Grand Tour 2.0: viaggio tra le Regioni italiane

Grand Tour 2.0: La Sicilia, oltre gli stereotipi

, di Amanda Ribichini

Grand Tour 2.0: La Sicilia, oltre gli stereotipi
Foto di notiziecatania da Pixabay

La rubrica di Eurobull di analisi sulle Regioni d’Italia prosegue con la Sicilia. Regione complessa e dalla storia importante, la Regione Siciliana ha una politica e un’autonomia tutte sue. Per conoscerla davvero, andare oltre gli stereotipi è fondamentale.

  • Area: 25 832,39 km²
  • Capitale: Palermo
  • Province: 6 liberi consorzi comunali: Agrigento, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa, Trapani; 3 città metropolitane: Catania, Messina, Palermo
  • Abitanti: 4.806.738

Presidente: Renato Schifani (FI) dal 13-10-2022

Governo regionale: Renato Schifani (Presidente), Nuccia Albano (Democrazia cristiana), Elvira Amata (Fratelli d’Italia), Alessandro Aricò (Fratelli d’Italia), Di Mauro (Autonomisti), Marco Falcone (Forza Italia), Andrea Messina (Democrazia cristiana), Luca Sammartino (Lega), Francesco Paolo Scarpinato (Fratelli d’Italia), Edmondo Tamajo (Forza Italia), Girolamo Turano (Lega), Giovanna Volo (Forza Italia)

Composizione dell’Assemblea Regionale Siciliana (ARS):

  • Fratelli d’Italia: 13
  • Forza Italia all’ARS: 12
  • Prima l’Italia-Lega Salvini premier: 5
  • Democrazia Cristiana: 5
  • Popolari e autonomisti: 4
  • Misto: 1 (appoggio esterno)

Totale maggioranza: 39 deputati

  • M5S: 11
  • PD: 11
  • Sicilia vera: 4
  • Sud chiama nord: 4

Totale opposizione: 30 deputati

Per un totale di 56 uomini e 14 donne

Oggi approdiamo in Sicilia. Regione a statuto speciale e dalla storia particolare, la Regione Siciliana (perché è questa la dicitura corretta) è stata da sempre una delle più “chiacchierate” del panorama italiano.

Siamo sicuri però di conoscerla bene? Proveremo a immergerci nel dibattito politico dell’isola, analizzando prima di tutto la struttura amministrativa della Regione, tutt’altro che banale, per poi prendere come esempio la questione delle infrastrutture. Infine, faremo un accenno sulla questione della mafia.

La storia della Regione e dell’ARS

La storia della Regione Siciliana inizia ancora prima della storia dell’Italia repubblicana. Sul finire della Seconda guerra mondiale, mentre le truppe americane erano ancora presenti in Sicilia sotto forma dell’AMGOT (Allied Military Government of Occupied Territories), si viene a formare il MIS, Movimento Indipendentista Siciliano. Siamo nel 1942, e a capo di esso c’è Andrea Finocchiaro Aprile. Questo Movimento, il cui scopo è, appunto, rendere la Sicilia uno Stato indipendente, viene presto affiancato dall’EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia). La situazione diventa rapidamente molto tesa, con uno scontro armato tra l’esercito sabaudo e l’EVIS il 29 dicembre del 1945 (Battaglia di Monte san Mauro). A seguito del ritiro degli americani dall’isola, avvenuto nel febbraio del 1944, iniziano le trattative per annettere la Sicilia all’Italia. Nel 1945 viene istituita la prima Consulta regionale siciliana, guidata da un Alto Commissario, con il compito di redigere lo Statuto regionale. Quest’ultimo viene approvato con Decreto regio da Umberto II il 15 maggio 1946 (oggi festa dell’autonomia siciliana). La Regione siciliana nasce quindi non solo prima che l’Italia divenga effettivamente una Repubblica, ma anche prima della Costituzione. Lo Statuto verrà poi recepito dall’Assemblea Costituente con la Legge costituzionale n°2 del 1948.

Lo Statuto della Regione siciliana è assai particolare, e raccoglie commi e articoli che avrebbero dovuto concedere ampie autonomie alla Regione, nonché creare organi ad hoc. Per esempio, era stata istituita una Alta Corte, il cui ruolo era stato poi acquisito dalla Corte Costituzionale. Sorte diversa è toccata al CGA, che ancora oggi svolge le funzioni del Consiglio di Stato in Sicilia, un unicum in Italia.

Quello che nelle altre Regioni si chiama Consiglio Regionale, in Sicilia si chiama Assemblea Regionale Siciliana (ARS): è composta da 70 membri (erano 90 prima della riforma del 2012), ed essi hanno la carica di Deputato, così come è stabilito dall’articolo 7 dello Statuto. Questo permette loro di essere chiamati Onorevoli, risultando così uguali ai Parlamentari nazionali, eccezion fatta per l’immunità penale, a loro non concessa. Dei 69 Deputati (a cui poi si aggiunge il Presidente di Regione), 6 di essi non sono eletti, ma appartengono al cosiddetto listino del Presidente. In breve, insieme alla propria candidatura, gli aspiranti Presidenti presentano anche un loro listino che, semplificando, entrerà in ARS insieme a loro. Gli altri vengono eletti nelle diverse circoscrizioni, in numero proporzionale alla popolazione del territorio. Importante da segnalare, per il voto in questa Regione non c’è la doppia preferenza di genere, e questo in parte spiega la bassa presenza femminile in ARS.

All’ARS si affianca l’organo esecutivo. Ancora una volta, se nelle altre regioni parliamo di Giunta, qui si parla di Governo Regionale. Esso è composto dal Presidente della Regione e 12 Assessori, non tutti Deputati: alcuni sono soggetti esterni, scelti in base ai rapporti tra i partiti. È importante sottolineare come il Governo e l’ARS, nonostante in continuo dialogo, siano separate in tutto e per tutto, dal palazzo, alle funzioni, ai funzionari.

Se pensavate che la questione si esaurisse qui, mi spiace deludervi. Proprio il 3 marzo 2023 il Presidente di Regione Schifani ha avviato il percorso per la reintroduzione delle Province sull’Isola, abolite nove anni fa. Il Disegno di legge, con l’obiettivo di reintrodurre tutti gli organi provinciali e renderli a elezione diretta, è stato presentato e approvato dal Governo della Regione: si vedranno presto gli sviluppi.

Ecco, ora abbiamo davvero finito.

Di fronte a questo sistema così articolato, alla complessità della storia autonomistica siciliana e allo Statuto, ci aspetteremmo che la Regione Siciliana goda di larga autonomia. Tutt’altro, tanto che spesso si parla di “Autonomia Tradita”. Perché?

Le ragioni di questa condizione si devono andare a cercare soprattutto nella storia della Regione; dall’inizio degli anni ’60, periodo in cui è finito l’ultimo Governo regionale a tendenza autonomista, la politica regionale ha seguito sempre più fedelmente il Governo di Roma, mettendo in secondo piano la sua autonomia. Nell’amministrazione di oggi, lo Statuto viene costantemente disatteso, e l’autonomia resta solo sulla carta; ciò che emerge è una autonomia autoreferenziale degli organi della Regione, prevalentemente fine a sé stessa, e non a un reale miglioramento delle condizioni dell’isola. Il mantenimento dei privilegi “di facciata” della Regione ha spesso trascurato le reali necessità della popolazione.

Le infrastrutture

Un esempio concreto delle conseguenze di questa attitudine è la mancata continuità territoriale, presente invece in Sardegna. Attualmente, in Sicilia è utilizzata solo per collegare alcune isole minori, ma non la trinacria al resto del Paese, rendendo i voli interni da e per la Sicilia molto cari, soprattutto nel periodo delle vacanze. Questo problema, del resto, non è che la punta di quell’iceberg che è la questione delle infrastrutture siciliane.

Il trasporto su gomma è il più diffuso in Regione. Nonostante questo, le autostrade (fino a qualche anno fa quasi completamente gratuite in Regione) versano in pessimo stato. Giusto due esempi, per rendere l’idea. L’arteria più importante, la Catania-Palermo, è a doppia corsia, ma di solito una è chiusa per lavori, e il traffico è molto intenso. Lo svincolo per l’aeroporto di Catania, uno dei più importanti in Regione, è stato chiuso per tre anni. La rete ferrata versa in condizioni anche peggiori. Oltre a essere presente solo in poche aree, le opere di ammodernamento sono state veramente scarne, rendendolo un servizio oneroso, lento e poco affidabile in molte aree. Questo annoso problema impatta poi su tutti gli altri settori dell’economia siciliana, dall’industria al turismo, che soffre molto di questo deficit strutturale.

Nonostante questo, a oggi il dibattito a livello italiano si cura poco di questo, mentre è insistente la discussione sul Ponte sullo Stretto, periodicamente ritirata fuori a mo’ di propaganda. Il tema del ponte, di cui ad oggi non è chiaro se si possa effettivamente costituire (a livello tecnico, sarebbe comunque un’opera molto complicata, date le correnti dello Stretto, la profondità e la questione sismica) domina il dibattito sulle infrastrutture dell’isola, lasciando spesso da parte la condizione delle strade all’interno dell’isola (la cui manutenzione è un’opera senz’altro meno spettacolare), e i tempi di costruzione. Il dibattito sul Ponte sullo Stretto sarà veramente utile solo se complementare a quello sul miglioramento delle infrastrutture a esso collegato, e, soprattutto, solo se portato avanti da esperti del campo, superando il limite della propaganda.

La mafia

Cosa Nostra non è morta, ci sono molti clan, è forte e radicata. La DIA produce semestralmente delle mappe e dei resoconti sulla situazione delle famiglie (incredibile come siano specifici fino al quartiere), che dimostrano come ancora la presenza della mafia, nonché quella di altri gruppi di recente formazione come la Stidda, sia ancora consistente. Nonostante questo, due cambiamenti principali hanno interessato questo fenomeno.

Il primo: la mafia è mutata, nella sua struttura, nei suoi metodi e nei suoi investimenti. È finita la mafia stragista a guida corleonese del vecchio secolo: siamo passati alla mafia del riciclaggio, delle energie rinnovabili, la mafia che è d’accordo con le imprese anche fuori dalla Sicilia. La nuova Cosa Nostra è più imprenditoriale, e si basa più su convenienza reciproca che sulla minaccia.

Il secondo: La cultura della legalità che è partita dalla scuola sta dando i suoi frutti, la mafia è sempre di più percepita come “il nemico”. Nonostante questo, cresce anche la sfiducia nella classe dirigente siciliana e nazionale: per il 53,79% degli studenti e le studentesse dell’isola il rapporto mafia-politica è abbastanza forte, per il 31,31% è molto forte [1]. Questo è un segno che sì, la mafia va sconfitta, ma spesso chi dovrebbe occuparsi di questo è parte del problema.

Per concludere, sottolineo come il caso specifico della Regione Siciliana ci porti ancora una volta uno spunto di riflessione che può essere utile a tutta la penisola. Il fatto che lo Statuto della Regione preveda delle specificità, ma che de facto non vengano sfruttate appieno, è lo specchio di una politica regionale non all’altezza. Non è mio dovere giudicare chi sia all’altezza dell’amministrazione di una Regione, certo, ma troppo spesso le Regioni sono relegate a un ruolo secondario rispetto al nazionale, nonostante tutti i temi delicati di cui si deve fare carico. Spesso il colore di una regione viene utilizzato come misura della forza di un partito, dimenticando l’importanza delle figure regionali. La “dipendenza da Roma” non giova di certo al sistema in cui ci troviamo, in cui sarebbe necessario un eccezionale livello di expertise nella guida regionale, che spesso finisce per essere una macchina di privilegi fine a sé stessa.

Ringrazio di cuore Pietro di Grazia per avermi raccontato della Sicilia, sua Regione. Questo articolo è frutto della sua pazienza e della sua testimonianza.

Note

[1Indagine del Centro Studi Pio La Torre sul rapporto mafia-politica e percezione giovanile del fenomeno mafioso, 2022

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