecipazione innovativa dei cittadini alla Conferenza, sottolineando che una maggiore trasparenza, responsabilità e democrazia nelle istituzioni sono necessarie per garantire un ruolo più rilevante nel processo decisionale. Nel giugno dello stesso anno il Parlamento ha adottato un’altra risoluzione con cui richiedeva una convenzione per attivare la procedura di revisione dei Trattati prevista dall’art. 48 del TUE [5], presentando specifiche proposte di modifica, tra cui l’adeguamento delle competenze dell’Unione in merito al settore delle minacce sanitarie transfrontaliere, al completamento dell’unione dell’energia, alla difesa, alle politiche sociali ed economiche.
Tuttavia, la modifica di un Trattato è sempre stata ed è tuttora una questione delicata, in cui il ruolo degli Stati membri rimane predominante. Da parte sua, il Consiglio ha espresso cautela in merito alla possibilità di iniziare un procedimento simile, sostenendo, tra l’altro, che la Conferenza non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 48 del TUE. Anche se le vulnerabilità emerse con la pandemia di Covid-19 o con la guerra in Ucraina possono portare a riconsiderare tale prudenza, la posizione di diversi paesi membri sembra sfavorevole ad addentrarsi in un procedimento di modifica degli attuali Trattati [6].
Il 2024 potrebbe invece essere l’anno propizio per una riforma: nell’ottobre scorso, infatti, è stato approvato un Rapporto sulla modifica dei Trattati istitutivi dell’Unione europea da parte della Commissione per gli affari costituzionali (AFCO), organo permanente del Parlamento che si occupa degli aspetti legati al processo di integrazione europea, come l’attuazione e la revisione dei trattati. Il rapporto è nato dalla proposta di cinque relatori del Gruppo Spinelli – che prende il nome dal padre del Movimento Federalista Europeo, Altiero Spinelli – comprendente i membri del Parlamento propugnatori di una riforma dei Trattati europei in senso federale. Lo scorso 22 novembre, il rapporto è stato approvato da parte del Parlamento europeo con 291 voti favorevoli, 279 contrari e 44 astensioni [7]. Spetterà ora al Consiglio decretare la sorte delle modifiche proposte [8].
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