Dal consolidamento fiscale alla crescita. Un Fondo europeo per lo sviluppo e l’occupazione

, di Alberto Majocchi

Dal consolidamento fiscale alla crescita. Un Fondo europeo per lo sviluppo e l'occupazione

1.- In Europa la crescita è debole

Nel 2013, secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale, la crescita nell’area euro è stata ancora negativa (-0,4%) e raggiungerà l’1% (l’1,1% per la Commissione europea) nel 2014, a fronte di una crescita rispettivamente dell’1,6% e del 2,6% negli Stati Uniti. E, mentre i paesi emergenti mantengono i loro elevati tassi di crescita, anche in Giappone la politica espansiva del governo Abe sembra garantire finalmente la fuoriuscita da un lungo periodo di stagnazione. L’Europa resta dunque il punto debole dell’economia mondiale, e l’esperienza di questi anni di crisi ha mostrato con chiarezza che, anche se le decisioni assunte sono state in grado di evitare una recessione ancora più grave, il metodo del coordinamento delle politiche economiche previsto dall’articolo 121 del TFUE è del tutto inadeguato per garantire il raggiungimento degli obiettivi di Europa 2020 e, nel breve termine, per assicurare un rilancio sostenuto dell’attività economica nell’area dell’euro, promuovere la competitività dell’economia europea e assorbire progressivamente la disoccupazione, in particolare giovanile.

Una ripresa della crescita appare altresì sempre di più come lo strumento decisivo per garantire il raggiungimento degli obiettivi del fiscal compact. Nel caso dell’Italia, che presenta uno stock di debito assai elevato, una volta conseguito il pareggio di bilancio secondo le indicazioni della legislazione europea ormai trascritte nella legislazione domestica, l’obiettivo più difficile da raggiungere appare la riduzione annuale del rapporto debito/Pil, pari a un ventesimo della differenza fra la quota dello stock di debito sul Pil e il 60% fissato dal Trattato. Ma con un bilancio in pareggio lo stock di debito rimane costante nel tempo, quindi con un tasso di inflazione che l’Istat prevede all’1,7% nel 2014 sarebbe sufficiente conseguire un tasso di crescita almeno pari all’1,3% per ridurre annualmente il rapporto debito/Pil nella misura del 3% prevista dal fiscal compact senza dover introdurre ulteriori misure deflazionistiche di riduzione della spesa o di aumento delle entrate.

2.- Il consolidamento fiscale incide negativamente sulla crescita

Porre un limite ad una politica che miri ad ulteriori aggravi fiscali è in realtà un obiettivo di grande rilievo in quanto è ormai generalmente riconosciuto il fatto che le misure restrittive, per quanto necessarie e ineludibili, sono comunque insufficienti per garantire una ripresa dello sviluppo. La stima di moltiplicatori fiscali superiori a 1 da parte di FMI e OECD ha accantonato definitivamente la favola degli effetti anti-keynesiani di provvedimenti volti al consolidamento fiscale. In un recente paper De Grauwe e Ji stimano che nei paesi dell’eurozona ad ogni aumento dell’1% delle misure di austerità segue una diminuzione della produzione dell’1,4%. Ne deriva necessariamente che diventa sempre più difficile ridurre i disavanzi di bilancio e, in effetti, un aumento dell’1% delle imposte o una riduzione equivalente della spesa porta a un miglioramento del saldo di bilancio pari soltanto allo 0,5%. La conclusione di De Grauwe e Ji è abbastanza netta per quanto riguarda l’inadeguatezza di una politica che miri unicamente al consolidamento: “in order to improve the budget balance by 1%, an austerity programme of at least 2% is necessary. Given our measure of the fiscal multiplier of 1.4, this also implies a drop in Gdp of 2.8%. Thus, the eurozone austerity programmes imposed a very unfavourable trade-off for the periphery countries: in order to improve their government budget balances by 1% a sacrifice of 2.8% of Gdp was necessary [1]. E, in effetti, in Grecia dal 2009 al 2012 il disavanzo di bilancio si è ridotto dal 15,6% al 9,6%, ma con un conseguente caduta del Pil del 21,1% (e un aumento della disoccupazione dal 9,5% al 23,6%). In termini politici, la conclusione che De Grauwe e Ji ne traggono è che “the imposition of austerity programmes in the eurozone has fallen victim to the fallacy of composition. What works for one nation fails to work when every nation applies the same policies (…). When all countries try to save more at the same time, each country’s attempt to do so makes it harder for the others to achieve their objectives”. Then, “it is high time that the Commission takes up its role of defending the interests of the debtor nations with the same vigour that it defends the interests of the creditors”.

Si deve evidentemente concordare in linea di principio con questo auspicio, ma si tratta purtroppo di un caso evidente di wishful thinking, come ha dimostrato l’esperienza di questi anni di crisi. Si tratta in sostanza di invitare la Germania a sostenere la domanda interna per ridurre il suo surplus esterno e, al contempo, per favorire la crescita delle esportazioni e sostenere la domanda nei paesi periferici con un’economia più debole attraverso la formazione di un attivo di bilancia commerciale. Al contempo, si propone alla Commissione di agire affinché gli sforzi del risanamento e dell’uscita dalla crisi vengano ripartiti in modo più equo fra i paesi deboli e i paesi forti. Ma è del tutto prevedibile che questa ipotesi non si realizzi in quanto, da un lato, la Germania si rifiuta di prendere provvedimenti di sostegno alla domanda interna dato che il governo tedesco ritiene che non siano nell’interesse della sua constituency politica che è ancora nazionale; d’altro lato, la Commissione non dispone di un potere adeguato per imporre scelte che sarebbero nell’interesse dell’insieme dell’eurozona, ma che confliggono con gli interessi di uno Stato membro, e in particolare di un paese forte come la Germania.

3.- Occorre un piano per lo sviluppo

In realtà, l’unica soluzione realistica per uscire dall’impasse attuale, in attesa di una riforma istituzionale di natura federale che attribuisca al livello sovranazionale la responsabilità di governare l’insieme dell’economia europea sostenendo con una vera unione economica la moneta unica, consiste nell’elaborazione di un Piano europeo di Sviluppo Sostenibile [2] e nel varo di un Fondo europeo per lo Sviluppo e l’Occupazione che può rappresentare lo strumento adeguato per avviare la realizzazione di questo piano.

La politica di rilancio che dovrebbe attuare il Fondo presenta necessariamente caratteristiche nuove e diverse rispetto alle politiche tradizionali. In Giappone e negli Stati Uniti la ripresa dell’economia è affidata in primo luogo a politiche monetarie espansive, destinate principalmente a sostenere una ripresa dei consumi e della domanda di abitazioni. Una scelta di questo tipo non è concepibile in Europa dove il problema di fondo è l’aumento della produttività per affrontare la sfida dell’economia globale e favorire un riassorbimento della disoccupazione, mentre il suolo rappresenta sempre più una risorsa scarsa che deve essere accuratamente protetta. È vero che esiste il problema di una ripresa dei consumi, ma deve essere affrontato con politiche efficaci di redistribuzione del reddito a favore delle classi più deboli, che non sono più in grado di far fronte anche a bisogni elementari, e non con misure creditizie, che favoriscono soprattutto chi dispone già di risorse adeguate.

Con l’approvazione del fiscal compact l’area euro ha fatto un scelta fortemente innovativa rispetto alle esperienze del passato: la crescita non si fa con la creazione di nuovo debito. La spesa corrente deve quindi essere finanziata con entrate correnti, e l’emissione di titoli deve essere unicamente destinata al finanziamento di investimenti in grado di garantire con il reddito da essi generato il servizio del debito. Al contempo, è opinione generalmente condivisa che lo sviluppo economico deve risultare compatibile con la protezione dell’ambiente. Coerentemente con questa scelta il Fondo dovrà destinare le proprie risorse al finanziamento di investimenti materiali o in capitale umano, e per la produzione di beni collettivi capaci di garantire una crescita sostenibile e un aumento della produttività e, quindi, della competitività dell’economia europea.

4. Le risorse per finanziare il Fondo

Per avviare questa politica occorre naturalmente reperire nuove risorse da destinare al finanziamento del Fondo ed è opinione diffusa che a questo fine debba essere utilizzato il gettito dell’imposta sulle transazioni finanziarie, che dovrebbe essere per sua natura destinato a finanziare una spesa europea in quanto il mercato finanziario è ormai unificato sulla base di regole comuni. Sulla base di una stima dei servizi della Commissione si può prevedere che il gettito della Financial Transaction Tax (FTT) - se applicata soltanto negli 11 paesi che hanno al momento aderito alla Cooperazione Rafforzata proposta dalla Commissione il 14 febbraio 2013 per l’introduzione di questa nuova imposta - ammonti a 31 miliardi di euro. Con un Fondo finanziato da queste risorse proprie sarebbe possibile lanciare sul mercato un’emissione di eurobonds, con l’appoggio della Banca Europea degli Investimenti per l’analisi e la valutazione dei progetti di investimento, per il reperimento di ulteriori risorse finanziarie nel settore privato e per il finanziamento dei progetti da parte della Banca stessa. In questo modo circa 200-300 miliardi di euro potrebbero essere allocati al Fondo per il finanziamento di un programma pluriennale di investimenti.

La proposta della Commissione di una Financial Transaction Tax non prevede ancora l’attribuzione al bilancio europeo del gettito, che dovrebbe invece essere destinato al finanziamento dei bilanci nazionali ovvero a parziale sostituzione dei contributi nazionali al bilancio europeo. Per avviare concretamente il Fondo è quindi necessario che si rovesci questa posizione e si prenda la decisione di attribuire al bilancio europeo il gettito della FTT. In questo momento non esiste una chiara maggioranza di paesi a favore di questa scelta. La FTT è stata approvata soltanto da 11 Stati membri dell’area euro; e i due paesi – la Francia e l’Italia – in cui è già stata introdotta hanno destinato il gettito al finanziamento del loro bilancio. L’iniziativa politica che deve essere promossa, anche in vista delle prossime elezioni europee, presuppone quindi in via prioritaria che si riconosca l’urgenza di avviare una politica per la crescita con il varo del Fondo europeo per lo Sviluppo e l’Occupazione; una volta che la necessità di questa scelta sia stata riconosciuta e fatta propria dai governi e dai programmi dei partiti si porrà il problema del suo finanziamento e l’ipotesi di utilizzare a questo fine la FTT diventerà a questo punto realistica.

Un’ulteriore risorsa potrebbe essere assicurata al bilancio europeo in una fase successiva con l’approvazione della proposta, avanzata recentemente dalla Commissione, di una Direttiva per introdurre una carbon/energy tax. In una situazione in cui più chiari appaiono ormai i rischi legati ai cambiamenti climatici e sempre più urgente emerge la necessità di sostituire combustibili fossili con fonti di energia alternativa, un’imposta commisurata anche al contenuto di carbonio delle fonti di energia appare uno strumento adeguato per avviare processi virtuosi di risparmio energetico e di fuel-switching verso le fonti di energia rinnovabile, riducendo l’impatto negativo sull’ambiente del consumo di energia e favorendo l’introduzione di processi produttivi meno energy-intensive. E questo tipo di imposizione appare del tutto in linea con gli obiettivi di un piano europeo di sviluppo sostenibile, che miri a garantire una ripresa dell’economia europea e, al contempo, la conservazione e il miglioramento della qualità dell’ambiente.

Naturalmente, in parallelo all’attribuzione di nuove risorse al bilancio europeo si dovrà ridurre in misura corrispondente il prelievo negli Stati membri, in modo da mantenere invariata e, in prospettiva, diminuire la pressione fiscale sui contribuenti, sfruttando i risparmi di risorse che possono derivare da una produzione comune di beni pubblici europei. Si pensi che, soltanto nel settore della difesa, una valutazione recente stima che il costo totale della non-Europa può raggiungere 120 miliardi di euro per anno [3] .

5.- Un bilancio per l’eurozona e un Tesoro europeo

L’attivazione del Fondo rappresenta soltanto un obiettivo intermedio - così come è stato per lo SME in vista dell’Unione monetaria - da cui prendere avvio per ottenere il consenso di tutti i paesi dell’area euro all’utilizzo del gettito della tassa sulle transazioni finanziarie e, in prospettiva, della carbon tax per finanziare un bilancio aggiuntivo dell’eurozona, capace di sostenere la crescita dell’economia europea e di assorbire gli effetti di shocks asimmetrici sui Paesi membri con un notevole risparmio di risorse rispetto a quelle assegnate attualmente allo European Stability Mechanism. Con la creazione di un bilancio dell’eurozona, finanziato con risorse proprie, si dovrebbe necessariamente dar vita a un Tesoro europeo, responsabile della gestione delle entrate e della spesa, della realizzazione del piano di sviluppo sostenibile e del coordinamento della politica economica dei paesi membri al fine di evitare che andamenti divergenti dei diversi sistemi economici all’interno dell’area, che non possono essere compensati attraverso variazioni del cambio, portino in definitiva all’implosione dell’area euro. In questo modo crescerebbe anche l’appetibilità degli strumenti di debito emessi dall’Unione - gli eurobonds -, garantiti da prelievi che affluiscono direttamente alle casse federali.

Ma vi è una differenza di fondo fra l’Unione fiscale e l’Unione monetaria. La Banca Centrale è un organo costituzionale di cui il Trattato di Maastricht sancisce l’indipendenza, con il compito - importante, ma limitato - di garantire la stabilità dei prezzi con interventi decisi in piena autonomia. Il Tesoro è un organo costituzionale di diversa natura in quanto è un principio fondamentale della democrazia che No Taxation without Representation. Il Tesoro può operare con efficacia solo se ha consenso e la politica fiscale deve quindi essere soggetta al controllo democratico del Parlamento - con l’attribuzione di nuove competenze anche per quanto riguarda la gestione delle entrate - e agire nel quadro di un governo che sia rappresentativo della volontà popolare. In definitiva, la decisione di procedere alla costruzione di un’Unione fiscale, con un Tesoro e una finanza federale, deve essere accompagnata da una contestuale decisione che fissi la data per l’avvio di una federazione politica che garantisca la democraticità e l’efficacia delle decisioni europee.

Il piano finalizzato alla costruzione di una finanza federale e all’istituzione di un Tesoro europeo dovrebbe essere oggetto di una decisione del Consiglio Europeo, che fissi da subito le scadenze delle diverse tappe e, soprattutto, la data finale che segnerà l’inizio del funzionamento dell’Unione fiscale, indicando al contempo con chiarezza che l’Unione fiscale rappresenta un passo ulteriore, ma che l’obiettivo finale rimane la costruzione dell’Unione politica. Hic Rhodus, hic salta. La crisi ha mostrato che i modesti avanzamenti istituzionali ottenuti con il Trattato di Lisbona sono del tutto inadeguati e che si tratta oggi, partendo da un piano di sviluppo capace di restituire ai cittadini la fiducia nell’Europa, e dalla creazione di un bilancio europeo per garantirne la realizzazione, di arrivare alla costruzione di uno Stato federale in Europa, con competenze per ora limitate al settore della gestione dell’economia e della moneta, ma che contempli in prospettiva anche una politica estera e della sicurezza europea, nel quadro del gruppo di paesi all’interno dell’Unione dove il grado di integrazione è maggiormente avanzato, a partire dall’area dell’euro.

Fonte immagine Wikipedia

Note

[1P. De Grauwe-Y.Ji, The Legacy of Austerity in the Eurozone, CEPS Commentary, 4 October 2013.

[2A. Majocchi, Guidelines for a Sustainable Development Plan for the European economy. Towards a Federal Fiscal Union, Centre for Studies on Federalism, Turin, 19 June 2012.

[3V. Briani-G. Chevallard, The Costs of Non-Europe in the Defence Field, CSF-IAI, April 2013

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