Ernesto Rossi: ieri, oggi e domani

, di Giulio Saputo

Ernesto Rossi: ieri, oggi e domani

Ernesto Rossi non può senz’altro essere dimenticato o lasciato da parte dalla nostra rivista, visto lo straordinario ruolo che ha svolto durante la Resistenza per i federalisti europei e, in seguito, per dare una dignità alla politica nazionale italiana. Come Spinelli, un “fondatore”: non solo del Movimento Federalista Europeo, ma di Giustizia e Libertà, del Partito d’Azione e del Partito Radicale.

Un uomo che non si è mai piegato al nazifascismo, tra i pochissimi che possono vantare un legame e lo stesso alto impegno politico nella “prima Resistenza”, nella “seconda” e nella vita repubblicana. Un partigiano, un economista, un fumettista, un burattinaio, un saggista, un federalista, un liberale, un radicale, un eretico e molto altro. A lui sono stati recentemente dedicati un documentario (alla cui parte storica ha lavorato Antonella Braga) e un’interessante pubblicazione a cura della Banca d’Italia dal fondo Paolo Baffi.

Chi è “Esto”?

Ernesto Rossi nasce a Caserta il 25 agosto 1897, quarto di sette figli. Trasferitosi a Firenze con la famiglia, compie qui gli studi classici e decide di arruolarsi, superando un’iniziale incertezza, come volontario durante la Prima Guerra Mondiale. Il servizio prestato al fronte come fante e come ufficiale sarà essenziale per la formazione di Rossi, insieme alle numerose perdite negli affetti che subisce, per arrivare a riconoscere quelle che definirà le “filofesserie patriottiche”. Congedato, si laurea presso l’Università di Siena in giurisprudenza e avvia una collaborazione politica con i fratelli Rosselli e Salvemini, passando presto ad operare nella clandestinità. Fuggito in Francia, torna in Italia di seguito ad un’amnistia nel 1925, avendo vinto un concorso per l’insegnamento: sceglie come sede Bergamo così da poter meglio proseguire l’attività antifascista. Qui conosce sua moglie Ada e continua gli studi, ora in economia, frequentando l’Università Bocconi dove incontra Luigi Einaudi.

Nel 1929 partecipa alla fondazione di Giustizia e Libertà e intensifica la sua attività contro il regime. Arrestato insieme ad altri compagni di GL, a causa del tradimento dell’avvocato Carlo Del Re, viene condannato a vent’anni di carcere. Trasferito sull’isola di Ventotene nel novembre del ’39, qui conosce Colorni e Spinelli, partecipando alla stesura del manifesto “Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto”. Rispettato nell’ambiente antifascista per non essersi mai coraggiosamente piegato al regime e al carcere, oltre che per aver tentato ripetutamente la fuga, dopo l’8 settembre, è tra i fondatori del MFE a Milano e del Partito d’Azione a Firenze. Trasferitosi con la moglie in Svizzera per diffondere gli ideali federalisti nella Resistenza Europea, torna in Italia solo nell’aprile del 1945. Da quest’anno al ’56 ricopre l’importante incarico, su nomina di Parri (e confermato da De Gasperi), dell’Azienda per il Rilievo e l’alienazione dei residuati bellici (ARAR) e continua contemporaneamente il suo impegno nel MFE. Dopo il fallimento della CED, si concentra sulla politica nazionale e nel 1955 partecipa alla fondazione del Partito Radicale. Collabora in questi anni con numerose riviste, tra cui “il Mondo” diretta da Pannunzio, “L’Astrolabio” con Ferruccio Parri e “Il Ponte” diretto da Calamandrei. Come ha ricordato il Presidente Mattarella nel febbraio 2017, in occasione del quarantesimo anniversario dalla scomparsa: «Ernesto Rossi è stato un intellettuale vivace, polemista indomito, e la sua critica spesso si è mossa controcorrente. Da giornalista ha animato e diretto pubblicazioni che hanno segnato il dibattito politico e la crescita civile del Paese, contribuendo anche alla formazione di una nuova generazione di giornalisti».

Vogliamo riportare, per completezza, due brevissime letture (tra le tantissime disponibili) che rendono il carattere e la personalità di questo grande personaggio storico. La prima è tratta da “Aria fritta” (Laterza, Bari, 1956) ed è una radicale critica alla politica e ai politici nazionali:

Proprio perché abbiamo dovuto con grandissima pena rinunciare a questa speranza, una cosa almeno noi federalisti desidereremmo. Che i nostri uomini politici non ci rintronassero più le orecchie col “rilancio europeo”. [...] Non vogliamo essere trattati come babbei che l’imbonitore convince a entrare nel baraccone delle meraviglie per ammirare le sirene del Mar dei Caraibi. La politica nazionalistica può, in confronto ai suoi particolari obiettivi, risultare buona o cattiva; ma deve essere giudicata per quello che veramente è; non possiamo ammettere che venga camuffata come avviamento alla realizzazione degli ideali per i quali abbiamo combattuto durante la Resistenza e per i quali sono morti uomini come Guglielmo Jervis, Leone Ginzburg ed Eugenio Colorni.

Questo secondo scritto, con cui concludiamo il ricordo di Ernesto Rossi e delle sue battaglie, è una lettera dal carcere alla madre (20/05/1938) che segna abbastanza bene il suo sguardo sul mondo e la capacità di trovare fiducia nell’umanità nonostante tutto (e questo “tutto” significa una società completamente abbrutita dal fascismo). Poche righe che vale la pena leggere, perché sono parole di un’attualità allarmante:

Mia mamma carissima […]

Mi dici che ami sempre più gli animali quanto più aumenta il disprezzo per il tuo prossimo. Io sono, credo, ancor più pessimista di te sulla natura degli uomini. Ma non sono un misantropo e non trovo giustificato il disprezzo per la comunità in generale. L’uomo è pur sempre, per me, l’oggetto del mio interessamento più vivo e la sorgente delle più pure e più alte soddisfazioni. Anche quando studio una qualsiasi scienza, è lo spirito umano che mi interessa innanzi tutto, e che ammiro nei suoi sforzi per elaborare strumenti sempre più perfetti di conoscenza e per abbracciare con una interpretazione razionale campi sempre più vasti dell’universo. Basterebbe anche la sola mia conoscenza elementare della matematica per impedirmi di disprezzare gli uomini. Vermiciattoli meschini, che basta un alito di vento per rigettare nel nulla, tormentati da mille malanni e da mille cure repugnanti, agitati continuamente dalla febbre delle loro passioni e dalle loro ambizioni, ma han saputo costruire pietra su pietra un edificio così armonico e perfetto in tutte le sue parti, le cui guglie si innalzano su, su, fino a perdersi, più sottili di un filo di luce, nell’altezza dell’infinito. Il lavoro continua ininterrotto dal tempo dei tempi e quando uno cade un altro prende il suo posto, senza domandare in che paese quello era nato, senza odorare se gli arnesi che quello ha lasciato puzzan di eretico o di cristiano. Han costruito non come un ponte, non come una casa per l’utilità che ne poteva derivare, ma solo per il piacere di costruire una casa bella, per soddisfare il loro desiderio di perfetta armonia, che nel mondo delle cose rimaneva sempre necessariamente inappagato; senza pensare a quel che poteva servire di fronte alla morte inevitabile. E cosa sono i milioni di molluschi e di imbecilli che formano le folle plaudenti e schiamazzanti a comando, in confronto a un solo uomo, a un Tolstòj?

Tolstòj parla, e tu dimentichi i milioni di imbecilli e di molluschi, quei milioni che facevano tanto baccano svaniscono, non esistono più e ti senti contento di essere uomo, di avere un’anima in cui risuona la sua parola d’amore. Dove sono tutti i benpensanti, i pisciafreddo, i cacastecchi, che ti compatiscono perché non sai vivere, perché non ti preoccupi, come loro, di farti una certa posizione, quando, leggendo il diario del capitano Scott, lo vedi come ti fosse presente, ultimo superstite fra i compagni assiderati, scrivere penosamente, con le dita già irrigidite dalla morte, la relazione finale della sua sventurata ed eroica spedizione, perché sia d’incitamento e di esempio a chi dovrà venire dopo di lui? Che importa se gli imbecilli, i molluschi, i farabutti sian tanti e tanti e prevalgano nella vita ed abbian successo? Gli uomini non si contan per capi come il bestiame da vendere, ed il successo niente prova nel mondo del pensiero. E non solo ci possiamo sempre consolare guardando a quel che lo spirito umano ha creato nel campo delle scienze e delle arti, e guardando ai nostri eroi nel passato, ma si è sicuri, quando non si viva una vita gretta, priva di ogni luce ideale, di incontrare sulla nostra stessa strada, alla ricerca del giusto e del vero, altri uomini di carne come noi, mossi dalla nostra stessa ansia, in cui ci è possibile riconoscere dei fratelli in senso molto diverso, molto più profondo, di quanto ci sia possibile con le altre creature. Ed anche se dopo l’incontro ci si divide e non ci si ritrova mai più, il ricordo di quando ci siamo guardati negli occhi, di quando ci siamo stretti la mano con fiducia completa, ci sostiene, ci dà forza e coraggio quando ci sentiamo troppo disgustati e stanchi per la malvagità e la bestialità trionfante […].

Ti abbraccio, tuo Esto

Per ulteriori informazioni su Rossi: Antonella Braga, Un federalista giacobino. Ernesto Rossi pioniere degli Stati Uniti d’Europa, il Mulino, Bologna, 2007 e Giuseppe Fiori, Una storia italiana. Vita di Ernesto Rossi, Einaudi, Torino, 1997.

Fonte immagine: Wikipedia.

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