Da quando Israele ha iniziato la sua guerra a Gaza contro Hamas, in seguito al massacro commesso il 7 ottobre 2023 dal gruppo terroristico, personaggi di spicco lo accusano di stare commettendo un genocidio.
Il 9 dicembre 1948 è il giorno in cui l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò la ’Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio’, esattamente 75 anni fa. Il termine “genocidio” è stato attribuito solamente a una manciata di eventi sebbene numerosi parlamenti, accademici e attivisti spingano per la sua applicazione ad altri efferati eventi.
Per celebrare questo giorno, scaveremo a fondo le origini del termine e i casi in cui può essere usato. Per cominciare, diamo uno sguardo al primo riferimento che consente di classificare un evento come “genocidio”.
L’articolo II della Convenzione afferma:
“Nella presente Convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: uccisione di membri del gruppo; causare gravi lesioni all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; imporre misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; trasferimento forzato di bambini da un gruppo ad un altro.” L’articolo III si spinge oltre, stabilendo:
“I seguenti atti vanno puniti: il genocidio; l’intesa mirante a commettere genocidio; l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio; il tentativo di genocidio; la complicità nel genocidio.”
Ad un primo sguardo, l’articolo II fa sembrare che la maggior parte delle atrocità di massa costituiscano genocidio, nonostante la chiave di lettura non si trovi nella lista degli “atti”, ma nella dichiarazione introduttiva all’articolo. Per determinare se un evento costituisce un caso di genocidio, bisogna prima individuarne l’ “intento”: la parte accusata di genocidio è intenzionata a compiere una missione mirante a uccidere (distruggere) un gruppo di persone, in tutto o in parte, poiché quelle persone fanno parte di quel gruppo?
Se priva di intenzione, la presunta atrocità potrebbe costituire un “crimine contro l’umanità”, un massacro, un crimine di guerra e/o pulizia etnica. Questi termini non sono sinonimi di genocidio ma potrebbero costituire parte di esso, il che non vuol dire che questo atto o quella campagna sia un genocidio.
E nonostante il genocidio implichi un alto numero di vittime, il numero in sé non stabilisce il genocidio.
I “crimini contro l’umanità” vengono quindi definiti attacchi sistematici contro una popolazione civile tramite l’utilizzo di metodi come l’omicidio, lo stupro, la prigionia, la scomparsa forzata, la schiavitù, la schiavitù sessuale, la tortura, l’apartheid o segregazione razziale e la deportazione.
Nel rapporto provvisorio di una Commissione di esperti delle Nazioni Unite, incaricata di investigare le violazioni nella ex-Jugoslavia, la “pulizia etnica” viene definita come l’atto di “rendere un’area etnicamente omogenea, facendo ricorso alla forza o all’intimidazione per rimuovere persone appartenenti a gruppi specifici da essa provenienti” e come l’insieme di “politiche ideate da un gruppo etnico o religioso miranti alla rimozione della popolazione civile di un altro gruppo etnico o religioso attraverso mezzi violenti e di paura da specifiche aree geografiche.” Infatti, “pulizia etnica” non è un termine legale, né è stata riconosciuta come un crimine indipendente da parte del diritto internazionale: la sua definizione è quindi un’attività per lo più demandata agli studiosi di scienze sociali invece che agli avvocati penalisti internazionali.
Un altro articolo della Convenzione sul genocidio a cui fare riferimento è l’articolo IX, che spiega:
“Le controversie tra le Parti contraenti, relative all’interpretazione, all’applicazione o all’esecuzione della presente Convenzione, comprese quelle relative alla responsabilità di uno Stato per atti di genocidio o per uno degli altri atti elencati nell’articolo III, saranno sottoposte alla Corte Internazionale di Giustizia, su richiesta di qualsiasi delle parti alla controversia.”
Questo articolo della Convenzione stabilisce che affinché vi siano ripercussioni legali, la Corte Internazionale di Giustizia deve essere responsabile dell’individuazione dell’ “intento” e della definizione di un evento in quanto genocidio. Ciò è particolarmente vero per tutti i crimini commessi successivamente alla sua fondazione nel 1945. Detto questo, la Corte Penale Internazionale (ICC) – il cui Statuto di Roma venne firmato da 120 Paesi ma ratificato solamente da 60 - rappresenta il principale organismo giuridico capace di condannare atrocità di massa come “crimini contro l’umanità” e genocidio, crimini di guerra e il crimine di aggressione. La Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale possono valutare e prendere una decisione in merito a un simile evento solamente quando tutti gli Stati coinvolti nel caso in questione abbiano accettato la giurisdizione della Corte. Tuttavia, mentre la Corte Penale Internazionale persegue i singoli individui, la Corte Internazionale di Giustizia risolve controversie tra Stati e presta consulenza alle Nazioni Unite.
Anche se accademici, esperti di scienze politiche e storici considerano un evento in quanto genocidio, esso non può avere alcun peso a meno che non sia riconducibile a un evento storico considerato solo successivamente dalla Corte Penale Internazionale (ossia, gli individui che hanno commesso le presunte atrocità sono deceduti da tempo): l’accusa di genocidio è tecnicamente nulla.
Per comprendere meglio la terminologia del “genocidio” dobbiamo anche guardare a che cosa intendesse colui che l’ha coniata. L’ebreo polacco Raphael Lemkin coniò il termine per descrivere il massacro e il tentato sterminio degli ebrei europei da parte dei nazisti. Durante i suoi studi fu particolarmente influenzato anche dal massacro del popolo armeno, che oggi conosciamo come il genocidio armeno. Nel suo libro del 1944, ’Axis Rule in Occupied Europe’, introdusse la parola “genocidio”:
“Con ’genocidio’ intendiamo la distruzione di una nazione o di un gruppo etnico. Questa nuova parola, coniata dall’autore per indicare una vecchia pratica nella sua moderna fase di sviluppo, deriva dall’antico greco genos (razza, tribù) e dal latino cide (uccidere)... In generale, con genocidio non si intende necessariamente l’immediata distruzione di una nazione, a eccezione di quando viene compiuta attraverso omicidi di massa di tutti i membri di una nazione; piuttosto, si riferisce a un piano coordinato composto da diversi atti e avente lo scopo di distruggere le fondamenta essenziali della vita di gruppi nazionali, con l’obiettivo di annichilire i gruppi stessi. Il genocidio è diretto contro il gruppo nazionale in quanto entità e gli atti compiuti sono diretti contro gli individui, ma non in veste di individui quanto in quella di membri del gruppo nazionale”.
Se fate spallucce dispiacendovi di fronte a questa realtà, non siete gli unici. Infatti, nel campo degli studi sul genocidio esiste una spaccatura tra gli studiosi che vorrebbero espandere la definizione di “genocidio”, o renderlo più facile da condannare, e quelli che si accontentano della natura restrittiva del termine.
Per concludere, è molto importante prima individuare l’intento e poi essere in grado di determinare il genocidio. In sostanza, è tecnicamente anche un termine giuridico e, specialmente dopo il 1945 e successivamente al 2002, solo una corte - attraverso i suoi tribunali - può stabilire che un evento costituisca genocidio. Non dobbiamo correre nel descrivere gli eventi con le più brutali e disgustose accuse. Quest’ultime hanno gravi conseguenze non solo sui conoscenti e i discendenti dei presunti colpevoli ma anche su quelli delle vittime.
Segui i commenti: |