I Paesi europei e il rapporto con la tecnologia: quanto si investe in ricerca e sviluppo?

, di Arianna Mappelli

I Paesi europei e il rapporto con la tecnologia: quanto si investe in ricerca e sviluppo?
Foto di Mark Mags da Pixabay

L’Europa si adopera per realizzare una crescita sostenibile, inclusiva e intelligente e sprona dunque gli Stati membri a compiere spese mirate in ricerca e sviluppo. Il cuore della ricerca è l’istruzione, tra i Paesi che non vi investono abbastanza c’è l’Italia.

La tecnologia ha l’obiettivo di semplificare la vita delle persone, e se qualcuno come me, nativa digitale, non ha percepito sulla propria pelle l’enorme cambiamento che hanno portato i cd o il cellulare, o ancor di più il frigorifero e il forno, magari la generazione dei miei nonni alla vista del primo computer avrà avuto un attimo di esitazione.

Ancora oggi, la distinzione tra chi nella tecnologia ha mosso i primi passi e chi invece pare saperne poco e niente non è del tutto sparita, ma questo non conta, la ricerca e lo sviluppo fanno giorno dopo giorno scoperte che cambiano la vita e le nostre società.

Ma quanto si spende per la Ricerca e lo Sviluppo nei Paesi europei?

Le risorse impiegate nella Ricerca e nello Sviluppo (R&S) sono un gradino importante verso la risoluzione di molti problemi della nostra società.

Con R&S si intendono quelle attività utili a scoprire o sviluppare nuovi prodotti, a migliorare quelli esistenti e a scoprire più efficienti processi di produzione. Includono oltre al settore manifatturiero, che occupa nell’industria due terzi del totale di spesa, anche le biotecnologie, le tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni.

Dal 1980 fino alla fine degli anni ’90, con l’avvento della globalizzazione, la competizione dei Paesi emergenti in campo tecnologico ha obbligato l’Europa a intensificare la cooperazione nella ricerca.

Per rafforzare la capacità competitiva del settore industriale europeo, nel 1984 la Comunità europea ha lanciato il primo programma avente come obiettivo il supporto scientifico per le nuove politiche europee.

Da quel momento sono stati fatti enormi miglioramenti, fino a rendere l’Europa una delle potenze tecnologiche globali.

Gli ultimi dati Eurostat R&D dimostrano che nel 2021 la spesa europea è di 328 miliardi di euro, in crescita considerando i 312 miliardi del 2019. La spesa in relazione al PIL risulta essere del 2,27%, di poco inferiore a quella dell’anno precedente (2,31%). Questi dati, se confrontati con le altre potenze mondiali sono scarsi; infatti, il Giappone ha registrato il 3,26%, superato dagli Stati Uniti con il 3,45%.

Tra il 2011 e il 2021 la maggior parte delle risorse sono state rivolte al settore delle imprese, assistendo a un aumento complessivo del 18,11%.

Secondo un’analisi su 45 Paesi condotta dallo State of European Tech 2021, l’Europa in quello stesso anno ha investito nella propria industria tecnologica 100 miliardi di dollari, con livelli di investimento early-stage (la fase di prefinanziamento durante la creazione di un’impresa) pari a quelli statunitensi.

L’anno scorso sono stati raggiunti 85 miliardi di dollari, che nonostante siano più bassi dei livelli record del 2021, risultano essere la seconda somma più alta mai investita nella tecnologia europea.

L’industria tecnologica europea sta vivendo un periodo di crescita di gran lunga superiore a quello precedente alla pandemia, aumentando il suo valore di un trilione di dollari nei primi otto mesi del 2021.

L’Italia ha raddoppiato così il valore del suo capitale nel mercato tecnologico passando dai 14,5 miliardi di dollari nel 2020, ai 26,6 miliardi nel 2021.

L’Unione europea e i suoi obiettivi di ricerca e sviluppo, sono stati raggiunti?

Uno degli obiettivi che si era posta l’Unione europea era quello di potenziare gli investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo, oltre che creare un sistema produttivo più dinamico. Realizzare una crescita sostenibile, inclusiva e intelligente era il traguardo ideale.

La Strategia Europea 2020 proposta dalla Commissione europea nel 2010, poneva come obiettivo l’investimento del 3% del PIL in R&S entro il 2020.

Non tutti i Paesi sono riusciti a raggiungere il traguardo fissato. L’Italia avrebbe dovuto investire l’1,5% del suo PIL, ma si è fermata all’1,4%.

Nel 2019, per l’Eurostat, i Paesi a raggiungere il tetto della spesa prefissato sono stati: la Svezia con il 3,4% del PIL, la Germania e l’Austria con il 3,2% e la Danimarca con il 3%.

Visti i risultati scadenti, le Istituzioni europee avevano pensato di rinviarlo al 2020, ma senza ricevere risultati soddisfacenti.

Quali sono le differenze tra i Paesi che hanno raggiunto il loro obiettivo e l’Italia?

Tra la Svezia e l’Italia delle differenze sostanziali ci sono, e non sono solo la lingua ufficiale o il clima, ma anche il modo di vedere e percepire il progresso.

Infatti, in Svezia più della metà del PIL, il 5,5%, è investito nell’istruzione, mentre l’Italia ne investe il 4,1%, questo aspetto si rispecchia nel numero di studenti laureati o che hanno conseguito dottorati di ricerca: il 38,3% in Svezia e il 17,9% in Italia.

Per rimanere in ambito universitario, la Germania ha il numero più alto di docenti universitari con età inferiore ai 40 anni, seguita dalla Danimarca. All’ultimo posto di questa classifica europea si trova l’Italia con solo il 12,9%.

Inoltre, questi Paesi sono ai primi posti nella classifica, stilata dall’Innovation Union Scoreboard, dei Paesi europei più innovativi. L’Italia è al tredicesimo posto, con un indice inferiore alla media europea.

In quali settori l’Italia spende di più?

  • Sanità pubblica: 7.0% del PIL
  • Istruzione: l’8% della spesa pubblica totale
  • Pensioni: 218.6 miliardi di euro nel 2022
  • Spesa militare: 25,8 miliardi di euro nel 2022, 2% del PIL

Se l’Italia vuole soddisfare le richieste delle Istituzioni europee deve modificare il suo piano di spesa e orientare le risorse in campi diversi. L’istruzione è uno dei settori fondamentali per dare una spinta positiva alla ricerca e allo sviluppo, e lo dimostrano i dati della Svezia e della Danimarca.

C’è bisogno di uno stimolo per far crescere il numero dei ricercatori, per limitare l’abbandono scolastico e far si che le persone continuino a studiare e a far progredire la nostra società.

La scuola e l’università sono il fulcro della ricerca scientifica e tecnologica, eppure non ci spendiamo abbastanza; e se il modello svedese fosse quello giusto per cambiare rotta? Investiremmo più della metà di quello che produciamo nella conoscenza?

Per adesso, non si riesce a trovare una risposta decisiva. Intanto, le uniche spese che crescono sono quelle militari.

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