Economia e politica: la crisi in Germania

, di Camilla Scaglione

Economia e politica: la crisi in Germania

La Germania, fino a poco tempo fa gigante egemone nel Vecchio Continente, si trova, adesso, a dover affrontare una crisi multi-settoriale, che ne trascina in rovina l’economia e il settore produttivo. I colpevoli? La crisi energetica, il protocollo zero-Covid cinese e il cosiddetto Dieselgate.

La Germania, dapprima presentatasi come cavallo trainante dell’economia e della politica dell’intera Unione Europea, si trova, ora, in crisi su entrambi i fronti.

In primis, a livello economico, il Paese si trova in ginocchio rispetto al decennio 2010-2019, soprattutto per via del drastico calo nel settore dell’export. In particolare, è il settore automobilistico a flettersi in modo più negativo, seguito, a sua volta, a ruota libera dagli altri settori produttivi, come quello metallurgico e chimico. Il PIL dello Stato tedesco è in caduta libera e l’iperinflazione è altrettanto preoccupante, soprattutto perché proprio una situazione economica parimenti disastrosa fu quella che portò, un centinaio di anni fa, alla caduta della Repubblica di Weimar e all’ascesa del nazionalsocialismo hitleriano.

La grave crisi sanitaria, databile con l’apertura degli anni venti del XXI secolo, assieme al settore finanziario considerabile come rattrappito ed il settore manifatturiero accartocciato su sé stesso, hanno inevitabilmente espanso la crisi da puramente economica ad un ambito anche politico.

L’attuale Cancelliere Olaf Scholz, del partito socialdemocratico tedesco, succeduto al governo Merkel nel dicembre 2021, di cui era, per giunta, già Ministro delle Finanze e Vicecancelliere, ha aperto la crisi di governo, che vorrebbe portare allo scioglimento dell’attuale giunta governativa e al voto anticipato a marzo 2025, circa sei mesi prima dell’effettiva fine del suo mandato. Il successore favorito del Cancelliere uscente sembrerebbe essere, almeno per il momento, Friedrich Merz, esponente del partito Unione Cristiano-Democratica di Germania (CDU).

La crisi politica è sicuramente legata a doppio filo con la decrescita economica del Paese. Il governo semaforo, così definito per i colori delle bandiere delle fazioni membri della coalizione di governo, Verdi, SPD e FDP, ossia i liberal-democratici, è stato messo in scacco da un’apertura del 2024, a livello finanziario, alquanto desolante. L’economia tedesca, infatti, ha cominciato a mostrare i primi segni di affaticamento, ulteriori rispetto a quelli registrati durante la pandemia, nel 2023 con un calo del PIL, per poi entrare in una fase di stagnazione economica, in cui il paese sta boccheggiando. I prezzi dell’industria manifatturiera hanno subìto un’impennata vertiginosa, a fronte di un calo, altrettanto consistente, nell’esportazione di prodotti. A livello economico, tale situazione ricorda molto, come sopra detto, la scena di 100 anni fa e, infatti, la ricalca anche a livello politico. Al momento ci troviamo in una fase estremamente delicata, si potrebbe andare incontro a un’ascesa del polo di estrema destra, che vedrebbe una maggior adesione del popolo ad AfD, ossia ad Alternativa per la Germania, partito considerato nazionalista e antieuropeista, di cui una fazione, la Der Flügen, è stata nel 2020 tacciata di incompatibilità con l’ordine liberal democratico.

La virata a destra, o meglio, una svolta repentina e dura verso i partiti più marcatamente destrorsi, non deve stupire. Durante le situazioni di crisi, in particolar modo quelle di tipo economico che coinvolgono l’individuo che viene a trovarsi senza lavoro o con un’importante riduzione salariale, è confortante sentir parlare di una messa al primo piano del proprio Stato, caratterizzata da un nazionalismo oltranzista e, nel caso della Germania, anti-comunitario. Questo avviene poiché l’avente diritto di voto, prostrato dall’inflazione, corre ai ripari sotto l’ala confortante di coloro che inneggiano a qualcosa di molto simile al trumpiano “America first”, o al “prima gli italiani” di Salvini.

Il problema trainante in questa situazione di doppia crisi (economica e politica) della Germania, risiede proprio nella sua identità: si tratta di un Paese che per decenni, a partire dall’incredibile ripresa post caduta del Muro di Berlino dell’89, ha trainato il settore economico del Vecchio Continente e successivamente, una volta nata, dell’Unione Europea. Ruolo, quello di traino, che ha ricoperto con ancora maggior spazio dalla Brexit del 2017, che ha ratificato l’inizio del processo d’uscita dalla’UE per la Gran Bretagna, altro grande cavallo da tiro della Comunità fino ad allora. Di conseguenza, quindi, la crisi di questo Paese che, come abbiamo visto, è da tempo uno tra i più trainanti, rischierebbe di portare ad una deflessione economica e produttiva che, proprio come un fenomeno a cascata, potrebbe riversarsi sull’intero continente causando, così, disagi diffusi.

La radice di questa recessione economica germanica risiede, come primo piccolo ma non indifferente gradino, nella crisi energetica causata dall’apertura della guerra russo-ucraina nel 2022. Il conflitto ha, infatti, portato all’imposizione di dazi e veti commerciali tra i paesi comunitari e la Russia. La questione si è giocata in gran parte sul piano, come si diceva, energetico, in quanto il principale gasdotto a rifornire l’area europea è di proprietà della Russia. Nondimeno, uno dei Paesi a dipendere in modo massiccio dall’energia di produzione russa è proprio la Germania.

Un ulteriore problema si delinea andando ad analizzare i rapporti con la Cina, nazione che dal 2020 al 2022 ha imposto un rallentamento dei commerci, con il protocollo zero-Covid. La manovra ha particolarmente impattato la Germania, che era una tra le principali esportatrici di beni verso l’area cinese.

In ultimo, non si può non menzionare la questione Dieselgate: lo scandalo circa la falsificazione dei dati riguardanti le emissioni di ossido di azoto nelle automobili diesel Volkswagen, gruppo di bandiera tedesca, commercializzate sia all’interno dell’Europa, che nell’altro importante polo occidentale, gli Stati Uniti. A conti fatti, le automobili tedesche sono risultate quelle produttrici di maggiori emissioni, evento che ha causato un vertiginoso crollo in un settore portante per la Germania, quello automobilistico.

In questo momento, quindi, la nazione tedesca sta affrontando una crisi multipolare: sono intaccate tanto il suo PIL quanto la sua industria manifatturiera da un punto di vista sia strutturale, la cui caratteristica è quella di minare la solidità basale, sia congetturale, quindi economico. Lo scranno d’oro su cui la Germania ha a lungo riposato in Europa e, più in specifico, all’interno dell’Unione Europea, sta cedendo a causa di fratture che si fanno via via più marcate. Il vero quesito, che resta sospeso a mezz’aria, adesso è quanto la crisi tedesca impatterà la compattezza e solidità di un sistema europeo uscito stremato dall’allarme pandemico del 2020 e da tutte le relative ripercussioni economiche, parlando da un punto di vista sia nazionale che globale.

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