Esattamente dieci anni fa uno storico NO all’Europa chiuse la fase dell’europeismo governativo vincente e aprì la via ad un anti-europeismo e a una demagogia populista in larghi strati di opinione pubblica europea. La Francia, il Paese che diede l’avvio alla costruzione comunitaria con la famosa dichiarazione Schuman, bloccò infatti nel 2005 il progetto di una costituzionalizzazione dei rapporti tra gli Stati membri della UE. Come le era già capitato altre volte: nel 1966 con la politica della “sedia vuota” di De Gaulle, volta ad impedire che la Commissione diventasse un governo europeo de facto; a Maastricht quando Mitterand si oppose alla realizzazione di un’unione economica che accompagnasse quella monetaria (come chiedeva Kohl).
In diverse circostanze, nella storia francese, quando il processo europeo giunge sulle soglie di una cessione di sovranità, riemerge un revanscismo nazionalista, che mette assieme destra e sinistra nel bocciare, con un voto, avanzamenti verso l’Europa federale. Accadde nel 1954 con il rifiuto della Comunità Europea di Difesa, accadde ancora nel 2005 con il referendum sulla Costituzione europea.
Gli effetti di quest’ultima bocciatura li sentiamo ancor oggi. L’Unione europea ha accentuato, da allora, gli aspetti intergovernativi della propria azione. Il Consiglio europeo, espressione della sovranità degli stati, ha ridotto la Commissione, con Barroso, ad un proprio segretariato (solo con Juncker abbiamo avuto un soprassalto di dignità politica), ma soprattutto ha gestito, dal 2008, la lunga crisi finanziaria ed economica in un quadro assolutamente intergovernativo, cioè limitandosi a moltiplicare e restringere le regole e i parametri economico-finanziari affinché l’aerea euro mantenesse una propria stabilità finanziaria, in assenza di qualsiasi politica di sviluppo. Come ebbe a dire l’ex Presidente della BCE, Jean-Claude Trichet, al termine del suo mandato, “i governi nazionali hanno messo i parametri perché non hanno voluto fare un governo federale europeo”.
Oggi ci troviamo di fronte ad un secondo NO referendario, contro l’Europa. Poco importa se oggi molti dicono che è il ‘no’ greco non è contro l’Europa, bensì contro “questa” Europa, con le stesse motivazioni che nel 2005 in Francia vennero utilizzate da una variopinta coalizione di estrema destra/sinistra. Ieri, l’Europa era vista come il cavallo di Troia per l’invasione di idraulici polacchi e muratori rumeni che avrebbero portato via il lavoro ai giovani francesi; oggi viene vista come longa manus della finanza internazionale che vuole ridurre alla fame il popolo greco.
Ma se proviamo a leggere la realtà oltre la propaganda politica e cerchiamo di capire ciò che è in gioco nel corpo della società di questi (e dei nostri) Paesi, a seguito della globalizzazione e del processo di unificazione europea, allora scopriamo che è in atto una straordinaria resistenza al cambiamento sociale, in termini di conservazione degli esistenti assetti sociali, spesso coincidenti con quelli corporativi e poi politici.
Se in Francia vogliono conservare la sovranità sulla politica economica è perché vogliono preservare un controllo politico su strati sociali esposti ai rischi della globalizzazione e dello stesso mercato europeo (agricoltori, piccole imprese). Ottenerne il consenso è fondamentale per gli equilibri di potere, anche al prezzo di sforare ripetutamente i parametri di Maastricht.
Se in Grecia Tsipras vuole conservare il controllo della spesa è perché deve poter soddisfare l’esercito di dipendenti pubblici che da sempre sostengono chi governa, come pure deve salvaguardare gli appetiti delle forze armate, punto di forza del suo governo; se vuole mantenere la sovranità fiscale è perché deve poter giocare tra evasione fiscale di massa (IVA super-ridotta per il turismo) e mantenimento di privilegi corporativi (armatori).
È chiaro dunque che l’Europa è vista con fastidio, come colei che altera il gioco tra politica e società, non essendo per di più popolare come un tempo, quando dispensava solo pace e progresso. Il problema dell’Europa non è dato dalle politiche che propugna: il risanamento dei conti pubblici non è una cosa da ordo-liberisti, dovrebbe essere una pratica di buona gestione della cosa pubblica; un mercato del lavoro flessibile non è una cosa da monetaristi alla Friedman, dovrebbe essere un modello per gestire i rapporti capitale-lavoro in una situazione di mercato aperto, nel quadro di un sistema di garanzie (flexicurity).
Il problema dell’Europa è che propugna queste politiche senza istituzioni sovrannazionali che le garantiscano. L’assenza di istituzioni federali nel campo della politica economica determina due conseguenze negative. La prima è assai nota e si chiama deficit democratico: aver affidato la gestione del risanamento dei conti della Grecia ai tecnici del FMI è stato l’errore più clamoroso del metodo intergovernativo con il quale si governa la crisi dal 2008. La seconda è la mancanza di efficacia di queste politiche europee, prive di risorse proprie e spesso demandate alle strutture nazionali per la loro esecuzione, anziché ad agenzie federali.
Il NO greco è dunque la conseguenza di ciò che avviene in un’area monetaria priva di istituzioni federali allorché si determina una crisi finanziaria in uno stato-membro: una molteplicità di rischi-Paese, una divaricazione dei tassi d’interesse (spread), un’assenza di una politica di sviluppo comune. Tutte cose impensabili in uno stato federale.
Se il referendum greco potrà avere un senso, sarà solo perché avrà accelerato la coscienza politica di giungere in tempi rapidi a un’unione di bilancio ed economica tra i paesi dell’Eurozona, in vista di una federazione piena. In caso contrario avrà messo in moto forze non solo euroscettiche (come nel caso francese del 2005), bensì decisamente nazionaliste e fasciste.
1. su 7 luglio 2015 a 18:18, di Giovanni Salpietro In risposta a: Dal NO francese al NO greco
Giusto per capire.. quali sarebbero le «forze fasciste»?
2. su 8 settembre 2015 a 22:22, di Antonio Longo In risposta a: Dal NO francese al NO greco
Quelle già esistenti che si qualificano come tali e quelle che nascono quando non emergono soluzioni europee.
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