Aiuti della Cina all’Unione Europea: Un nuovo equilibrio di potere fra Oriente e Occidente?

, di Sacha Billaudot, tradotto da Benedetta Bavieri

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Aiuti della Cina all'Unione Europea: Un nuovo equilibrio di potere fra Oriente e Occidente?
Friends of Europe, via Flickr.

In Cina i primi casi di coronavirus erano già stati registrati a novembre 2019: essendo il primo paese ad affrontare l’epidemia, è stato anche il primo a controllarla e si è trovato così nella condizione di avviare un gioco geopolitico senza precedenti. L’intera società cinese è stata mobilitata per aiutare gli altri Stati oggi più colpiti dal virus, fra cui l’Europa, diventata epicentro dell’epidemia a marzo. Ma in realtà questa generosità altro non è che fumo negli occhi, una strategia geopolitica non inusuale per la Cina.

Quando un’Europa divisa è un vantaggio per la Cina

L’Europa si è resa pienamente conto dello tsunami che l’avrebbe sopraffatta solo a marzo: il virus era già arrivato e i sistemi sanitari dei vari paesi non erano certi di riuscire a gestire la situazione. Alcuni Stati membri hanno adottato misure di prevenzione più drastiche, altri meno, rispondendo in modo disomogeneo. A livello dell’UE è stato il caos e la presidentessa della Commissione, Ursula Von der Leyen, se ne è scusata. In un momento simile, in cui la solidarietà europea si è trovata a un punto morto, si sono distinte le offerte di aiuto di un paese in particolare: la Cina. Avendo già attraversato la crisi, la Cina aveva molta esperienza nella lotta contro il virus; il suo tasso di produzione era aumentato considerevolmente e possedeva quindi le maschere e i respiratori di cui i paesi più colpiti avevano disperatamente bisogno. L’Italia è stata la prima a essere aiutata, accogliendo esperti dalla Cina e ricevendo attrezzature mediche, ma successivamente molti Stati europei hanno ricevuto un supporto simile, fra cui Spagna, Francia, Grecia, Repubblica Ceca, Polonia e Paesi Bassi. Tutto ciò è stato realizzato grazie a diversi attori quali la Croce Rossa cinese, Huawei, Alibaba e il governo stesso. Tuttavia si è trattato di un aiuto puramente reciproco: alcuni Stati, fra cui la Francia, avevano infatti inviato materiale medico in Cina a febbraio, quando il paese era ancora l’epicentro della epidemia. La “diplomazia delle mascherine” cinese persegue diversi obiettivi. In primo luogo vuole far dimenticare alla comunità internazionale la prima, disastrosa, risposta all’epidemia, nonché le bugie del Partito Comunista. Questi aiuti permetteranno inoltre alla Cina di creare delle “Vie della Seta della Salute”, un richiamo alle nuove “Vie della Seta” che hanno così tanto diviso l’opinione degli Stati europei. L’aiuteranno inoltre a estendere la propria influenza, rafforzando il suo soft power e contemporaneamente promuovendo l’immagine del Partito Comunista all’interno del paese. In altre parole, la Cina è uscita dalla pandemia con una nuova immagine: quella di attore internazionale più forte.

Per quanto riguarda la risposta europea alla pandemia e il mettere in prospettiva gli aiuti della Cina, l’UE è stata sicuramente lenta a reagire. Tuttavia, a posteriori, la sua risposta si è dimostrata all’altezza della sfida e la Commissione ha svolto il suo ruolo di coordinatore, nonostante il settore della salute esuli dalle sue competenze. Dopo settimane di stallo, la risposta europea all’imminente crisi economica ammonta a centinaia di miliardi di euro e prevede la condivisione di parte del debito. Chi ha ricevuto più aiuti dalla Cina l’ha ringraziata calorosamente: il presidente della Serbia, per esempio, l’ha definito “l’unico paese che ci può aiutare”. Ora però l’Unione europea ha raccolto il testimone e il suo ritorno in gioco aiuterà a mettere in prospettiva gli aiuti della Cina agli Stati membri: come ha fatto notare la Commissione, Germania e Francia messe insieme hanno donato all’Italia più mascherine di quante ne abbia donate la Cina. In una serie di ulteriori dichiarazioni, la Commissione ha intensificato i propri sforzi contro le operazioni di disinformazione cinesi, che avevano cavalcato l’onda dell’iniziale mancanza di solidarietà fra gli europei. Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha chiesto alla Cina si smettere di diffondere la disinformazione in modo così aggressivo: in questa “battaglia globale di narrazioni”, l’Unione europea non può lasciare che sia la Cina a dettare le regole del gioco. Temendo un potenziale conflitto geopolitico, Huawei ha ridotto il suo programma di donazioni all’Unione europea.

La Cina ha guadagnato punti sul breve termine, ma sul lungo periodo la diffidenza europea nei suoi confronti sembra invariata: da quando è stata etichettata dall’UE come “rivale sistemica” non c’è stato modo di invertire la tendenza. Il vertice di Lipsia fra le due entità, previsto per settembre, è stato annullato ma non c’erano garanzie che si sarebbe raggiunto un accordo, pandemia o meno. Per migliorare la propria immagine, la Cina deve investire in modo più concreto in relazioni internazionali multilaterali e garantire un certo livello di trasparenza. Donazioni e atti simbolici non cambieranno l’opinione dell’Europa.

Le relazioni internazionali con la Cina in un mondo post-pandemia

In realtà la pandemia non ha risolto i conflitti che affliggevano la comunità internazionale prima del suo avvento. La nuova “guerra fredda” tra Cina e Stati Uniti è al punto di rottura: entrambi i paesi sostengono che l’altro sia all’origine del virus e dunque responsabile per le sue conseguenze. Donald Trump ha addirittura etichettato il coronavirus come “il virus cinese” e la sua politica isolazionista ha persino portato al ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Ha lasciando così campo libero alla Cina, che già esercitava una notevole influenza sugli Stati membri africani: nel contesto della corsa globale al vaccino, non è stato forse il momento più opportuno per una decisione simile. L’Unione europea deve ora occupare il posto che gli Stati Uniti hanno lasciato vuoto. La pandemia non ha fatto altro che gettare più luce sulle nuove relazioni fra oriente e occidente. Come ha scritto Gérard Araud, ex-ambasciatore francese negli Stati Uniti: “La Cina vuole uno status geopolitico che rifletta il suo ritrovato potere. Fa preoccupare i suoi vicini. Sfida l’egemonia statunitense. Come gestire le tensioni che ne conseguiranno sarà la domanda fondamentale a cui la politica estera dovrà rispondere nel prossimo decennio”.

Da diversi anni ormai l’Occidente non governa più il mondo, come dimostrato dalla crisi del 2008 che ha visto molti settori essenziali passare sotto l’influenza cinese. La Commissione prevede quindi di istituire un meccanismo europeo comune per filtrare gli investimenti esteri, con lo scopo di proteggere le infrastrutture strategiche dell’UE. Emmanuel Macron ha già chiesto che i settori medico e farmaceutico siano inclusi in questo progetto. Negli ultimi tempi l’Unione europea ha dimostrato di essere in grado di superare le divisioni ideologiche per costruire una solidarietà stabile. Sono ottime notizie, in particolare quando si tratta di contrastare l’influenza cinese in Europa. Durante questa crisi è stata proprio la solidarietà europea a permettere di fermare il gioco cinese della disinformazione. La diplomazia con la Cina solleva diverse problematiche: da un lato Gérard Araud dice che il potere cinese non è da sovrastimare, e quindi nemmeno da temere eccessivamente. Dall’altro lato bisogna però opporsi ad esso, senza ignorarlo o trascurare i suoi interessi. Sarà necessario soprattutto creare un quadro di riferimenti condivisibile sia dalla Cina che dall’Unione europea.

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