Rekia Boyd, George Floyd, Amadou Diallo, Sean Elijah Bell e Oscar Juliuss Grant III sono solo alcuni dei nomi delle persone di etnia afroamericana che sono stati uccisi in circostanze simili e che hanno ispirato il movimento. In particolare tre attiviste, Alicia Garza, Patrisse Cullors e Opal Tometi nel 2012 hanno creato #BlackLivesMatter come invito all’azione per gli afroamericani dopo che il diciassettenne Trayvon Martin è stato processato postumo per il suo stesso omicidio e l’assassino, George Zimmerman (una guardia di quartiere), non è stato ritenuto responsabile per il crimine che ha commesso. È stata proprio la morte di Martin e ciò che ne derivò a spingere queste tre donne a proporre queste tre parole fondamentali e urgenti al popolo americano: le vite nere contano. Questo movimento, a differenza di quello per i diritti civili e del Black Power nati negli anni ’60, presenta alcune caratteristiche sociologiche differenti; mentre i primi possono essere definiti movimenti omosociali/omofili, il secondo necessita di un’analisi un po’ più complessa e approfondita per comprenderne la natura. Cerchiamo ora di comprendere gli aspetti fondamentali dell’omosocialità e i motivi per cui essa è legata al Black Lives Matter.
Prima di introdurre il concetto di omosocialità bisogna fare alcune considerazioni iniziali. Le persone presentano caratteristiche ascritte, ovvero date alla nascita, quali l’etnia o il genere, e caratteristiche acquisite, ovvero che cambiano durante il corso della vita di ognuno, quali ad esempio la posizione lavorativa o l’età; ognuna di queste ha qualità e specificità molto diverse. Si tende spesso ad associare le diverse caratteristiche di una persona alla propria categoria sociale di appartenenza, ignorando il fatto che ciascun essere umano è geograficamente e socialmente radicato in più mondi sociali distinti. Tendendo a interagire spesso con individui simili, gli esseri
umani e ogni loro esperienza vissuta all’interno di un determinato contesto non fanno che sottolinearne la posizione sociale all’interno del contesto stesso risultando così radicata socialmente in esso. L’omofilia è un fenomeno molto diffuso all’interno di un contesto sociale, che descrive la preferenza per persone simili alla luce di alcune caratteristiche comuni. Ogni aspetto culturale, comportamentale o genetico tende a essere socialmente radicato in un contesto. Preferire individui simili ha come conseguenza la tendenza a creare legami con essi e meno con gli altri.
L’origine etnica gioca un ruolo fondamentale nello strutturare le reti sociali nelle società multiculturali, in particolare negli Stati Uniti. L’omofilia base si unisce quindi a quella etnica fino a creare pregiudizi personali che dividono la rete sociale. L’omofilia etnica è radicata a partire dai legami più intimi come il matrimonio, i legami confidenziali o l’amicizia tra compagni di classe fino alle relazioni sul lavoro, le reti limitate di discussione su un tema particolare o il “sentito dire” su qualcuno. Secondo il campione probabilistico nazionale statunitense, solo l’8% degli adulti, inseriti in due o più reti sociali, discutono di argomenti importanti con una persona di etnia differente, il che è meno di un settimo dell’eterogeneità dei rapporti tra persone che osserveremmo se le persone scegliessero a caso tra la popolazione totale.
In riferimento al Black Lives Matter ora, è importante comprendere se effettivamente esso possa essere considerato un movimento omosociale o no. I partecipanti sono per lo più giovani, di simpatie democratiche e abitanti di grandi città, di conseguenza la componente dell’età è certamente presente. La fascia d’età più rappresentata si colloca tra i 18 e 29 anni (41%), seguita da quella tra i 30 e i 49 (38%). Il 15% di chi è sceso in piazza ha tra i 50 e i 64 anni, mentre solo il 6% è ultrasessantacinquenne. Riguardo alle manifestazioni contro il razzismo di giugno 2020 negli USA, c’è stato però un dato sorprendente: il gruppo etnico più rappresentato nelle proteste era di gran lunga quello dei bianchi. Lo certifica un sondaggio del Pew Research Center, prestigioso istituto di ricerca americano, secondo cui circa il 6% degli adulti statunitensi intervistati (il campione era di 9.654 persone) ha partecipato ad almeno una delle manifestazioni organizzate nelle due settimane successive alla morte di George Floyd a Minneapolis. I bianchi erano poco meno della metà di tutti coloro che protestavano contro il razzismo, ovvero il 46%, quindi più del doppio degli ispanici, che si fermano al 22%. Soltanto terzi la popolazione di etnia afroamericana, al 17%, seguiti dagli asiatici, all’8%. È interessante notare come in questo movimento l’omosocialità etnica non sia in realtà la dimensione principale, come lo era invece nel caso del Black Power; nel caso del Black Lives Matter, infatti, nonostante la maggior parte delle vittime sia afroamericana, la prevalenza dei partecipanti è di etnia bianca.
Da un punto di vista territoriale, ad aver preso parte alle manifestazioni antirazziste sono stati per lo più gli abitanti delle aree suburbane (42%), seguiti di pochissimo
dagli abitanti delle grandi città (41%). Soltanto il 17% dei dimostranti viveva nelle aree rurali del Paese. Ciò vuol dire che vi è stata anche un’elevata percentuale di partecipanti che provenivano dallo stesso contesto territoriale; si tratta di omosocialità a livello di collocazione geografica. Oltre a questa analisi percentuale quantitativa si deve tenere conto di alcune peculiarità. Negli USA, i bianchi (dai quali sono statisticamente esclusi gli ispanici, anche quando hanno la carnagione chiara e i tratti somatici europoidi) ammontano al 64% della popolazione; pertanto, è estremamente significativo che poco meno della metà degli antirazzisti scesi in piazza siano proprio bianchi, almeno a livello di visibilità mediatica del Black Lives Matter, all’interno del quale, una rilevante componente di avversione nei confronti di chi è di etnia bianca è più che evidente. Il Black Lives Matter incarna la “minoranza rumorosa” di un movimento più ampio e ramificato, plasmato per lo più da elementi pacifisti e moderati di etnia afroamericana.
Nonostante si possa riscontrare una più o meno evidente omosocialità in termini geografici e di età, non si può dire altrettanto di quella etnica. Infatti, quest’ultima, nel movimento del Black Lives Matter è presente in maniera molto minore rispetto al Black Power poiché - differentemente dal movimento degli anni ‘60 - era, ed è tuttora, caratterizzato da partecipanti di etnia certamente afroamericana, ma soprattutto di etnia bianca. Si può concludere quindi che nel caso del Black Lives Matter si riscontrano i caratteri dell’omosocialità solo parzialmente e che di conseguenza non rientra a pieno titolo tra i movimenti omosociali.
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