I fenomeni migratori sono una delle grandi tendenze e sfide da affrontare sul piano multidimensionale. Ci sono infatti da considerare una dimensione di tipo politico, molti aspetti di natura economica, implicazioni giuridiche nonché ontologiche. Trovare uno spazio dentro queste dinamiche significa tornare a porre il problema della dimensione sradicata dell’uomo e pensare le migrazioni non come una condanna, ma come una dimensione profondamente umana nelle sue diverse articolazioni. Non solo, quindi, noi dobbiamo affrontare il tema delle migrazioni per necessità, ma dobbiamo anche coglierne le istanze che sono globali (nella globalizzazione).
Per parlare di governance europea delle migrazioni, però, occorre definire i concetti di “governance”, di “migrazioni” e di “spazio europeo”.
Si usa l’espressione “governance” e non “governo” per il tema delle migrazioni per non assumere il punto di vista dell’autorità sovrana, perché il caso europeo ci mostra come in questo processo convergono attori e processi che non sono riducibili allo Stato (l’Europa non è “lo Stato Europa”).
Agli inizi degli anni ‘90 due autori titolavano il loro volume “Governance without government”, proprio per evidenziare questa dimensione che nella globalizzazione vede emergere forme di governo, autogoverno e sistemi complessi che per certi versi garantiscono un Governo senza Governo del mondo.
Per quanto riguarda invece il concetto di “migrazioni”, il fenomeno migratorio (o la pluralità dei fenomeni migratori), è di portata globale e richiama una gestione multilivello, anche perchè nell’orizzonte internazionale è stato affermato che è assolutamente necessario mettere in campo un approccio multilaterale che abbia la funzione di definire un quadro internazionale fatto di norme e istituti volti a garantire movimenti ordinati e prevedibili delle popolazioni.
Inoltre, la questione della governance delle migrazioni ci obbliga a fare i conti con una modalità diversa di immaginare e praticare i confini. Tutta una serie di studi recenti concernenti la materia dei “border studies” mostrano come il confine oggi abbia perso in realtà la sua funzione di demarcazione territoriale. I confini sono in realtà processi per l’inclusione ordinata, o l’esclusione ordinata. Abbiamo il ricordo del 1989 come la parvenza che la globalizzazione superasse i muri. Tuttavia noi oggi facciamo invece i conti con il ritorno tangibile dei muri. La studiosa Wendy Brown, nella sua opera “Stati murati, sovranità in declino”, evidenzia proprio questo ritorno alla costruzione di muri in un contesto in cui le sovranità appaiono in declino perché la rete delle relazioni internazionali si rafforza e la dimensione retorica del muro non ha più una funzione di contenimento reale, quanto quella di reagire all’indebolimento del confine e della sovranità.
Non solo, da rivedere è anche il tema della “sicurezza” non più intesa come la sicurezza dalla minaccia esterna, ma come sviluppo (duplice declinazione del termine sicurezza che in italiano non c’è, ma in inglese troviamo con safety e security): oggi governare le migrazioni vuol dire garantire soprattutto le condizioni di sviluppo che permettono il governo ordinato degli spostamenti.
Relativamente invece allo “spazio europeo”, questo fa i conti con due modalità diverse di fenomeni migratori: ci sono le migrazioni interne allo spazio europeo (es. i giovani studenti, i lavoratori ecc.); ci sono poi i flussi migratori dall’esterno. L’Europa inoltre è probabilmente il primo spazio che ha tentato una sorta di “Governo sovranazionale” dei flussi migratori. Non esiste una realtà analoga che cerca di darsi un Governo coordinato sui flussi migratori.
Il problema di un Governo politico e uno economico dei flussi migratori è iscritto nella genesi della storia europea, a partire già dai Trattati di Roma del 1957, che si ponevano il problema di costruire il nucleo di un orizzonte politico europeo sulla base anche della costruzione di uno spazio di libertà e giustizia da un lato, ma dall’altro anche di libera circolazione dei lavoratori.
Questo ci porta al problema di definizione di spazio europeo, perché l’Europa non possiede un solo spazio e soprattutto l’UE è una struttura politico-istituzionale composta oggi da 27 Stati con una sua partizione determinata. C’è nello stesso tempo la questione dei 26 Paesi dell’area Schengen, un’area a cooperazione rafforzata, che non coincide con i Paesi Ue. Lo stesso vale per l’Eurozona che comprende 19 Paesi.
E allora quale Europa è quella che dovrebbe garantire una governance dei flussi migratori se è l’Europa stessa a vivere una condizione di ripartizioni territoriali così articolata?
Questo scenario altamente frammentato ha un forte impatto, sul piano politico-istituzionale, nella gestione dei fenomeni migratori: alcune missioni sono frutto della cooperazione tra più Stati, altre missioni si muovono sotto l’egida dell’ONU e hanno lo scopo di contrastare soprattutto la vendita delle armi alle milizie libiche, altre missioni hanno una dimensione più europea.
La prima grande crisi migratoria europea si ebbe all’indomani del 1989, quando i grandi regimi dell’Est crollarono e venirono meno. Si trattava però, in questo caso, di una crisi di apertura e l’Europa apriva a questi flussi in nome della globalizzazione. Ben diversa la crisi del 2013 che travolse un’Europa indebolita dalla crisi economica del 2009.
In realtà l’Europa, nel suo spazio politico, ha ricercato una sua struttura di governo dei fenomeni migratori. Pensiamo a FRONTEX, l’Agenzia europea di guardia costiera e di frontiera (particolarmente sotto attacco ultimamente per la gestione dei respingimenti dei richiedenti asilo in contrasto con le norme europee. É emersa la dimensione doppia di conflitto interno tra un impianto giuridico europeo inclusivo e nel rispetto dello Stato di diritto e un’attività invece di fatto di respingimento).
Un perno delle politiche migratorie europee è senz’altro Schengen, gli accordi entro cui è presente proprio questa logica multilivello e che per per primi hanno fatto valere la separazione tra confini esterni e confini interni all’Unione. Schengen è anche la prova di come la governance delle migrazioni possa operare su piani diversi facendo valere la logica del governo amministrativo degli spazi.
Se guardiamo all’Europa, quindi, vediamo il concorrere di una pluralità di spazi, attori e strumenti attorno ai quali emerge un conflitto tra una logica umanitaria e una logica economica che fa sì che l’Europa pensi una nuova agenda delle migrazioni incentrata sulla logica dell’inclusione differenziale dei flussi migratori. Dall’altro lato, però, c’è la crisi demografica del continente europeo, nonché la necessità di ripensare lo Stato sociale europeo.
L’orizzonte europeo oggi è un orizzonte conflittuale che manca di un Governo politico, quell’elemento di composizione di diverse istanze che attualmente sono comprese tutte dentro una governance dei fenomeni migratori, ma sono conflittuali. L’Ue ha inoltre un gigantesco problema di collocazione globale: aveva una funzione storica, almeno fino agli anni ‘90, ossia rappresentava spazio di contenimento del conflitto tra est e ovest, ed era la risposta socialdemocratica a questo conflitto.
Proprio la mancanza di un Governo indebolisce l’Europa che rimane incapace di rispondere alle grandi sfide del presente, come gestire le crisi esterne: dalla crisi economica del 2008 alla crisi migratoria.
C’è allora da chiedersi: si potrà mai parlare di un vero e proprio government europeo nella gestione dei flussi migratori? Se intendiamo qui il termine government nella sua accezione stretta, un Governo europeo sarà possibile se l’Unione europea si costituirà come Stato sovrano. Ma sul progetto di Europa Federale c’è ancora tanto per cui spendersi.
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