Fake news ed echo-chambers. Il problema di vero e falso.

, di Davide Emanuele Iannace

Fake news ed echo-chambers. Il problema di vero e falso.
«Fake news» nell’illustrazione del 1894 di Frederick Burr Opper

L’Enciclopedia Online Treccani definisce con fake news tutto ciò che “entrata in uso nel primo decennio del XXI secolo per designare un’informazione in parte o del tutto non corrispondente al vero, divulgata intenzionalmente o inintenzionalmente attraverso il Web, i media o le tecnologie digitali di comunicazione, e caratterizzata da un’apparente plausibilità, quest’ultima alimentata da un sistema distorto di aspettative dell’opinione pubblica e da un’amplificazione dei pregiudizi che ne sono alla base, ciò che ne agevola la condivisione e la diffusione pur in assenza di una verifica delle fonti” (http://www.treccani.it/enciclopedia/fake-news).

Parliamo quindi di una parola che descrive un fenomeno tendenzialmente nuovo e tipico dell’età digitale, dell’età delle comunicazioni smart e veloci, in cui ciò che in apparenza potrebbe sembrare vero diventa, ad una miglior occhiata, falso. Innanzitutto, specifichiamo che quelle che oggi definiamo fake news, che un tempo avremmo chiamato disinformazione di massa, non è qualcosa di esattamente nuovo per l’umanità. Prendiamo un tempo remoto, ovvero le Guerre Puniche tra la Repubblica Romana e la città-stato di Cartagine. Quanto è diversa la diffusione di false informazioni sul conto di Hilary Clinton durante le elezioni (https://www.washingtonpost.com/news/the-fix/wp/2018/04/03/a-new-study-suggests-fake-news-might-have-won-donald-trump-the-2016-election/?) contro Donald Trump, rispetto ad Annibale che, durante il conflitto in Italia, si limitò a bruciare tutte le terre campane eccetto i possedimenti del suo peggior nemico, Quinto Fabio Massimo “Il Temporeggiatore”, per far leva sulle accuse portate contro quest’ultimo dai suoi rivali politici? Forse nei mezzi di diffusione, forse in ciò che veniva diffuso, nonché nel cercare nei sacrifici animali agli dei qualche segno della scarsa fedeltà di Fabio Massimo. Oggi, piuttosto che questo, è nel web che si va cercando qualche traccia di ciò che, in cuor proprio, già si sa.

Uno dei principali punti da cui le fake news partono sono le aspettative di partenza. Le notizie false sono dirette, infatti, da un lato verso gli indecisi, dall’altro verso i propri supporter. Le fake news avanzano all’interno di certi cerchi di informazione, certe reti in cui queste trovano appigli solidi verso le idee preconcette delle persone. Una persona che crede alle idee sulla Terra Piatta sarà più facilmente convincibile anche che le sue attuali classi dirigenti siano corrotte e ostili. Ha già la base ideale, l’ipotesi ovvero che la Terra non sia un geode ma una grande pianura con qualche rilievo e che qualcuno ci nasconda questa verità, per poter credere anche alla seconda menzogna. Basta dosare dei discorsi tagliati al punto giusto, spingere un po’ sull’emotività della condizione contemporanea, appigliarsi a ciò in cui si vuole credere, non ciò che si sa.

Le fake news si basano, largamente, sulle credenze personali, veri e propri micro-atti di fede compiuti ogni giorno, come i pregiudizi e i preconcetti, per semplificare una realtà che, sottoposta a stimoli sempre più veloci, diversi, onnipresenti quasi, si è di fatto complicata incredibilmente. Sappiamo che il pregiudizio è un modo avere un giudizio anteriore, metodo utile a classificare a priori, inserendo all’interno di un disegno leggibile dalle nostre menti, ciò che ancora non conosciamo. Non uno strumento, come spesso si interpreta, per menti “limitate”, ma un attrezzo generale che tutti gli umani, ma anche gli animali, usano nel corso della loro esistenza.

Ciò che nella realtà conta è il superamento del pregiudizio in seguito ad un’analisi critica, quando necessaria. Per fare un banale esempio: entrando in un bar potrei pensare che io, al barista, stia antipatico. È un semplice pregiudizio, dato per esempio da un’occhiata del barista storta alla mie entrata, alla mia voce quando gli ho chiesto un caffè, ad un qualsiasi elemento giudicabile da un primo impatto. Ora, questo pregiudizio inciderà, possibilmente, molto poco sulla mia vita e su quella del barista. Il mio cervello ha interpretato delle banali informazioni nel modo a lui più consono in quello spazio e tempo. Prenderò il caffè, uscirò. Forse rivedrò il barista, forse no. Se quel bar fosse vicino il mio nuovo posto di lavoro e quindi ci tornassi regolarmente, allora il pregiudizio potrebbe incidere già molto più negativamente sulla mia vita. Se non fossi capace di superarlo, ad esempio, avrei sempre una pessima opinione di quel barista e, forse, dell’intero bar, fino al punto di essere stanco di recarmi proprio lì e cambiare struttura.

Una capacità critica sarebbe quella di comprendere nelle interazioni seguenti la realtà o meno di quell’astio, accettarla, superarla, perfino confrontarmi con essa. Questo è un esempio molto in piccolo dei pregiudizi. Si può ampliare tale esempio comprendendo tutta la categoria dei baristi, degli immigrati nigeriani, delle ragazze dell’Est Europa. Pregiudizi che però non condizioneranno solo il mio rapporto con un bar qualsiasi, ma con etnie e categorie molto diverse. Questi pregiudizi di partenza mi permetteranno di essere suscettibile a qualsiasi notizia potenzialmente rafforzativa verso queste categorie. Pregiudizi anche positivi in alcuni casi, sia chiaro. Potrei sempre essere ben disposto verso gli abitanti della mia città natale e sempre, quindi, credere ad una versione migliore delle notizie su di loro, al di là di inconfondibili prove. In ogni caso, che sia una sovrastima o una sottostima, il pregiudizio, quando inizia a incidere sulle decisioni pubbliche ma anche etiche, diventa un problema. Le fake news si inseriscono proprio qui nel nostro discorso. Partendo dai pregiudizi che ognuno di noi ha, le fake news li ampliano, di fatto incidendo pesantemente sul nostro modo di rapporti all’Altro, che sia un’istituzione, un governo, un’etnia, un semplice barista.

L’Unione Europea è stata forse una delle principali vittime della disinformazione e delle fake news nel nostro continente, in particolare per la sua utile funzione di “capro espiatorio” da parte dei politici di gran parte dei suoi stati membri, e a volte non solo. L’Europa è stata spesso oggetto di critiche più o meno fondate, critiche che non devono mai lesinare. Allo stesso modo, tali critiche e attacchi devono essere condotti partendo da punti di partenza veritieri. Si può discutere dell’Euro e del suo buon funzionamento o meno. Si può discutere della validità di questa o quella politica dell’Unione, purché si parli di vere policy, veramente emanate dall’Unione e che si parli dei dati reali, non di quelli che, ad arte, vengono montati per supportare il punto di vista del momento.

Un esempio è stato riportato da Euronews riguardante una fantomatica europarlamentare svedese che avrebbe supportato l’incesto come pratica consuetudinaria e, insieme ad altri politici europei, fosse a supporto di creare una legge per punire l’incestofobia (https://it.euronews.com/2019/05/23/europee-2019-sito-bulgaro-diffonde-finto-complotto-europeo-per-legalizzare-l-incesto). Parliamo di una palese fake news, che ha coinvolto una politica svedese non membro del Parlamento Europeo, partendo da una dichiarazione del 2010 mossa proprio contro l’incesto in un caso di cronaca locale. È un esempio, tra le migliaia che potremmo tirare dal cilindro del web, su come continuamente vengano messe in moto le macchine del fango e della disinformazione all’interno del panorama europeo. Può essere l’attacco ad un politico, ad un partito, possono essere la lettura di dati in maniera errata al fine di modificare la percezione di certe policy e azioni, ma anche del semplice funzionamento delle strutture europee. Gli attacchi condotti da Salvini contro le politiche in campo migratorio dell’UE si sono fortemente basate su una serie di fake news confezionate ad hoc per ridurre il proprio ruolo sul fallimento di Dublino II e su quanto venisse fatto. Si può discutere se ciò sia poco, abbastanza, troppo. Se ne deve sempre discutere, ma partendo dai dati più possibilmente oggettivi.

Vivendo in un regime democratico, in cui la diffusione di informazioni incide sul comportamento politico e di voto, ragionare sulla diffusione delle fake news, il loro di fatto sdoganamento da parte di numerosi attori politici, il loro maggior uso nel condizionare la vita pubblica, è necessario. Come abbiamo visto, è vero che in qualche modo la disinformazione è sempre stata presente all’interno di strategie belliche e politiche. Oggi, però, il loro impatto sulla vita pubblica è decisamente maggiore.

Innanzitutto, perché quasi tutti, avendo accesso ai social media, hanno la possibilità di essere sottoposti ad una campagna ostile di mala-informazione o di disinformazione. Il suffragio universale, grande conquista dello stato di diritto e democratico, è suscettibile a queste massicce campagne. Nel momento in cui poi questo suffragio passa in qualche modo per i strumenti online, in particolare per quel che riguarda la propaganda, è chiaro perché diventa necessario avere un occhio di riguardo per quest’ultimi. In tale ambito, diverse sono le strategie difensive che sono state messe in piede per rispondere alla diffusione di false informazioni. Un primo esempio è “Euromyths” (https://ec.europa.eu/italy/news/euromyths_it), iniziativa della Rappresentanza Italiana nella Commissione Europea che mira, con un hashtag molto semplice ed efficace #EUverofalso, a mettere in risalto tutti quei temi in cui è stata diffusa una sbagliata informazione, volontariamente o meno, su tematiche ed enti europee, e correggere in qualche modo il tiro.

Una seconda strategia, più che quelle che partono da enti ufficiali come la Commissione Europea o il Governo, anche tramite piattaforme terze come “Agenda Digitale”, è la creazione di un senso critico efficace nelle persone stesse, tramite la creazione di punti da tenere bene in mente quando ci si approccia a siti di informazione, di qualunque genere. Il Consiglio d’Europa, in un articolo ad hoc, non solo ha descritto ampiamente la struttura delle fake news, ma ha anche inserito un box per indicare le soluzioni più semplici per difendersene (https://www.coe.int/en/web/human-rights-channel/fake-news), quale ad esempio considerare bene la fonte dell’informazione, la scrittura e la sua forma (indizi spesso di traduzioni automatiche quando presenta errori palesi), controllare gli autori, se il sito è satirico, ma anche un’analisi critica di sé stessi, per considerare i propri bias, di cui abbiamo già parlato. Sempre valida la regola del “doppio controllo”. Mai fidarsi di una sola fonte, fosse anche la più autorevole a disposizione.

Sono una serie di comportamenti che dovrebbero essere personali, messi in atto come punto di partenza critico personale. Consigli sempre utili, ma quanto? Il problema del bias è difficilmente superabile di partenza, così come l’estrema fiducia spesso negli influencer, politici e di media. La fiducia che spesso viene riposta parte dall’assunto che quel lato della verità è l’unico lato della verità che conta. Tale genere di comportamento non può essere sconfitto da una serie di linee guida, non nella maggioranza dei casi.

Pratiche come quella di “Agenda Digitale” (https://www.agendadigitale.eu/tag/fake-news/), tramite l’utilizzo di hashtag per segnalare, sulla riga della Commissione Europea, le bufale, ma anche quelle condotte da altri siti specializzati ad hoc sulla lotta alla mala-informazione, sono pratiche forse più efficienti ma limitanti a causa di quelle che sono state definite da Cass Sunstein come “echo chambers”, ovvero delle camere virtuali in cui vengono riflessi tutti gli eco digitali dell’informazione a cui siamo soggetti, che sono spesso echi delle stesse informazioni che già avevamo. Un giro, insomma, delle medesime informazioni che si auto-rinforzano vicendevolmente, creando l’idea che quella sia l’unica informazione possibile. Proprio in tal senso, nella rottura di queste “echo chambers”, arriva l’idea di rompere lo schema medio dei social network in cui veniamo in contatto con ciò a cui di per sé siamo predisposti, perché così sono le cose a cui mettiamo like e che i nostri contatti condividono, modificando i feed affinché facciano entrare in contrasto idee più diverse, spesso anche divisive. Il confronto è il fondamento della democrazia e di una delle sue spine dorsali, il dibattito pubblico. Il problema delle “echo chambers” è aver generato un anti-dibattito, ovvero un confronto continuo con opinioni di per sé concordanti.

Questo continuo confrontarsi con qualcosa che già si ha, aggiungendo semmai elementi di rinforzo alle proprie convinzioni, piuttosto che anche mettendo in crisi le proprie coscienze e il proprio punto di vista, generano l’incapacità di sviluppare un dibattito costruttivo. Nessuna idea nel mondo attuale è perfetta. Ogni idea, economica, politica, di riforma sociale, di gestione della cosa pubblica, ha una serie di pro e una serie di contro. A qualcuno una riforma delle pensioni potrebbe far comodo, a qualcun altro no. Ciò che in ogni caso conta, nella vita civile di una nazione, è che sia possibile confrontarsi costruttivamente in seno a tali riforme e cambiamenti, così da limare i difetti e ampliarne i vantaggi. Forse ogni manuale di sociologia dell’organizzazione parla così delle forme cooperative all’interno di un’organizzazione.

Sembra però che le “echo chambers” stiano, invece, inficiando queste potenzialità della Rete. Se Internet può essere l’opportunità di entrare in contatto con le più diverse prospettive, gli echi tendono a riempire invece i feed social con informazioni ridondanti, bloccando la possibilità di aprire a opinioni diverse. È un problema largamente legato agli algoritmi di ricerca che cercano di segnalare alle persone prodotti affini a quelli già cercati sui motori di ricerca, come lo spam mirato di offerte su qualcosa che si è cercato. Un po’ a tutti sarà infatti capitato di cercare un oggetto su Google e ritrovare su Facebook offerte di prodotti uguali o simili. Cercare su Amazon o su Booking un prodotto ad hoc e poi ritrovarsi le mail ma anche le ricerche correlate già pronte. Meccanismi passivi che continuamente raccolgono informazione nel nome di un miglior servizio, che hanno invaso però anche la sfera del prodotto comunicativo.

Anche in questo caso, oltre che ad una critica coscienza personale, sta alle autorità pubbliche probabilmente dotarsi di strumenti ad hoc dedicati al controllo di queste pratiche indiscriminate. Vi sono già delle proposte in campo per una regolamentazione degli algoritmi, al fine di garantire una varietà maggiore nei contenuti. Ciò è particolarmente rilevante, se consideriamo anche la recente decisione del Tribunale di Roma riguardo l’oscuramento della pagina di Casapound di Roma e la rilevanza che è stata messa in luce di questo social network rispetto alla politica nazionale e non (https://www.corriere.it/politica/19_dicembre_12/casapound-tribunale-roma-ordina-riattivazione-pagina-facebook-3a5f9a86-1cc9-11ea-9d5e-8159245f62dc.shtml?fbclid=IwAR1HywyQ2rPrMEGxNUVgUZ_GDsvbYR_cFzPvP1yuJuoIDQyD0O_t9k4L3mc).

L’Unione Europea è, per ora, l’unica che per peso può confrontarsi vis a vis con le grandi corporazioni responsabili del mantenimento e sviluppo di questi social media. Inutile pensare che un singolo paese abbia, per quanto in pieno possesso della sua governance, davvero porre delle restrizioni a queste corporazioni, a meno di non voler prendere la via di Cina e Russia del divieto di uso di alcuni di essi, contando anche che la loro efficienza è limitata a causa dei proxy e dei VPN oramai a disposizione di tutti. A meno di un improvviso cambiamento nella coscienza pubblica generale, per ora la regolazione sembra essere a breve termine l’unico strumento a disposizione.

È necessaria, questo è sicuro. Brexit, le elezioni americane del 2016, quelle europee del 2019, così come le numerose elezioni regionali ma in generale la propaganda politica, hanno sfruttato fake news e l’uso di “echo chambers” per rinforzare i propri messaggi. Se le fake news si possono rallentare eliminando le fonti poco certe o dichiaratamente false in maniera ostile (non parliamo quindi di siti satirici, ma di proprie fabbriche di informazioni fasulle), nonché tramite una regolamentazione e un continuo fact-checking di ciò che viene discusso pubblicamente, le “echo chambers” devono essere fortemente limitate o tramite regolazione o tramite un impulso degli utenti nell’uscire dalla propria comfort zone. Momentaneamente, sembrano le poche proposte attuabili, ma assolutamente necessarie, sul campo.

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