I numerosi attentati che si sono susseguiti dall’inizio di questo 2016 rivelano che la situazione di instabilità politica in numerose aree del Medio Oriente, di Africa ed Asia non è stata ancora efficacemente affrontata. Proprio di questi giorni è la notizia di un’altra terribile strage a Istanbul perpetrata dai militanti affiliati a Daesh. Il califfato si rafforza intanto in Libia e continua a combattere e compiere attacchi in Iraq. Persino in Indonesia, a Giacarta, si sono attivate delle cellule terroristiche Is che contendono il terreno ad Al Qaeda, che però ha a sua volta reagito attaccando violentemente su altri territori, come è avvenuto in Burkina Faso. Sono stati bombardati ospedali di MSF, uccisi più di 300 civili in un singolo attacco in Siria e continuano ininterrottamente le deportazioni dei familiari di militanti sciiti nella pressocché evidente impotenza della comunità internazionale.
Cosa sta facendo l’Europa mentre il mondo intorno a lei brucia?
Si piega sotto i colpi di populisti ed euroscettici, vede il suo ruolo di garante della democrazia messo in dubbio all’interno dei suoi stessi confini dalla drammatica situazione in Polonia, si frantuma con la scusa dell’insostenibilità di Schengen.
Ogni giorno ascoltiamo le accuse che politicanti di ogni colore destinano all’Europa, ma i veri colpevoli non vanno cercati a Bruxelles. Chi ha il potere di agire per invertire questa pericolosa tendenza che ci sta lentamente trascinando nel baratro sono i 28 Governi degli Stati nazionali che compongono l’Unione europea con una drammatica ristrettezza di vedute e che sono incapaci di reagire insieme.
Eppure molte delle aree coinvolte da conflitti endemici, ormai privi di autorità statale, sono di evidente interesse geopolitico per l’Unione europea, anche perché lo stesso problema dell’ «insostenibilità dei flussi migratori» è molto spesso legato all’incapacità di trovare una soluzione ad alcune di queste guerre, come accade chiaramente per la Siria. Nonostante tutto questo, i Governi europei tentennano ancora sul dotare l’Europa degli strumenti per poter agire e si muovono separatamente, con i risultati mediocri che sono sotto gli occhi di tutti.
Cosa stiamo aspettando per dotare l’Unione degli strumenti per fronteggiare le sfide di questo mondo globale?
Purtroppo questo nuovo anno si apre per l’Ue all’insegna di una forte incertezza politica, basti leggere le dichiarazioni di Juncker e Schulz del 12 gennaio che esplicitamente parlano di «crisi multiple» sostanzialmente irrisolte rispetto al 2015 e che lasciano percepire la quasi inquietante incapacità di prevedere un salto in avanti o un’inversione di tendenza rispetto ai mesi appena trascorsi.
I flussi migratori non si sono arrestati con l’inverno ma sono anzi proseguiti. Questa sfida ha ampiamente rivelato l’incapacità di intraprendere azioni collettive da parte degli Stati europei: mentre aumentano le morti dei migranti in fuga da guerre ed orrori, l’unico accordo concreto che si è raggiunto per l’accoglienza prevede una redistribuzione tra i 28 paesi di 160 mila profughi nell’arco di 2 anni. Ad oggi non siamo ancora a 200 ricollocamenti, mentre gli arrivi hanno superato abbondantemente il milione nella sola Germania. Intanto l’ondata populista che proviene dagli sciacalli della politica nel tentativo di sfruttare la paura delle violenze di Colonia, allo stesso modo degli attentati terroristici di matrice islamica, rischiano irreparabilmente di segnare il linguaggio politico per tutto l’anno e di arginare ogni forma di solidarietà. Per comprendere i rischi di queste derive basti vedere le violente reazioni dei gruppi di estrema destra, coordinatisi sui social network, che hanno attaccato un intero quartiere a Lipsia. Non possiamo arrenderci e cadere preda di queste barbarie fasciste, l’Europa è e deve essere un faro nel mondo di giustizia e democrazia.
Davvero vogliamo spogliare i profughi sopravvissuti ai viaggi sulle «rotte delle tragedie» delle poche risorse che hanno come si stanno apprestando a fare in Svizzera ed in Danimarca? Noi rappresentiamo la speranza, un modello per un mondo migliore, cosa stiamo diventando invece?
L’opinione pubblica europea sembra davvero incapace di una qualche forma di sensibilità, c’è chi ha detto a una manifestazione davanti la cancelleria tedesca a settembre che «in questo momento, l’unica cosa che non ha frontiere è la vergogna». Chiudiamo gli emigrati e i richiedenti asilo in delle specie di campi di concentramento facendo finta che il problema non esista o che prima o poi si esaurisca da solo, ma qui stiamo parlando di esseri umani e non di speculazioni filosofiche.
La stessa reazione intergovernativa che ha seguito i fatti del 13 novembre a Parigi, si è tradotta in una risposta securitaria alimentata dall’allarme del terrorismo permanente a cui è stato legato il problema dell’immigrazione. Entrambe le problematiche sono state accumunate e viste unicamente con la lente della sicurezza e della paura, una risposta politica che ci ha portato verso una spersonalizzazione del migrante e, molto spesso, ad una sua criminalizzazione.
Questa situazione, se da una parte sta mettendo a rischio i progressi nell’integrazione europea come la stessa area Schengen e la libera circolazione, dall’altra non è assolutamente sufficiente a garantire la sicurezza dei cittadini europei né a rilanciare un modello di integrazione sociale valido per tutta l’Unione che possa tutelare gli immigrati e i loro figli. Dobbiamo rispondere alla paura con la forza della solidarietà e non con la sospensione della democrazia.
Il clamoroso risultato elettorale ottenuto dal Front National in Francia dovrebbe far riflettere i nostri leaders sui pericoli che stiamo correndo restando inattivi. I Governi europei potrebbero assecondare subito le proposte di riforma che stanno elaborando al Parlamento europeo, superando definitivamente i regolamenti di Dublino verso la realizzazione di un’unica politica di asilo e per l’immigrazione, come già ricordato anche dal Ministro degli Esteri Italiano Gentiloni o dalla Presidente della Camera dei Deputati Boldrini.
Le uniche frontiere che dovrebbero essere sorvegliate da un’unica forza di polizia per rendere efficace le velleità di sicurezza paventate contro il terrorismo dovrebbero così essere quelle europee, non quelle nazionali.
Per avere poi una voce che possa essere ascoltata nel tentativo di risolvere il conflitto endemico che si svolge in Medio Oriente e che vede contrapporsi le potenze sunnite e sciite, origine anche del terrorismo internazionale di matrice islamica, l’Ue non può che adottare una politica estera unica. Solo allora, in questo mondo multipolare, l’Europa potrà tornare a svolgere un ruolo da protagonista sullo scenario politico globale. Per agire in questo senso c’è una strada resa chiara anche dalla discussione che è in corso con Cameron sulla Brexit: l’integrazione differenziata. L’eurozona ha un evidente bisogno di un governo politico democratico dell’euro e di un bilancio dotato di risorse proprie per sopravvivere.
Questa Europa che si potrebbe realizzare, dotata di due velocità, da un lato potrebbe mantenere al suo interno molti Stati restii a proseguire col processo di integrazione, dall’altro permetterebbe di andare avanti a coloro che desiderano raggiungere l’unione politica. Un’eurozona dotata di un governo federale potrebbe anche rilanciare lo sviluppo e operare un piano, che si accompagni a quello già elaborato dalla Commissione sul livello dell’intera Unione, per superare i disequilibri dati da un’eccessiva e controproducente politica di austerità.
Insomma, prima che le spinte centrifughe rischino di abbattere l’intera Unione, dobbiamo compiere una riforma istituzionale con il preciso scopo di avere degli strumenti per affrontare questo e i prossimi anni a venire salvaguardando i valori che hanno reso l’Europa degna di un Nobel per la pace. Non possiamo permetterci di restare inattivi questo 2016, attendendo le elezioni del prossimo anno per agire, poiché in Europa i cittadini saranno già chiamati al voto numerose volte nei prossimi mesi: abbiamo le elezioni in ben cinque länder tedeschi, le presidenziali in Austria e Portogallo, le legislative in Slovacchia, Irlanda, Lituania e Romania.
Abbiamo visto in Polonia di cosa è capace un governo euroscettico in pochi mesi. La stessa procedura che è stata aperta dalla Commissione contro il governo polacco risulta comunque tardiva, perché cade in uno dei momenti di maggior divisione degli ultimi sessant’anni dell’Unione europea. Dobbiamo reagire a questa situazione prima che si estendano le forze antieuropeiste e ci riportino in un baratro di conflittualità tra nazioni.
La II Guerra Mondiale è così lontana? «Non c’è bisogno di viaggiare nel tempo per essere degli storici» e capire quali sono le derive future di un’Europa divisa ancora una volta in Stati nazionali.
Le iniziative non mancano, basti vedere le proposte di riforma dell’architettura dell’Unione presentate da Duff, da Bresso e Brock o da Verhofstadt. Ad oggi manca però una leadership che rilanci anche il ruolo dei Governi e dia un appoggio concreto al Parlamento europeo. Chi se non l’Italia può svolgere un ruolo determinante per il rilancio delle parole d’ordine dell’integrazione fra gli Stati membri?
Come ricordato dal Presidente Napolitano, intervistato lo scorso 15 gennaio su La Stampa e che proprio questo fine settimana ha ricevuto il “Riconoscimento Altiero Spinelli ai costruttori dell’Europa federale”, occorre che il Governo italiano prenda una posizione decisa a favore degli Stati Uniti d’Europa, appoggiando i processi di revisione dei trattati e rilanciando tutte le possibilità di approfondimento dell’Unione a trattati esistenti.
Solo con un’Europa federale porremo fine a questa situazione di crisi endemica e torneremo a sperare in un domani migliore per noi stessi ma soprattutto per le prossime generazioni.
A questo appello non possono rispondere solo gli intellettuali e i politici, avremo bisogno di tutte le forze progressiste della società civile, dei cittadini e della forza dell’opinione pubblica che dovrebbe essere resa partecipe della via più bella per uscire dalla crisi, quella dell’unità d’intenti con un alto sistema di valori contro ogni forma di resa a una realtà ritenuta ingovernabile. Reagiamo insieme, come europei è giunto il momento di decidere se fare la storia o continuare a vivere ai margini di essa.
Salviamo l’Europa, costruiamo la Federazione europea.
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