L’8 e il 9 giugno, cittadine e cittadini italiani saranno chiamati a esprimersi su una serie di referendum abrogativi che riguardano temi cruciali come il diritto del lavoro e l’accesso alla cittadinanza. I quesiti legati al mondo del lavoro sono stati promossi dalla CGIL, il maggiore sindacato italiano, quello sulla cittadinanza da un comitato di associazioni e partiti guidato da +Europa, dal nome Figlie e Figli d’Italia.
Un nutrito gruppo di esponenti della maggioranza oggi al Governo - incluso il Presidente del Senato Ignazio La Russa - ha pubblicamente invitato a non recarsi alle urne, puntando così al fallimento del quorum. L’articolo 75 della Costituzione prevede infatti che, affinché un referendum abrogativo sia valido, debba votare la maggioranza degli aventi diritto.
Sebbene propagandare per l’astensionismo non sia di per sé illegittimo, risulta quantomeno curioso - per non dire proprio ridicolo - che gli stessi partiti che non perdono occasione per ricordare il consenso ottenuto alle scorse elezioni politiche, avvenute meno di tre anni fa, e gongolano dei sondaggi settimanali, siano talmente preoccupati del risultato a questo referendum non da invitare a votare “no”, ma proprio a non votare. Vale la pena ricordare che, secondo l’articolo 48 della Costituzione, il voto non solo è un diritto, ma anche un dovere civico.
Conseguenza del tentativo di La Russa and company di ignorare quanto accadrà all’alba del prossimo mese è la scomparsa del tema referendum dalle aule del Parlamento e dalla copertura nei palinsesti televisivi della Rai. Considerata la complessità dei quesiti, cittadine e cittadini meriterebbero invece di essere informati, ecco perché Eurobull vi offre questo articolo.
Qualche chiarimento preventivo
Prima di cominciare ad approfondire singolarmente i quesiti, è bene chiarire qualche elemento che, pur sentendosi spesso nominare nella discussione sui referendum, risulta ancora fumoso a tante e tanti:
- L’articolo 18: Si tratta dell’articolo della legge 300/1970, comunemente chiamata Statuto dei lavoratori, che riguarda la tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. Nel suo testo originario, prevedeva che, in caso di licenziamento illegittimo, senza giusta causa o giustificato motivo, il giudice potesse ordinare la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno subito e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il periodo intercorso tra il licenziamento e la reintegrazione.
- Il licenziamento illegittimo: Se ne parla quando il datore di lavoro compie la violazione di una legge o di una procedura nel licenziare un dipendente. Il licenziamento, oltre a essere illegittimo, è nullo quando viola norme imperative di legge o principi costituzionali, ad esempio quando è compiuto con fine discriminatorio, quando avviene nel periodo di maternità/paternità della/del lavoratrice/lavoratore, quando è ritorsivo o quando non avviene in forma scritta. Illegittimo è anche il licenziamento ingiustificato, cioè che non ha una giustificazione sostanziale; essendo l’illegittimità un termine più ampio, serve fare attenzione quando ci si esprime per non creare confusione. In parole povere, tutti i licenziamenti ingiustificati sono illegittimi, ma non tutti gli illegittimi sono ingiustificati.
- Il Jobs Act: Decreto legislativo adottato nel 2015 sotto il Governo Renzi che ha rivisto il diritto del lavoro con una serie di riforme volte a equilibrare il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore. Ha preso in considerazione l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori privando chi subisce il licenziamento illegittimo non nullo della possibilità di reintegro ma prevedendo solo un’indennità risarcitoria calcolata da un giudice. Fanno parte dei licenziamenti illegittimi non nulli i licenziamenti ingiustificati, i licenziamenti disciplinari per fatti non gravi, i licenziamenti per inidoneità psico-fisica senza verifica medica.
- La cittadinanza italiana: Oggi la cittadinanza italiana si ottiene per mezzo dello ius sanguinis, quindi nascendo da almeno un genitore italiano. Può essere richiesta da chi rispetta determinati criteri (reddito sufficiente, assenza di condanne, conoscenza della lingua italiana) e risiede legalmente e continuativamente in Italia da almeno 10 anni. Chi nasce in Italia da genitori stranieri può richiedere la cittadinanza italiana solo al compimento del diciottesimo anno d’età e sempre dopo aver risieduto in Italia legalmente per 10 anni continuativi. Solo attraverso il matrimonio con un/a cittadino/a italiano/a si può richiedere la cittadinanza italiana entro termini più limitati: 2 anni di residenza legale in Italia, ridotti a 1 anno se con figli. La cittadinanza italiana non solo comporta diritti civili e politici come il voto o l’accesso ai concorsi pubblici, ma diritti sociali ed economici come l’accesso alla sanità e all’istruzione pubblica e la cittadinanza europea con cui si ha la libertà di vivere, studiare e lavorare in tutti i Paesi dell’Unione europea senza bisogno di ulteriori permessi.
Quesito n.1
Nella prima scheda, quella di colore verde, si chiede a elettrici ed elettori se vogliano abrogare la norma introdotta dal Jobs Act che non prevede il reintegro, ma solo un indennizzo, per chi subisce licenziamento illegittimo non nullo.
Con tale abrogazione, non rientrerebbe in vigore l’articolo 18 nella sua forma originale, come erroneamente sostenuto dal Segretario Generale della CGIL Maurizio Landini, ma la formulazione precedente al Jobs Act, toccata dalla riforma Monti-Fornero. Dal 1970, la norma è stata infatti toccata da più riforme, non solo da quella del 2015.
Tuttavia, l’aspetto che i promotori del referendum vorrebbero tutelare sarebbe quello della garanzia della possibilità di reintegro del lavoratore - su cui si esprimerebbe un giudice - in pressoché ogni caso di licenziamento illegittimo, e ciò si otterrebbe con la vittoria del “sì”. Da attenzionare è però il fatto che, attraverso questa formulazione, si sacrificherebbe la riforma introdotta con il Decreto Dignità, voluto dal Governo Conte I nel 2018, che ha aumentato l’indennizzo massimo da 24 a 36 mensilità.
Quesito n.2
Il secondo quesito, scheda arancione, non ha a che fare con il Jobs Act, ma con la legge 604/1966, che pure è andata a incidere sul famoso articolo 18. Chiede di eliminare il limite di 6 mesi all’indennità per i lavoratori licenziati in modo illegittimo non nullo nelle piccole aziende, ossia quelle che contano meno di 16 dipendenti, e di lasciare quindi a un giudice la facoltà di stabilire il periodo di indennità.
Per l’abrogazione di questo articolo si è già svolto un referendum nel 2003, promosso da Rifondazione Comunista. Allora si schierarono per il “sì” i partiti di sinistra, per il “no” quelli di destra, di centrodestra e Radicali Italiani. I partiti di centrosinistra non diedero indicazione di voto. Non si raggiunse il quorum, con l’affluenza che si attestò poco oltre il 25%.
Quesito n.3
Quello che appare più divisivo pure tra i tecnici è il terzo quesito, che sarà su scheda grigia. Riguarda nuovamente il Jobs Act, nello specifico alcune norme inserite con il Decreto Poletti, dal nome del Ministro del Lavoro del Governo Renzi.
Tale Decreto ha preso piede in un momento di intenso tasso di disoccupazione; per rendere più semplice alle imprese l’assunzione e il licenziamento di dipendenti e, allo stesso tempo, evitare l’abuso dei contratti di stage, il Decreto ha previsto che il datore di lavoro possa ricorrere a contratti a tempo determinato della durata massima di 24 mesi, con un massimo di quattro rinnovi nello stesso periodo, senza l’obbligo di indicare motivazioni tecniche o organizzative per contratti di durata fino a 12 mesi.
Obiettivo del referendum è limitare il ricorso a questo tipo di contratti reintroducendo l’obbligo per i datori di lavoro di indicare una causale, ossia il motivo per cui si preferisce un contratto a termine rispetto a uno a tempo indeterminato.
Quesito n.4
Sulla scheda rossa sarà trattato il quarto quesito, che prende a oggetto il tema della responsabilità in caso di infortuni o malattie sul lavoro tra committenti, appaltatori e subappaltatori.
Attualmente, la legge prevede che, in caso di infortunio sul lavoro, il datore di lavoro committente (cioè chi affida un appalto) sia responsabile insieme all’appaltatore e agli eventuali subappaltatori se i lavoratori coinvolti non sono coperti da assicurazione. Tuttavia, questa responsabilità viene esclusa se l’infortunio è dovuto a rischi specifici dell’attività dell’appaltatore o del subappaltatore. Con rischi specifici si intendono pericoli tipici e propri dell’attività svolta dall’impresa appaltatrice, come, ad esempio, ferite rimediate usando macchinari pericolosi dell’impresa, cadute da un’impalcatura durante lavori in quota, o ancora intossicazioni dovute all’uso scorretto di prodotti chimici durante le pulizie industriali.
Il referendum propone di eliminare questa eccezione, estendendo così la responsabilità anche ai casi in cui il danno derivi da rischi propri dell’attività dell’appaltatore o subappaltatore. In pratica, il committente resterebbe responsabile in ogni caso, aumentando la tutela per i lavoratori lungo la filiera degli appalti.
Questa modifica, pur non riguardando il Jobs Act ma il Testo Unico sulla Sicurezza (D.Lgs. 81/2008), incide su un aspetto delicato del diritto del lavoro: la distribuzione delle responsabilità tra diversi soggetti coinvolti negli appalti, come avviene spesso nel settore edile o della logistica. È utile sapere che una responsabilità più ampia del committente è già prevista negli appalti pubblici, il referendum punta a estendere questo principio anche ai rapporti tra privati.
Quesito n.5
Infine, sulla scheda gialla, sarà posto il quesito volto a dimezzare gli anni di residenza legale continuativa in Italia per avviare la pratica di richiesta della cittadinanza.
La legge 91/1992 ha previsto come requisito perché gli stranieri extracomunitari maggiorenni possano ottenere la cittadinanza italiana quello di 10 anni di residenza. Il referendum propone di dimezzare questo requisito, riportandolo a 5 anni, consentendo così a oltre 2 milioni di persone la possibilità di diventare cittadine e cittadini italiani.
È importante sottolineare che non sarebbero modificati da un’eventuale riforma derivante dal referendum gli altri criteri oggi in vigore, come la conoscenza della lingua italiana e la dimostrazione di un reddito stabile. Inoltre, la cittadinanza deve essere richiesta dalla persona interessata e non viene concessa automaticamente.
Va considerato anche l’aspetto - tutt’altro che scontato - dello status di extracomunitario. Dal Trattato di Maastricht del 1992, i cittadini di qualunque Stato membro dell’Unione europea (quindi comunitari) godono dello status giuridico di cittadinanza europea. Questo status, pur non agevolando l’ottenimento della cittadinanza di un altro Stato membro, garantisce diritti non riconosciuti agli extracomunitari, come la possibilità di vivere, studiare e lavorare senza visto in tutti i Paesi dell’Unione europea, oltre al diritto di votare e candidarsi alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali nel Paese comunitario di residenza, anche se non si è cittadini di quello Stato.
Conclusioni
L’Italia è un Paese in cui, dati alla mano, la fiducia di elettrici ed elettori spesso viene tradita dalla politica. Ne è prova il fatto che negli ultimi vent’anni solo in un’occasione il partito più votato alle elezioni politiche è stato in grado di confermarsi prima forza alla votazione successiva (il Movimento 5 Stelle, nel 2013 e nel 2018). Questo aspetto è da annoverarsi nelle cause per cui l’affluenza è andata sempre più diminuendo, arrivando a toccare un imbarazzante 64% nel 2022.
Lo strumento del referendum è l’unica forma di democrazia diretta prevista nel nostro Paese, con un voto favorevole o contrario si decide, senza vincoli o compromessi, di una determinata questione. Certo, sotto tanti punti di vista, sarebbe un bene che a occuparsi delle questioni più tecniche sia un gruppo di esperti formati che ne studino benefici e rischi, ma, in assenza di una regolamentazione adeguata, ciò potrebbe pian piano portarci a perdere un valore conquistato con il sangue: quello della democrazia.
Fate le vostre valutazioni, pensate a voi stessi, alla vostra società e al vostro Paese, ma poi prendete in mano documento e tessera elettorale e andate a votare. Dimostrate di voler decidere e di non fare sì che superficialità e ignoranza prendano il controllo della stessa Italia di cui voi siete cittadine e cittadini. Avvalorate quel principio deciso per voi dalle e dai patrioti che hanno costruito la Repubblica, quello per cui la sovranità appartiene al popolo.
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