Il Consiglio europeo del 19 dicembre scorso ha affrontato, per la prima volta dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il tema della difesa europea, posto all’ordine del giorno da un anno e, dunque, preceduto da un diffuso dibattito preparatorio.
La valutazione delle sue conclusioni non è, tuttavia, entusiastica. Esse contengono una serie di affermazioni di principio condivisibili, volte ad aumentare le capacità dell’UE in materia e a rilanciare l’industria europea della difesa, demandando agli organi europei una serie di obiettivi interessanti eppure davvero minimali. Non è certo la svolta di cui ci sarebbe bisogno, ma forse di più era difficile pretendere. Ad ogni modo la cosa più importante è che si sia ricominciato (dopo parecchi anni) a discutere dell’argomento. Vedremo se il confronto proseguirà con degli sviluppi interessanti. In questo senso potrebbe avere una notevole rilevanza l’impulso della presidenza italiana di turno nel secondo semestre del 2014, considerato che il Ministro degli Esteri Bonino ha indicato, in occasione di una intervista condotta da Paolo Mieli e trasmessa su Rai Storia, la questione della difesa comune europea come una delle priorità da prendere in esame.
Si può pensare che si tratti di una tematica troppo complessa da affrontare. In realtà lo è meno dell’unità economico-monetaria. In tal senso è utile rammentare che 60 anni fa proprio sul tema della difesa europea si arrivò “sulla soglia dell’unione”, come recita il titolo di un bel volume di Daniela Preda che racconta la storia del progetto di unione politica collegato a quello della Comunità europea di difesa. Nel 1954 - prima del voto che, unendo gli opposti estremismi del Parlamento francese, affossò il progetto - tutto era pronto fin nei minimi particolari. Il Trattato che definiva una forza europea di difesa, fondata sull’integrazione di reparti nazionali con un comando e una logistica totalmente europei, era già stato ratificato da 4 paesi su 6. Erano già concordati gli schieramenti delle grandi unità comuni e la foggia delle divise e dei gradi. E tutto questo era stato fatto da persone che, meno di un decennio prima, si erano, letteralmente, sparate addosso. Era stato, soprattutto, affrontato (e meglio di quanto non si sia fatto con la politica economico-fiscale in occasione della creazione della moneta unica) il tema della responsabilità politica democratica della catena di comando, prevedendo contestualmente la creazione di una comunità politica a cui avrebbe dovuto fare capo il vertice della difesa comune.
Una presenza europea nell’ambito della difesa è necessaria ora più di allora, quando l’alleato americano sopperì alla nostra incapacità, anche se a scapito della nostra autonomia. Adesso Washington ha interessi in parte diversi da quelli europei e, più in generale, guarda maggiormente verso il Pacifico che verso l’Atlantico. Come ha osservato Marta Dassù in un recente intervento su La Stampa, «…la sicurezza dei cittadini europei dovrà essere tutelata. Da noi stessi: l’epoca in cui sicurezza, interessi e valori europei venivano garantiti da altri, è parte del passato non del futuro». Inoltre, una politica estera comune non può prescindere da un congruo apparato difensivo. Consideriamo che dalla fine della guerra fredda la conflittualità geopolitica non è affatto diminuita, anzi per certi aspetti è diventata più incontrollabile. Ne sono consapevoli i Paesi emergenti (Brasile e Cina in testa) i quali stanno rafforzando considerevolmente i loro apparati militari.
L’esigenza di realizzare una politica estera e di difesa davvero europea non contrasta, peraltro, con le esigenze di contenimento della spesa pubblica. Anzi uno studio pubblicato dal Centro studi sul federalismo sui costi della non-Europa della difesa, recentemente citato anche dalla nota trasmissione Report, ha messo in evidenza come solo una difesa unica potrebbe coniugare razionalizzazione della spesa e miglioramento dell’efficienza operativa. I vertici della difesa italiana ne sono perfettamente consapevoli, come dimostra l’audizione del 18 settembre in Senato del Capo di Stato Maggiore della Difesa, in vista del Consiglio europeo sulla difesa.
L’Europa continua ad essere, secondo una battuta ormai classica, un gigante economico, un nano politico ed un verme militare. Ma è ormai evidente come il gigante sia sempre più traballante anche a causa della debolezza degli altri due pilastri.
Come 60 anni fa la questione è, in fondo, squisitamente politica. E la storia raramente dà una seconda chance, mai una terza. Il verme deve, dunque, crescere rapidamente, prima di incontrare uno scarpone che lo schiacci.
1. su 5 febbraio 2014 a 00:14, di Francesco Franco In risposta a: I piccoli passi del verme - Una difesa europea per avere risparmi e sicurezza
Faccio una domanda un poco ingenua. Essendo già tutto pronto e in un così minuto dettaglio, a quanto pare, non si potrebbero tirare fuori dagli archivi quei testi e sottoporli alla ratifica parlamentare da parte dei due parlamenti che la fecero venire meno così da fare entrare in vigore i trattati del 1954 invece di ricominciare tutte le discussioni da capo ?
2. su 4 marzo 2014 a 20:45, di Salvatore Aloisio In risposta a: I piccoli passi del verme - Una difesa europea per avere risparmi e sicurezza
Sono passati un po’ troppi anni e molte delle cose decise sarebbero da ripensare, dalle strategie alla logistica, dalla leva ai territori d’oltremare. È però una lettura interessante sia sotto un profilo storico che, soprattutto per la parte che riguarda la comunità politica ex art 38 del trattato CED , sotto uno giuridico istituzionale. La domanda è piuttosto questa: ma se una generazione che si era massacrata sui campi di battaglia è stata capace di arrivare così vicino all’unione, la nostra incapacità dopo tanti anni di piccoli passi è forse un sintomo della decadenza delle capacità politica che affligge i nostri giorni?
3. su 26 marzo 2014 a 11:00, di Andrea Tomelleri In risposta a: I piccoli passi del verme - Una difesa europea per avere risparmi e sicurezza
ricordo che alcuni passi sulla difesa europea si sono già fatti in nuce con i programmi europei per caccia da superiorità aerea (Eurofighter), elicottero da trasporto tattico (NH90) e fregate (FREMM). Per quel che riguarda l’itegrazione dei reparti l’Italia ha iniziato già da qualche anno addestramenti congiunti con gli alleati europei sia per alcune unità specializzate ( forze speciali e ranger alpini) sia partecipando attivamente alla creazione e all’attività addestrativa degli UE Battlegroup. in ogni caso questo è niente e si dovrebbe spingere sempre più l’acceleratore su questo argomento per recuperare tutto il tempo perduto dal ’54. infine una curiosità: in qualche modo è reperibile al pubblico il documento sulla difesa europea del 54 ?
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